Spillover. L’evoluzione delle pandemie
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A cura di Enzo Ferrara e Nicola Villa
Hanno collaborato Giulia Elia, Olga Fernando, Benedetta Senin, Federico Tulli
Siamo convinti che fra le gravi carenze del nostro tempo ci sia la mancanza di narrazioni serie e oneste di realtà che per problemi diversi non riusciamo a osservare direttamente, con prospettiva oggettiva e profonda. Accade nel caso di conflitti e guerre quando la verità è straziata con metodo, così come per il racconto distorto delle migrazioni o per i faticosi percorsi sulle soglie della sofferenza e della malattia. Accade anche per questioni complesse, come quelle che coinvolgono scienza, tecnologia e grandi interessi economici, connotate da intrecci difficili da cogliere oltre il livello dell’esperienza personale. È ostico e ingrato svelare le indicibili relazioni che, per esempio, legano l’uso dei carburanti fossili al riscaldamento globale, l’inquinamento alle degenerazioni tumorali e neurologiche, l’industria bellica a imprese spaziali di dubbia utilità. In non pochi casi assistiamo a narrazioni disoneste di queste realtà, banalizzate dal preconcetto o celebrate dalla propaganda secondo convenienza. Fra le storie poco convincenti ci sono quelle che descrivono le nuove pandemie globali sempre provenienti da un altrove indefinito e affrontate in emergenza con dispendio di risorse, parole e pregiudizio. Abbiamo così colto l’occasione di incontrare lo statunitense David Quammen in Italia per il premio Merck, dedicato a opere letterarie che riescano a stimolare un sano interesse per la scienza e assegnato nel 2015 al suo ultimo lavoro uscito in Italia Spillover. L’evoluzione delle pandemie (Adelphi 2014, traduzione di Luigi Civalleri).
Quammen è un abile narratore di questioni scientifiche sull’evoluzione naturale che gli anglosassoni riconducono alla Natural History, pubblica su riviste come “Harper’s”, “Esquire”, “The Atlantic”, “Rolling Stone” e “The New York Times Book Review”. Risiede nel Montana e ha viaggiato come corrispondente per il “National Geographic” riuscendo a pubblicare antologie di saggi (Natural Acts, 1985; The Flight of the Iguana, 1988; Wild Thoughts from Wild Places, 1998; The Boilerplate Rhino, 2000) e monografie (The Song of the Dodo, 1996; Alla ricerca del predatore alfa, Adelphi 2005 [Monster of God, 2003]; L’ evoluzionista riluttante, Codice 2008 [The Reluctant Mr. Darwin, 2006]) fino a specializzarsi nella storia delle pandemie causate da virus, microbi e prioni, un genere di gran successo. Di queste narra Spillover, vincitore di premi letterari negli USA e in Gran Bretagna, primo tomo di una trilogia sulle nuove malattie epidemiche completata da Ebola (2014) e The Chimp and the River (2015) inediti in Italia. Letteralmente, il termine spillover indica un travaso, il processo evolutivo che trasforma un microrganismo patogeno per gli animali in zoonosi, una nuova malattia capace di colpire gli umani con esiti anche letali. Quammen ricostruisce la storia degli agenti patogeni che negli ultimi trent’anni abbiamo conosciuto con i nomi di HIV-AIDS, influenza aviaria, SARS, dengue – ma anche di febbri tropicali, tubercolosi e malaria che provocano un numero di vittime immensamente maggiore – fino a ebola, l’ultima minaccia, e ne ricostruisce la storia attraverso le vicende di personaggi colpiti dalle malattie o coinvolti nelle indagini sulla loro origine. Inevitabilmente, oltre che di scienza e biologia, Spillover scrive anche degli effetti dovuti all’impatto umano sull’ambiente, che favoriscono l’emergere delle nuove pandemie, fino ad affermare che ogni volta che distruggiamo una foresta estirpandone tutti gli abitanti “i germi del posto svolazzano in giro come polvere che si alza dalle macerie” (p. 44). Scrive Quammen: “le attività umane sono causa della disintegrazione (e non ho scelto questa parola a caso) di vari ecosistemi a un tasso che ha le caratteristiche del cataclisma”. Non si tratta di un fenomeno nuovo, oggi però “la distruzione degli ecosistemi sembra avere tra le sue conseguenze la sempre più frequente comparsa di patogeni in ambiti più vasti di quelli originari (…) non ce l’hanno con noi, siamo noi a esser diventati molesti, visibili e assai abbondanti” (p.43).
