STORIA, STORIE
“Il fatto è che, a loro modo, le società, come gli individui, sono dotate di memoria, senza la quale non vi sarebbe storia possibile. Sia chiaro che questa memoria collettiva – per ricorrere a un termine senza dubbio comodo, piú che rigorosamente esatto – è fatta, in realtà, da una moltitudine di contatti fra le memorie individuali, portate a comunicare fra loro, da una generazione all’altra, sia tramite la parola, che con lo scritto; che essa si risolve dunque, prima di tutto, in un fenomeno costituito da passaggi [da individuo a individuo]. Il ricordo così inteso costituisce un elemento vitale di ogni mentalità di gruppo. Troppo spesso gli studiosi, occupati, per esempio, a editare o commentare le cronache medievali, tendono a trascurare in quei testi le parti che, riguardanti epoche troppo remote oppure composte soltanto di brani tratti da autori piú antichi, paiono loro, a ragione, incapaci di insegnarci qualcosa di certo o di nuovo sugli avvenimenti che riferiscono. Ciò vuol dire scordarsi che, per conoscere a fondo una collettività, occorre, prima di ogni altra cosa, recuperare l’immagine, vera o falsa, ch’essa si formava del suo passato. Proprio come le memorie individuali, la memoria collettiva è spesso molto breve. Soprattutto, essa, fatta in principio per conservare, costituisce un meraviglioso strumento di deformazione, persino di smemoratezze che si ignorano” (Marc Bloch, Apologia della storia).
Da un numero all’altro della rivista stiamo portando avanti, per necessità più che per scelta, un’esplorazione su storia, identità e memoria. Non filosoficamente, ma interrogando le prassi quotidiane del fare letteratura, storiografia, ricerca, informazione, arte, politica.
Definirsi secondo una storia e delle ascendenze è una ricerca laica e rigorosa che non finisce mai di trasformarci e di restituire possibilità che, balenate un tempo, sono da inverare adesso come non sarebbe mai potuto essere allora. Nel numero 110 abbiamo approfondito il tipo di ricerca e di postura che domanda l’interrogazione delle memorie di esperienza, perché senza una lavorata capacità di ascolto e di scrittura non si producono né liberazioni né riscatti.
Adesso ci siamo rivolte al tema delle tracce e degli archivi, che per il farsi della storia sono condizione di possibilità e la cui cura ed esistenza permette alla storia di continuare ad emergere e a parlarci. La materialità delle tracce, il lavoro della loro sistemazione, interrogazione, conservazione, descrizione non finisce mai e ci trasforma a conti fatti. La storia siamo noi quando ci impegniamo per determinare ciò che va conservato e come e pure quando ci impegniamo per interrogare scritti, reperti e archivi inusuali, disagevoli, trascurati.
Tenere conto della consistenza della storia è una fatica quotidiana, un fatto di onore e di intelligenza, un lavoro collettivo ma anche un lavoro sul sè collettivo, come ci ricorda lo storico Marc Bloch. Lo scritto di Antonella Fimiani sul Diario Partigiano di Ada Gobetti ci mostra come dare anima e senso a parole che non possono consumarsi, come resistenza e antifascismo. Il racconto di Maurizio Braucci sullo smisurato fuoco utopico della spedizione di Sapri ci mostra passioni e possibili aspirazioni attualissime. Rodolfo Sacchettini ci spiega la natura speciale della traccia sonora e indica alcune questioni decisive nell’uso contemporaneo e responsabile della disponibilità digitale. Piero Majocchi infine inveisce contro il conservatorismo dei libri di testo, ancora lentissimi nel liberarsi di una storia intrisa di ideologia nazionalista.