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Su “Martin Eden”

12 Settembre 2019
Pietro Marcello Maurizio Braucci Nicola Villa

di Maurizio Braucci e Pietro Marcello
incontro con Nicola Villa

Uscito nelle sale il 4 settembre e in concorso al Festival del cinema di Venezia, Martin Eden è il quinto lungometraggio di Pietro Marcello, tratto dal capolavoro della letteratura americana scritto da Jack London nel 1909. Nel ruolo di Martin Eden, un magnifico Luca Marinelli.

Apologia dell’individualismo

Marcello: Questo romanzo mi è stato donato da Maurizio Braucci all’età di 21 anni. La stessa edizione e traduzione della Bur che poi abbiamo utilizzato per la riduzione in sceneggiatura.

Braucci: È il nostro romanzo, è la nostra storia, la storia chi si è formato non nella famiglia, non nella scuola ma attraverso la cultura incontrata lungo la strada. Il romanzo degli autodidatti, di chi ha creduto nella cultura come strumento di emancipazione e ne è stato, in parte, deluso. Solitamente questo libro viene raccontato come il romanzo del povero che si innamora della cultura e di una bella giovane borghese e poi ne rimane deluso, un melodramma. Ma in realtà è un romanzo complesso, sembra il Ritratto di Dorian Gray scritto da Jack London, dichiaratamente preso da un pezzo di vita dello scrittore è, però, la sua nemesi. Nella realtà Jack London muore perché vittima della sovrapproduzione dell’industria culturale, muore sul campo di battaglia, sui fogli di lavoro, per un infarto cerebrale. Martin Eden invece rinuncia a ogni forma di creazione perché diventa nichilista, posto di fronte a un bivio opera l’estrema scelta radicale, il suicidio.

Martin Eden è una storia dell’inizio del Novecento e sui quei temi che segneranno poi tutto il secolo, prima della grande divisione delle ideologie, prima della nascita del comunismo come ideologia contrapposta al capitalismo, prima della Rivoluzione russa. Quando ci siamo entrati dentro, rileggendolo più volte, abbiamo scoperto una cosa che non è immediata alla prima lettura del romanzo: al di là del melodramma quest’opera contiene un sottotesto che nel film è diventato centrale, sui dilemmi del Novecento. Si tratta delle contraddizioni alla base della costruzione degli Stati nazioni e della società, soprattutto in relazione alla formazione dell’individuo moderno, Martin infatti si definisce alla fine un individualista, “uno dei pochi in città”. “Individuo e collettività” non è rimasto un quesito solo novecentesco, ritorna nel dibattito filosofico attuale nel quale la parola “persona” ha semplicemente sostituito la parola “individuo”. La vicenda di Martin Eden racconta storicamente un bivio tra la posizione riformista, quella socialista delle riforme sociali, fino al socialismo liberale, e la ricerca di una posizione massimalista che subisce però la deriva nazista, reazionaria, della posizione individualista come egocentrismo emegalomania. Il libro di London anticipa la nascita dei due totalitarismi del Novecento: lo stalinismo, che egli vede come minaccia interna al socialismo, e la deriva dell’individualismo delle “belve bionde” del nazismo. Il tema politico su cui il romanzo di London ci fa riflettere è questo: il Novecento non è riuscito a darci una posizione equilibrata della “persona” (uso il termine odierno per “individuo”) finora essa è stata o schiacciata o osannata. Jack London racconta questo attingendo dalla propria esperienza di vita. Guardando in questo specchio, London vede le fosche tinte del futuro che diventeranno le perversioni del Novecento. Credo che il nostro sia soprattutto un film, da un romanzo, sui tormenti del Novecento che può aiutare a leggere le questioni dell’oggi.