Spillover offre una visione illuminista e anche positivista dell’intreccio fra attività umane, tecnica e biologia, ma lontana da proclami di magnificenza compiaciuti per la vicinanza del potere, e restituisce un immaginario scientifico conscio della complessità del vivente, più vicino all’enciclica Laudato Sî sulla cura della casa comune. Nel solco degli studi darwiniani, Quammen ribadisce che il genere umano è una specie animale come le altre con le quali deve condividere i pericoli del mondo naturale, i rischi di dissesto degli equilibri ecologici e la sostanziale transitorietà del vivere.
Complimenti per il premio Merck. Spillover è un libro coinvolgente anche se un po’ angosciante. Dici che il tuo intento non è spaventare i lettori ma renderli consapevoli e informati. Hai scelto la narrazione come forma di divulgazione perché pensi che le questioni scientifiche siano troppo difficili?
Spillover tratta un argomento molto serio, che richiede un’attenzione immediata e che è anche fonte di paura. Ho fatto del mio meglio per far sì che questo libro oltre a essere chiaro e accurato fosse anche piacevole da leggere. Ho cercato di spiegare alcuni aspetti complessi che riguardano la scienza e la storia della scienza. Quando scrivo, in ogni frase, in ogni paragrafo mi chiedo se il lettore riuscirà a seguirmi. Talvolta penso che ci sarebbe bisogno magari di una battuta, di una storia da seguire, un po’ di avventura, un po’ di mistero, per punteggiare le spiegazioni tecniche. Il mio obiettivo come scrittore e divulgatore è di spostarmi con frequenza da elementi narrativi, che possono creare un senso di suspense e suscitare interesse a livello umano, ad argomenti più scientifici, complessi e tecnici. Spero di esserci riuscito. Posso assicurarti che mi sono impegnato molto per arrivare a questa forma di conversazione e per far sì che la lettura fosse anche appassionante, oltre che significativa per il lettore.
Nel discorso di ringraziamento per il premio Merck accosti la scrittura alla musica …
Cerco di creare un’opera narrativa che sia piacevole da un punto di vista estetico, lo faccio anche quando cerco di offrire spiegazioni scientifiche. Penso che una parte molto importante di un’opera letteraria, quando è bella, sia legata alla musicalità del linguaggio. A me preme molto che vi sia questa musicalità. Quando mi riferisco alla musica intendo la sonorità, il ritmo. Se una frase è chiara ma non ha ritmo, non ha una connessione con la frase successiva, o se nel passaggio da un paragrafo all’altro manca l’armonia, che è importante per dare piacere alla mente, allora la scrittura non è musicale, può essere una spiegazione scientifica chiara e precisa ma priva di elementi artistici. Non so se sono riuscito in questo intento ma mi sono impegnato per scrivere con un ritmo musicale.
I tuoi testi sono rigorosi e spiegano cosa è la zoonosi, il contagio delle malattie dalle specie animali al genere umano. Parli anche di virosfera per spiegare l’odierna rapidità di diffusione delle malattie infettive. Oltre agli effetti della globalizzazione, come i viaggi turistici che hanno portato la SARS in Occidente in 12 ore, il degrado ambientale e la sovrappopolazione che ruolo hanno?
