Cronaca di un post-naufragio
A pochi giorni dall’ultima strage di migranti avvenuta a pochi metri dalle coste greche, la cui dinamica ricorda molto quanto già accaduto in febbraio a Cutro, proponiamo un’intervista realizzata nel maggio scorso al sindaco di Crotone, Enzo Voce. Sembra ormai chiara, purtroppo, la messa in atto di pratiche ancor più necropolitiche operate sui corpi dei migranti, che tendono a ridurre al massimo le operazioni di salvataggio in un macabro rimbalzo di responsabilità che mira a scaricare la colpa dei naufragi sugli scafisti, blindando così, sempre di più e con sempre minor sforzo, l’accesso alla fortezza Europa. Nessuna umanità anche per chi resta e piange i suoi morti, come ha sottolineato più volte la rete Mem-med che a Cutro si è battuta per la raccolta del Dna dei corpi delle vittime di quel naufragio. Viene operato, invece, un continuo esercizio di controllo dei corpi anche nella morte, come si evince, fra l’altro, dal poco rispetto per il diritto al rimpatrio delle salme. Lo scenario migratorio è ormai popolato da tanti naufragi fantasma di cui non ci arriva neanche notizia, in un Mediterraneo stretto tra la morsa dei lager libici da una parte e la dura condizione vissuta dagli africani subsahariani in Tunisia, “contenuti” nei foyer dell’OIM da cui si cerca di scappare per raggiungere l’Europa, provando a sfuggire alla guardia costiera tunisina che spesso, dopo averne sottratto il motore, abbandona le imbarcazioni al loro destino in mezzo al mare.
Enzo Voce, indipendente di centro sinistra, è sindaco di Crotone dall’ottobre del 2020. In passato si è occupato di problemi ambientali nel suo territorio che è gravemente contaminato da scorie industriali smaltite illegalmente e che, in alcune zone, risulta essere l’aerea più inquinata da metalli cancerogeni d’Europa.
Qual è stata la sua esperienza del naufragio di Cutro?
Partiamo dal 26 febbraio. Io quella mattina so della notizia della tragedia relativamente tardi, perché di solito quando ci sono sbarchi i sindaci non sono coinvolti perché chi sbarca viene portato direttamente al porto dove c’è l’autorità portuale e da lì intervengono Croce Rossa e Prefettura. Vengono così identificati e portati al centro di accoglienza. È un sistema già collaudato e quindi può avvenire anche uno sbarco e il sindaco non ne sa niente. Io normalmente evito di andare, perché lì ci sono gli operatori che lavorano e sei più di intralcio che altro. Quella mattina più che uno sbarco però c’è stata una tragedia, io l’ho saputo tardi, verso le sette e mezza, non sono andato sul posto anche se si parlava già di diverse decine di cadaveri sulla spiaggia. Il primo giorno ne abbiamo contate quaranta di salme, tra quelle che erano già arrivate sulla spiaggia e quelle che erano state ripescate in mare. Quella mattina venne subito convocata una riunione in prefettura. Durante la riunione emerge immediatamente la dimensione della tragedia e abbiamo quindi cominciato ad affrontare le prime emergenze, innanzi tutto capire dove portare i cadaveri che erano nel territorio di Cutro, ma il sindaco non aveva possibilità di portarli da nessuna parte. Allora abbiamo ripristinato rapidamente il PalaMilone che in quel momento era un cantiere, abbiamo provato a fare in modo che quei corpi avessero un luogo degno di ultima ospitalità. Chiaro che una cosa è vederle in televisione queste cose e un’altra è viverle. A differenza di Lampedusa per esempio qui abbiamo visto decine e decine di bare bianche, all’inizio non era così evidente perché i bambini venivano messi nelle bare grandi solo dopo li abbiamo spostati… Vederlo nel tuo territorio è un’altra cosa. Qui c’è stato il dramma dei familiari che dopo dieci, undici giorni non sapevano ancora chi e come avrebbe trasferito i corpi dei loro cari. Io non sapevo che i mussulmani fossero così attaccati ai corpi dei loro morti, c’è un attaccamento fortissimo a tutto il rituale della sepoltura e noi abbiamo avuto difficoltà a trovare i loculi nei cimiteri, che qui è già in condizioni normali una cosa complicata. In questo senso la comunità ha reagito subito con prontezza, ma poi è emerso subito il problema della sepoltura islamica e dell’inumazione che era complicata da fare qui. Per dieci giorni non si capiva chi avrebbe pagato, noi avevamo messo a disposizione quaranta-quarantacinquemila euro di un capitolo di spesa, ma non erano sufficienti. Solo il giorno prima dell’arrivo del consiglio dei ministri è arrivato il decreto che definiva la questione del pagamento. Questi familiari erano arrivati da tutta l’Europa, qualcuno anche dall’Australia, un medico dagli Stati Uniti e aspettavano e ci raccontavano tante storie. Abbiamo scoperto che c’era gente che da otto anni aspettava un visto per andare a trovare i familiari, o che a differenza degli altri viaggi, questa volta c’erano interi nuclei familiari che avevano venduto tutto per partire, ce n’era uno composto da ventuno persone… undici bare allineate, qualcuno si era salvato e gli altri componenti però sono rimasti dispersi. Vedi e scopri storie incredibili, una ragazza mi ha mostrato il video di tre bambini suoi parenti che prima del viaggio giocavano nella neve in Turchia dove erano rimasti per un mese in attesa di partire. Calcola che quel viaggio ha comunque fruttato un milione di euro circa a chi lo ha organizzato…Crotone ha reagito bene, c’era già stato il precedente di una barca che si era arenata qui vicino e i migranti erano stati salvati dalla popolazione. Chi li porta prova ad arenarsi anche perché così è più facile scappare, uno degli scafisti dell’episodio dello scorso anno, per esempio, poco dopo è stato trovato in Austria. Questa volta non ha funzionato qualcosa, appena presa la secca, un iraniano ci ha raccontato che in pochi secondi l’acqua era già entrata dappertutto. Come fa una mamma con uno o più bambini ad uscire dall’imbarcazione e salvarsi, mi chiedo, per esempio?
