Descrizione
“È difficile diventare adulti quando non c’è abbastanza lavoro da uomini”. Le nostre preoccupazioni sono le stesse di Paul Goodman quando nella Società assurda scriveva la frase con cui apriamo questo numero. Le nostre preoccupazioni sono rivolte ai giovani e a un sistema economico che corrompe la loro crescita e in cui il lavoro è il grigiore quotidiano mentre il divertimento (più social che vissuto) è il senso della vita. Ci domandiamo che cosa significhi oggi diventare adulti con la coscienza che i propri sforzi, nella migliore delle ipotesi, finiranno in un impiego che non vale nulla, un lavoro che non ha più il senso di una prova e di una crescita, di espressione di talenti, di partecipazione a una comunità e di assunzione di una responsabilità. E a un’assunzione di responsabilità nella vita e nelle attività della rivista sono chiamati tutti i collaboratori de “Gli asini”, ancor più dopo la partecipata riunione dello scorso gennaio a Bologna, che ha segnato l’inizio di un percorso di riflessione comune, a partire da un invito rivolto da Goffredo. Questo numero si apre con un editoriale di Francesco Ciafaloni, che ci ricorda che i razzismi permeano molte scelte politiche di oggi, dalla gestione delle migrazioni agli accordi con la Libia. Mauro Boarelli e Marco Gatto analizzano i risultati delle elezioni regionali del 26 gennaio in Emilia-Romagna e in Calabria, mentre Domenico Chirico ci dice cosa si muove a Roma e ci esorta ad agire. Il dossier di questo numero è dedicato al lavoro. Vincenzo Comito guarda sconsolato ai non più giovani capitani d’industria italiani e alle difficili prospettive delle politiche industriali europee, anche in vista della necessaria conversione ecologica. Mimmo Perrotta e Devi Sacchetto hanno chiesto a Gianni Boetto di fare il punto su quindici anni di lotte dei facchini nel settore della logistica in Veneto, mentre Romolo Calcagno ci offre un quadro delle sfide che affrontano le aziende recuperate dai lavoratori in Italia; Franco Carnevale riflette sui dati e sulle cause degli incidenti sul lavoro e Andrea Toma individua distorsioni e disuguaglianze del sistema di welfare italiano. Mentre i venti di guerra sul pianeta stentano a placarsi, Giancarlo Gaeta e Domenico Chirico richiamano gli insegnamenti di pace del gesuita Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria dall’Isis nel 2013, e Marzia Coronati racconta dei profughi siriani giunti in Italia attraverso i corridoi umanitari della Federazione delle chiese evangeliche. Fabio Angiolillo si interroga, a partire dagli esiti delle elezioni di gennaio a Taiwan, su come sconfiggere il populismo; ma, da una prospettiva diversa, Nancy Fraser, intervistata da Giuliano Battiston, propone di costruire un populismo di sinistra, anticapitalista e femminista, alternativo sia al populismo reazionario sia al neoliberismo progressista. Per “Educazione e intervento sociale”, Giovanni Zoppoli invita lucidamente i gruppi che fanno lavoro sociale e ricerca-azione a evitare visioni apocalittiche e paralisi autolesioniste, per costruire visioni profonde e concrete di cambiamento sociale. Con altrettanta lucidità, Piergiorgio Giacchè critica l’idea di “teatro sociale” e insiste sul “teatro ferito”. Ione Filastin, una nostra lettrice, ci ha scritto una lettera sul famigerato corso di formazione sul sostegno, diventato una forma di imbalsamazione dell’insegnante medio. “Poco di buono” si apre con le poesie civili, scelte da Paola Splendore, di un grande poeta del Novecento che amiamo molto: Wystan Hugh Auden. Per il cinema: i fratelli D’Innocenzo hanno risposto alle domande di Nicola Villa sulla loro seconda prova Favolacce, che hanno portato al festival del cinema di Berlino e sarà in sala ad aprile, una favola nera sull’orribile presente che viviamo; Livio Marchese ci parla dell’ultimo film di Jean-Pierre e Luc Dardenne, L’eta giovane, come una prova dell’umanesimo dei registi francesi e un ritratto della condizione giovanile europea. Maria Rita Masci ha indagato la crescita dei romanzi di fantascienza cinesi. Infine, un ricordo di Gianni Turchetta del grande critico e storico della letteratura italiana Vittorio Spinazzola, da poco scomparso. Chiude questo numero la partecipe narrazione di Angelo Ferracuti sull’ospedale Sant’Orsola di Bologna, una “cittadella” in cui è difficile raccontare il dolore.