La dimensione della popolazione umana e l’impatto che abbiamo sugli ecosistemi aggravano certamente la situazione, non per quanto riguarda lo sviluppo dei virus che ci sono già ma nel passaggio di questi dai loro ospiti animali nell’uomo. Ci sono due fattori che causano l’accelerazione del contagio, anzi, due insiemi di fattori. Da una parte abbiamo gli effetti che provocano il fenomeno del travaso, lo spillover: il passaggio dalle specie animali a quella umana; il secondo insieme riguarda il meccanismo di diffusione delle malattie una volta contagiato l’uomo.
Per il primo insieme, i nuovi virus che passano dagli animali all’uomo, c’è da dire che questo fenomeno si manifesta più oggi rispetto al passato. È accaduto sempre ma ora la frequenza è maggiore perché sono molti di più gli esseri umani che entrano negli ecosistemi naturali dove esistono davvero tante popolazioni di specie vegetali e animali. Ognuna di queste specie ha il proprio virus, un bagaglio di virus e noi esseri umani stiamo penetrando questi ecosistemi, sconvolgendoli, abbattendone gli alberi, catturandone gli animali, uccidendoli per consumarne le carni, costruendo villaggi, tagliando il legname, mettendoci quindi in contatto diretto con le creature portatrici di questi virus. Come dico nel libro, quando si distrugge una foresta i virus si sollevano e si diffondono, un po’ come accade quando si abbatte un edificio e salgono le nuvole di polvere, è la stessa cosa. Diamo ai virus l’opportunità di riversarsi nella razza umana ed è per questo che si assiste maggiormente al fenomeno dello spillover.
Una volta che un nuovo virus riesce a infettare la prima vittima umana e scopre di potersi replicare in quell’organismo e di potersi trasmettere da un essere umano all’altro, ecco che si scatena l’altro insieme di fattori legati alla densità abitativa, ai sistemi di trasporto, ai viaggi e alla globalizzazione in senso lato. Per cui, se un uomo in Cina meridionale abbatte un animale che ha un nuovo virus, come nel caso della SARS, e poi si ammala, dopodiché visita Hong Kong come descritto nel libro e rimane a soggiornare in un albergo, tossendo, vomitando, toccando i pulsanti o lo specchio di un ascensore, trasmette l’infezione ad altre persone. Ecco, adesso c’è più probabilità che questo virus addirittura possa viaggiare fino all’altra parte del mondo in 12 ore, come è successo con la SARS. Gli ospiti del primo albergo hanno viaggiato da Hong Kong a Singapore a Pechino fino a Toronto, così il virus si è diffuso in tutto il mondo, quasi all’istante.
Quanto è importante la prevenzione e che cosa occorre per organizzarla a livello globale?
La prevenzione è indubbiamente importante. Quando parliamo di prevenzione gli elementi da prendere in considerazione sono diversi: la prevenzione di nuove trasmissioni di virus da un ospite animale a un essere umano, lo spillover, e la prevenzione della diffusione di questo virus per cercare di contenerne la diffusione, di controllare la propagazione esplosiva della malattia. Un terzo aspetto riguarda la terapia di cura per chi è colpito, per evitare che queste malattie si diffondano ulteriormente e questo porta a parlare dei vaccini e dei farmaci antivirali.
Per quanto riguarda i fattori importanti per la prevenzione, in primis è importante capire l’ecologia del virus, qual è l’ospite serbatoio, l’animale che ospita il virus, dove vive. Dobbiamo identificare questo serbatoio per evitare l’effetto di spillover, per evitare il contatto umano attraverso l’esposizione al virus. Per esempio, ancora oggi non sappiamo quale sia l’animale in cui si nasconde il virus dell’ebola, non sappiamo qual è l’animale che ne rappresenta il serbatoio: potrebbe trattarsi di un pipistrello? Forse. Potrebbe essere un roditore, ma è anche possibile che sia un insetto. Una zecca? Non lo sappiamo. Se e finché non lo sappiamo non possiamo impedire il contatto e il contagio.