Alcune associazioni hanno richiesto che venisse recuperato il DNA dei morti per facilitare il riconoscimento per le famiglie…
All’inizio è stato un po’ lento, poi si è cominciato ad andare più a regime, ma poi c’era il problema di dover sigillare le bare, la scientifica ha fatto un lavoro straordinario, impronte, foto, assieme all’ASP, un lavoro terribile, io ho visto i corpi recuperati dopo un mese, l’ultimo è arrivato a metà aprile…cinquanta giorni in mare. Le storie sono tremende…
In una sua intervista televisiva lei accennava all’ipotesi di creare un coordinamento, di rete tra i comuni del litorale ionico, la cosa sta andando avanti?
All’inizio si, soprattutto per la questione dei loculi, poi il grosso delle salme in realtà sono state rimpatriate, ma in realtà progetti dei sindaci sull’accoglienza non ce ne sono, abbiamo visto quello che successo a Riace. Qui quello che ci si aspettava che cambiasse sul sistema accoglienza è stato stravolto con il decreto Cutro, e non c’entra niente questo nome, Cutro è il simbolo di una tragedia che c’entra con un decreto che non farà altro che accentuare il problema dell’accoglienza! Faccio un esempio. Qualche giorno dopo la tragedia di Cutro è arrivato uno sbarco a Crotone di quattrocentotrenta persone, tra questi c’è un ragazzo se ricordo bene di nazionalità egiziana, minore non accompagnato. Allora, innanzi tutto immaginate una mamma che mette un ragazzo di tredici anni su una nave, chi di noi lo farebbe con la vita che abbiamo noi, lo prendi e lo metti su una nave con più di quattrocento sconosciuti… questo ragazzo è ora in un centro dove sta studiando, sta crescendo in maniera sana, quando arriverà a diciotto anni se il suo paese non si troverà nella lista di quelli considerati papabili per facilitare un permesso come rifugiato, lui diventerà un fantasma, il che significa che non potrà trovare un lavoro con contratto regolare o che magari troverà solo lavoro al nero e se non troverà manco quello, probabilmente sarà portato a delinquere…questo è il decreto Cutro, un grande passo indietro.
Quale immagina sarà la risposta di un territorio già così stressato, da questo cambiamento del quadro legislativo?
A Crotone secondo Dublino dovranno tornare, almeno periodicamente per rinnovare i documenti, anche gli ottantuno sopravvissuti alla tragedia. La metà di loro, dopo qualche giorno già era andata via, anche se avevano diritto all’accoglienza, perché volevano andare nel Nord Europa. Quando noi ce la prendiamo con l’Europa è un finto problema perché la Germania ha accolto in dieci anni più di due milioni di migranti, la Francia quasi un milione noi intorno ai seicentomila. Noi siamo al sedicesimo posto della classifica dei paesi d’accoglienza. Il problema nasce nel momento in cui questa emergenza è a carico di piccoli posti come Lampedusa o alcuni paesi della fascia ionica, qua il primo problema è con l’Italia che non avvia agilmente le procedure di regolarizzazione, noi siamo un paese di natalità negativa, e chi lavora, chi lavorerà? Riace è un piccolo paese, lì quel modello di accoglienza poteva funzionare, qui no, la gente da qui vuole raggiungere altri posti, non gli interessa stare qui a non far niente, a vivere di accattonaggio o a venti euro al giorno nelle campagne. I familiari delle vittime che sono venuti qui, sono arrivati dalla Germania, qualcuno dalla Svizzera, mica dall’Italia…
Lei come se l’immagina un modello di accoglienza?
Il problema viene prima, intanto bisogna salvarli in mare. Un minuto di troppo può essere fatale. Poi lo abbiamo visto non c’è un clima politico che favorisce queste cose, io quello che non tollero è far passare l’immagine che queste persone arrivano, spacciano, violentano le nostre donne ecc., ecc. È un problema serio, serissimo, non si arresteranno gli sbarchi aumentando le pene per gli scafisti che sono a loro volta spesso dei disperati che non hanno neanche i soldi del viaggio e vengono messi lì a trasportare le persone, con una bussola e qualche tanica di benzina. Il problema va affrontato in maniera unanime da tutti i paesi europei, che non possono solo usufruire dei fondi e poi girare le spalle quando devono mostrare la loro solidarietà, ci vuole un equilibrio, ed è un problema che è lasciato a una piccola parte dell’Italia, non si può permettere che Lampedusa o Roccella Ionica diventino le frontiere di tutta l’Europa. Attualmente a Lampedusa ci sono due volte e mezza le persone che ci dovrebbero stare, lo stesso spesso succede qui da noi a Sant’Anna. Ed è importante rendere virtuoso il rapporto con il governo centrale, qui i soldi sono arrivati dopo undici giorni, privati e familiari delle vittime si stavano organizzando autonomamente, prima di noi. Poi siamo riusciti a recuperare grazie alla Prefettura, ma all’inizio un po’ di sbando c’è stato. Le associazioni, il terzo settore si sono organizzati per le famiglie, la rete 23 febbraio che è nata qui si è organizzata benissimo se avessero fatto un crowdfunding, avremmo trovato in poche ore quello che serviva, la gente ha saputo e sa rispondere subito, sempre…