Dalla California a Napoli

Marcello: Abbiamo seguito un metodo puramente di riscrittura, pensando a un periodo indefinito, in altra forma attraverso i luoghi, Napoli ma anche Torre del Greco e Torre Annunziata, dove abbiamo prevalentemente girato. Ci siamo immaginati un Martin Eden che attraversava il Novecento anche a ritroso prendendoci tutte le libertà. Sembra che il film inizi negli anni cinquanta e finisca negli anni Trenta all’alba dei nazionalsocialismi. Libero dalle coordinate temporali, il film è privo di punti di riferimento precisi: a un certo punto i nipoti di Martin Eden vedono un cartone americano dell’inizio del Novecento, altro effetto di straniamento. Il congegno non è stato tanto diverso da Bella e perduta, cioè quello di raccontare una storia facendosi influenzare dai luoghi, restando in bilico tra due livelli – uno onirico e l’altro realistico – attraverso il contrappunto del montaggio. Non ci sono coordinate standard per lo spettatore, ma il dove è chiaro: Napoli e altre città di porto come Genova, mentre il tempo storico è totalmente libero ma resta il Novecento. Abbiamo attinto da tante fonti, da tante immagini di repertorio usando poi la tecnica del contrappunto con la parte di finzione. L’incipit, le primissime immagini, sono dedicate all’anarchico Errico Malatesta: sono riuscito a trovare un materiale straordinario in un archivio, il filmato di un comizio a Savona. Quelle immagini servono a dire che siamo agli inizi del Novecento, siamo in un periodo di lotte di classe anarco-socialiste, prima della nascita del comunismo, e stiamo parlando di un militante anarchico e quindi individualista. In quella sequenza è come se stesse partendo il treno dei grandi movimenti di massa, c’è infatti l’immagine di un tunnel ferroviario. Ma subito c’è l’elemento di spaesamento con la canzone Piccerè di Daniele Pace degli Squallor, un milanese che canta una canzone in napoletano, una canzone che mi appartiene e che ci rimanda subito alla dimensione del melodramma. L’idea era quella di dare tante sfaccettature al nostro personaggio di Martin Eden. Vedo Martin Eden nei marittimi di Genova che entrano nel porto, ad esempio. In fondo il nostro è un personaggio negativo, un povero eroe, un anti-eroe.

Braucci: In continuità con Bella e perduta nella trasposizione ci sono vari elementi che appartengono al sogno, al simbolico. Da un punto formale ho notato lo sforzo di Pietro nel fare una crasi del Novecento, o meglio una trasposizione trasognata del Novecento. E quindi in questo senso era anche la visione di Pietro nella Bocca del lupo, l’articolazione sognante della realtà, la realtà sognata. In fondo il film inizia così perché politicamente l’individuo, per trovare un’accezione più equilibrata, è stato difeso dagli anarchici. È per questo che gli anarchici nella storia sono stati perseguitati, perché hanno dato una lettura dell’individuo che non stava bene né ai capitalisti né ai comunisti. La posizione anarchica nel mondo anglosassone è già più equilibrata, lì è anche culturale, da noi è solo intesa come sovversione, quando non è annacquata nel liberismo.

Cultura marinara e contadina

Braucci: Martin Eden in chiave napoletana ci ha posto subito di fronte a un paradosso: nel mondo anglosassone esiste una grande letteratura marinara, mentre l’Italia, che è una penisola con tante coste e tanti porti (ha avuto le Repubbliche marinare), non ha questa tradizione. Questo ci ha posto di fronte a un adattamento culturale e antropologico, infatti tutta la parte centrale dell’eremitaggio nella scrittura di Martin Eden è contadina. Da questo punto di vista abbiamo avuto le idee chiare fin dall’inizio, un Novecento indefinito, trasognato, ma adattato culturalmente e antropologicamente all’Italia. Penso che Martin Eden sia attuale anche per un tema di cui si parla poco oggi: la lotta di classe, fregata da tutte le ideologie, sostituita dalla demagogia che vuole far sparire le classe sociali per parlare di massa. Ma allo stesso tempo oggi, nel mondo, si inizia a guardare al capitalismo come a una ideologia, criticando l’estetica del capitalismo. Ecco, questo film non avalla un’estetica capitalistica, va oltre il realismo e verso qualcosa che sfugge alla razionalità.