Un altro elemento importante è la rapidità nella diagnosi e identificazione della malattia. Se un soggetto si ammala, in Liberia per esempio, se soffre di vomito, diarrea, febbre alta è importante essere in grado di stabilire molto rapidamente, nel giro di qualche ora, se quella persona ha l’ebola o un’altra malattia. Infine, quando le persone si ammalano è importante avere farmaci antivirali per le terapie di cura e vaccini per proteggere la popolazione sana. Quindi scienza, comunicazioni immediate e un’efficace risposta dei servizi sanitari pubblici sono tutti elementi importantissimi.
Comunicazioni immediate ma anche corrette.
Sì, comunicazione corretta tra scienziati e operatori e con l’opinione pubblica. È importante che le informazioni diffuse siano precise, utili e non creino panico.
E lo stato, non ha responsabilità nell’opera di informazione e prevenzione?
Sì, certo, il governo ha un’enorme responsabilità. Lo stato conta. Non so quale sia la situazione in Italia, ma gli USA sono stati efficienti. In seguito allo scoppio di ebola il CDC (Center for Disease Control and Prevention) e l’agenzia per lo sviluppo internazionale degli Stati Uniti hanno dato una buona risposta. Anche il presidente Obama ha reagito bene, è stato uno dei leader mondiali che ha meglio risposto all’epidemia e ha dato aiuto tempestivamente. Tuttavia le istituzioni statali hanno bisogno di sostegno. Il CDC, l’agenzia americana di controllo e prevenzione delle malattie, ha bisogno di fondi e questo ci riporta all’esigenza di recuperare le risorse per la ricerca scientifica, ed è infine il sistema pubblico che sostiene questo impegno.
Quali differenze ci sono fra ebola e la malaria? Per la malaria non c’è vaccino, ma anche tu ricordi che le febbri malariche sono state debellate a inizio ‘900 con la profilassi e in Italia anche con la vendita del chinino a basso costo. Perché non si riesce a fare lo stesso con ebola?
Stavo giusto parlandone con mia moglie: il termine malaria è italiano. In questa città, Roma, si poteva prendere la malaria duecento anni fa, forse anche solo cento anni fa. Ora però è sparita e questo è una gran risultato. Come hai ricordato non esiste vaccino contro la malaria. Ci sono cinque diverse forme di malaria, come spiego nel libro, che infettano l’uomo. Quattro infettano esclusivamente l’uomo, una anche le scimmie. È ipotizzabile che questi organismi evolvano così rapidamente da non poter contare sull’efficacia dei vaccini. È lo stesso motivo per cui non c’è un vaccino contro l’AIDS, il cui virus si trasforma ed evolve. Per la malaria ci sono però buone e valide terapie. Purtroppo queste non sono accessibili per milioni di persone dell’Africa subsahariana e ogni anno muoiono di malaria più di un milione di persone, morti evitabili dovute semplicemente alla mancanza di assistenza sanitaria nelle aree ancora affette dal morbo.
Ebola è una malattia diversa: innanzitutto, la malaria è provocata da una creatura monocellulare mentre ebola è provocata da un virus. Quindi è diverso il meccanismo infettivo. È più facile mettere a punto delle medicine contro il bacillo responsabile della malaria rispetto al virus dell’ebola. Solo stamattina ho letto sul New York Times che ci sono progressi per sviluppare un vaccino contro ebola. Quindi alcuni progressi nella ricerca ci sono ma i virus sono difficili da trattare con farmaci. Si può fare una vaccinazione ma è molto difficile trovare farmaci in grado di uccidere i virus una volta presenti. Per la malaria c’è il chinino, ci sono altri farmaci in grado di uccidere l’organismo patogeno.
Prima di quello che è accaduto in Africa occidentale si diceva “ma perché vi preoccupa ebola? La malaria uccide molte più persone ogni anno che non l’ebola”. È vero, dobbiamo ricordare però che sono entrambe malattie di cui bisogna occuparsi. La malaria non è una malattia nuova, ma anche se non affascina più l’immaginario è comunque importantissimo combatterla soprattutto nei paesi senza accesso a un’assistenza sanitaria adeguata.
Spillover è anche un affascinante viaggio attraverso le specie animali. La zoonosi conferma gli studi darwiniani: siamo una specie animale, viviamo con le altre specie e ne condividiamo il destino. Ma tra gli animali, quali sono più pericolosi per il contagio? Mi sembra che i mammiferi come le scimmie e i pipistrelli possano essere serbatoi di malattie umane, come degli incubatori …
È così, in linea di massima più un animale assomiglia all’uomo più è facile che un virus possa passare da quell’animale all’uomo riproducendosi: i primati, e quindi gli scimpanzé, i gorilla sono i più probabili serbatoi per le zoonosi. Sappiamo che il virus dell’HIV, per esempio, è venuto da un unico scimpanzé che ha contagiato un unico essere umano e questo poi ha scatenato l’intera pandemia di AIDS. Altri mammiferi possono essere pericolosi come serbatoi, i pipistrelli per esempio sembrerebbero essere primi indiziati fra i non primati. Il virus hendra, quello della rabbia, il virus marburg in Australia, forse anche ebola, ma questo è ancora un interrogativo, sono tutti derivati dai pipistrelli. Anche la SARS, sempre dovuta a pipistrelli.
Come spiego nel libro, forse accade così perché di pipistrelli ce ne sono così tanti e di tipi così diversi da rendere molto probabili, se non frequenti, le occasioni di contagio degli esseri umani. Oppure c’è qualche particolarità nel loro sistema immunitario, che permette ai pipistrelli di sopportare più infezioni virali. Tra gli altri animali serbatoio ci sono i roditori: ci sono malattie zoonotiche che vengono dai roditori. Ci sono anche gli uccelli, che non sono mammiferi, ma tutte le influenze vengono dagli uccelli. Per esempio il virus del Nilo occidentale è trasportato dagli uccelli. Infine ci sono i rettili, è rarissimo che un rettile possa avere un virus o una malattia capace di infettare l’uomo, ma ci sono stati alcuni casi. Quindi possiamo fare questa classificazione: primati, pipistrelli, roditori, uccelli, ma non è da escludere che vi siano anche altri animali coinvolti nelle zoonosi.
Quali sono le pandemie più pericolose?
Sono più pericolose quelle causate dai virus: l’HIV e le influenze in tutte le varianti per esempio. Anche ebola è causata da un virus ed è pericolosissima con effetti drammatici, ma in linea di massima non è una minaccia mondiale quanto l’influenza perché non si trasmette semplicemente con uno starnuto, per quel che ci è dato di sapere non si trasmette nell’aria. Per quanto riguarda i batteri, non sono più un pericolo per l’uomo grazie agli antibiotici, però i batteri stanno sviluppando resistenza agli antibiotici evolvendosi e questo è molto grave. Vi sono poi alcuni batteri che restano problematici. Per esempio il batterio che provoca la malattia di lyme, un’infezione, è un problema diffuso negli Stati Uniti. Sono pochi i decessi dovuti al lyme ma sono tante le persone colpite. È un batterio difficile da debellare perché vive all’interno delle cellule, non solo nell’organismo ma nelle cellule quindi è molto più difficile ucciderlo. La peste bubbonica era dovuta a un batterio; anche l’antrace è dovuta a un batterio ed è pericolosissima a meno che non si abbiano gli antibiotici adatti.
Dove scoppierà la prossima epidemia, il focolaio potrebbe essere anche in occidente?