Le fonti e il repertorio

Braucci: Abbiamo lavorato su alcune figure di intellettuali outsider del Novecento. Tutti coloro che hanno avuto un destino simile a quello di Martin Eden/Jack London, che hanno preferito la rinuncia o il suicidio. Pensiamo a Majakovskij, a Cioran o a Fassbinder. Artisti inconciliabili con l’industria culturale e che allla fine ne sono stati schiacciati o che sono diventati eremiti o reprobi. Quello dell’Industria culturale” è un altro importante aspetto del film. Il romanzo di London si svolge come melodramma e fiaba mentre intorno c’è la creazione della società moderna, si fanno discorsi sulla democrazia e l’individuo, ma al contempo c’è la nascita dell’industria culturale, al fine di dare identità alla nazione e alla società, c’è la nascita della cultura di massa. Jack London è forse il primo grande autore globale, letto dalla California alla Russia, che si misura con questa industria e che, alla fine, fallisce.

Marcello: Dobbiamo anche pensare che dalla San Francisco di London partivano le basi per quelle battaglie civili divenute famose negli anni cinquanta e sessanta con la beat generation. Abbiamo guardato anche a George Sterling, il fondatore della bohème americana, e a Edmondo Peluso, il napoletano amico di London che aderisce alla costituzione del Pci in Italia per poi fuggire in Russia e restare vittima dei gulag staliniani. A Peluso è ispirato il personaggio che, nel film, chiede i soldi a Martin per finanziare la rivoluzione.

Attualità politica

Marcello: Ci sono molti riferimenti alla politica. Martin quando è nella fonderia con Nino cita l’Uomo in rivolta di Albert Camus e la Rivolta di Spartaco di Howard Fast (che ispirò Kubrick). La scena a casa, quando incontra l’amata Ruth/Clara, sembra un dibattito contro i turbo-renziani. Credo che abbiamo realizzato un film mai mediano che ha tanti livelli di lettura politica. Ad esempio quando Martin cita l’origine del populismo russo, cioè l’andata al popolo degli aristocratici, molto prima della rivoluzione, vi si può leggere una critica al falso populismo di oggi. Verso il finale c’è una scena ambigua e didascalica allo stesso tempo sul neofascismo odierno: in trattoria un uomo calvo, con le fattezze di Mussolini, gli dedica un brindisi, e poi riprende un uomo del nord che indossa una felpa con la scritta “Napoli”. Il messaggio è chiaro: il potere vuole appropriarsi dell’intellettuale che viene dal popolo, il potere si serve degli artisti. Il contrappunto è dato dai roghi dei libri che seguono questa scena, anche qui sono immagini di repertorio. Il nazismo è molto più contemporaneo in Italia rispetto al fascismo, perché se penso a Salvini, mi viene più in mente il nazismo che il fascismo perché più demagogico, più propagandistico. L’ambiguità è tutta lì: il personaggio del mentore, Russ Brissenden (interpretato da Carlo Cecchi), consiglia a Martin di darsi al socialismo che può essere un riparo dalle delusioni che il giovane, alla fine, inevitabilmente incontrerà. È l’unica alternativa. Il nostro Martin Eden è tragico ma questo non è l’unico aspetto e non è centrale nel melodramma. In fondo il suo dramma è quello delle nostre vite. Martin Eden è affascinato dalla bellezza e dalla cultura e, a costo di questa, tradisce la lotta della propria classe di appartenenza.

Il cinema: un quadro a trucco

Marcello: Faccio fatica a dare un giudizio su questo film perché l’ho costruito e smontato tante volte, e mi piacerebbe continuare a farlo, ma a un certo punto bisogna fermarsi. Sono molto miope dopo che ho finito un film. Quando si arriva alla conclusione non è più mio. Siamo riusciti a fare quello che volevamo nella forma e nel messaggio. Credo che sia un film che può parlare a tutti, meno che ai mediocri e a quelli che stanno “in mezzo”. Ognuno può trovarci qualcosa. Un film è come un quadro impressionista: se ti avvicini vedi solo macchie, ma da lontano apprezzi il complesso e vedi il paesaggio. Un minuscolo affresco di tante cose che finiscono in un’unica immagine. Una scena iniziale del film, su un “quadro a trucco”, suggerisce questa dichiarazione di poetica. Alla base il cinema è cialtrone: bisogna renderlo il meno cialtrone possibile. La lingua parlata nel film è notevole perché ci sono molti dialetti spuri e Marinelli parla un napoletano trasognato, bellissimo. Gli attori sono stati straordinari: un misto di professionalità (Marinelli che si è totalmente calato nel personaggio) e le sue amate, interpretate da Jessica Cressy e Denise Sardisco, alla loro prima esperienza.

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