Non sappiamo dove scoppierà. Potrebbe essere in una foresta tropicale, ma non è detto. Potrebbe emergere dalla Cina meridionale. E potrebbe accadere anche in occidente, che so in Arizona. È più difficile, perché la diversità biologica non è così elevata in Arizona, le probabilità di zoonosi sono minori. Nel cuore del Congo sono invece milioni e milioni le specie di batteri, migliaia le specie di animali, probabilmente centinaia di migliaia di specie se contiamo anche gli insetti, e quindi sono tantissimi i virus sconosciuti, ma presenti. La prossima pandemia può nascere da qualunque parte del mondo, è più probabile che venga da un sistema con elevata diversità biologica come l’Amazzonia ma potrebbe arrivare anche dalla Florida.
Leggendo Spillover torna in mente la fantascienza apocalittica, titoli come Io sono Leggenda di Richard Matheson in cui un’epidemia di rabbia annienta la popolazione terrestre. Nel libro parli di Ghiaccio-nove (Cat’s Cradle) di Kurt Vonnegut. Ci sono libri o film che ti hanno ispirato?
Non leggo fantascienza, sebbene abbia letto Vonnegut. Ho avuto uno scambio amichevole con lui, lo ricordo anche come una persona che ho avuto modo di apprezzare. Non l’ho mai incontrato, però ci siamo scritti. Da studente universitario lessi Mattatoio n. 5 e rimasi affascinato dal suo lavoro, così gli scrissi una lettera dicendogli quanto avessi amato quel libro e minacciai di visitarlo chiedendo se sarebbe stato possibile. “Va bene, – rispose – altri l’hanno fatto. Vieni nel pomeriggio. Chiama prima. Ecco il mio numero di telefono”. Era il 1969, non ci sono mai andato. Poi 35 anni dopo mi arrivò una sua lettera che diceva:“Caro David Quammen, ho appena letto il suo libro Natural Acts, mi è piaciuto moltissimo, non riesco a spiegarmi perché non l’abbia mai letto prima. In bocca al lupo”. Ovviamente Vonnegut non ricordava il nostro primo scambio. Così gli ho scritto di nuovo e gli ho mandato una copia di quella lettera generosa che mi aveva inviato 35 anni prima ringraziandolo perché era stato gentile con me due volte. Detto questo, non ho letto Io sono Leggenda, anche se mi piacciono i film un po’ fantascientifici, che parlano di epidemie e pandemie. Ve ne sono di buoni, di meno buoni e di cattivi. Tra i più brutti direi Virus letale, aveva ottimi attori ma una brutta sceneggiatura ed era pessimo soprattutto l’elemento scientifico. Poi c’è stato Contagion, un film valido dal punto di vista scientifico, buona anche la base di ricerca, gran realismo ma con personaggi poco interessanti. Il mio preferito comunque è L’esercito delle 12 scimmie, un film apocalittico ma davvero stimolante sull’argomento delle malattie epidemiche. Altri film che suggerirei sono 28 giorni dopo, molto interessante, e I figli degli uomini, un altro bel film. L’esercito delle 12 scimmie rimane il mio preferito; il secondo capitolo di Spillover si intitola tredici gorilla proprio in riferimento a quel film.
Ho letto che hai un progetto sul futuro della vita, Tree of Life, basta quindi con le pandemie?
Giusto, il mio prossimo progetto sarà Tree of Life, l’albero della vita. È il simbolo della storia dell’evoluzione questo albero con tante ramificazioni. Vorrei occuparmi di questo e del modo in cui quest’idea è stata messa in discussione negli ultimi decenni grazie a straordinarie scoperte di genetica, che dimostrano come i geni non stiano solo salendo lungo i rami dell’albero ma passano anche da un ramo all’altro. Questo trasforma radicalmente la nostra idea sulla storia della vita e anche la definizione di individuo, non voglio aggiungere altro, è complicato e ancora devo scriverlo il libro. Ma sto ancora occupandomi delle pandemie, nell’ultimo numero del National Geographic c’è un mio articolo sulla ricerca dell’animale serbatoio di ebola, è online ed è disponibile anche nell’edizione italiana (Ebola, caccia al killer, National Geographic Italia, luglio 2015).