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USA: come affrontare la nuova destra

Non male come settimana, eh? Grazie, popolo americano! Ah, io c’ero... Cercavo di scegliere il tema del mio post sul blog, da un elenco che comprendeva: a) la celebrazione della sconfitta deliziosamente umiliante del disegno di legge Trump-Ryan per l’abrogazione dell’ACA-Obamacare;
15 Maggio 2017
Robin Morgan

Traduzione di Giacomo Pontremoli

Non male come settimana, eh? Grazie, popolo americano! Ah, io c’ero… Cercavo di scegliere il tema del mio post sul blog, da un elenco che comprendeva: a) la celebrazione della sconfitta deliziosamente umiliante del disegno di legge Trump-Ryan per l’abrogazione dell’ACA-Obamacare;
b) la celebrazione dei Democratici del Senato con l’annuncio che ostacoleranno la nomina Gorsuch-Scoto; c) la celebrazione del tracollo del comitato di intelligence del Presidente grazie alla copertura FBI di Trump durante la campagna e la transizione – che ha dimostrato come Trump abbia mentito (di nuovo) quando ha accusato Obama di intercettazioni, individuando in realtà Trump stesso come possibile responsabile di alto tradimento in favore di una potenza nemica e straniera; d) la celebrazione del fatto che tutto ciò sia dovuto alla boriosa incompetenza del governo Trump e al suo regime Grand old party – ma ancor più ai raduni e municipi e telefonate dovuti a voi, il popolo americano. Ah, dimenticavo: e) la celebrazione del fatto che il legislatore del Nevada abbia approvato l’Equal Rights Amendment – certo, trentacinque anni dopo la scadenza congressuale (un altro scivolone del Congresso), comunque è un segnale incoraggiante per una rinnovata unità dell’Equal rights amendment.

Il lavoro delle donne non è mai finito

Ma invece di strafare in celebrazioni, ho deciso di guardare ad alcuni altri paesi impegnati a recepire i loro picchi di neo-destra – dato che è pertinente alla nostra lotta qui. E ho deciso di farlo attraverso una lente elettorale, a causa di una perdita personale la scorsa settimana.

Leticia Ramos Shahani è morta il 20 marzo, a ottantasette anni, a Manila, nelle Filippine. Era un’ex-senatrice filippina (il primo presidente donna pro tempore in quel Senato), ed era ambasciatrice, rappresentante delle Filippine in Romania, in Ungheria, nell’allora Ddr della Germania dell’Est, e in Australia. Quando ha criticato la corruzione una volta di troppo a casa, la scena internazionale è stata un luogo di lavoro più sicuro. Così Letty divenne un’importante ufficiale delle Nazioni Unite, presiedendo la commissione sulla condizione delle donne nel 1974, diventando Segretario generale aggiunto per lo sviluppo sociale e delle questioni umanitarie 1981-1986, e nel 1985 servendo come Segretario generale della Terza conferenza mondiale sulle donne a Nairobi, in Kenya. Era pacata, aveva una mente acuta, e regalava frasi di questo tipo: “Il mondo della diplomazia non è una professione per gentildonne. Dobbiamo competere con gli uomini – cosa che penso di aver fatto abbastanza bene, se così si può dire”. Anche se era nata in una famiglia potente (l’ex presidente filippino Fidel Ramos era suo fratello), ha combattuto le proprie battaglie, e senza trascurare i dettagli, come aver promesso di costruire un nuovo porcile per un collettivo di donne agricoltrici in un villaggio di montagna a Bontoc. È stata mentore di un’intera generazione di donne più giovani, ed era una femminista instancabile, una sorella, un’amica.

Anche se io vivo di penna, e dell’organizzazione di attivismo urbano, Letty, come la nostra grande deputata Bella Abzug, non mi ha mai fatto dimenticare l’importanza della politica elettorale. Il che ci porta al tema del presente.

In caso vi fosse sfuggito, il Primo ministro di centrodestra dei Paesi Bassi Mark Rutte ha vinto contro Geert Wilders, un virulento estremista di destra con una gonfia zazzera biondo-scopa che potrebbe ricordarvi qualcuno. Wilders ha condotto una campagna per la chiusura delle moschee, il sigillo dei confini ai musulmani, la criminalizzazione del Corano, la riscossione delle imposte sulle donne che indossano il velo in pubblico. Con ventotto partiti sulla scheda elettorale, Wilders avrebbe potuto vincere molto, gonfiando di vento le vele di altri candidati nazionalisti e populisti della nuova destra europea, come Marine Le Pen in Francia, che affronta gli elettori ad aprile, e i nazionalisti tedeschi di destra che sfideranno Angela Merkel in autunno. Questo, dopo uno scricchiolio di tre mesi fa in Austria, quando la destra ha quasi trionfato – ma non ha trionfato.

Ci sono delle lezioni da imparare qui, in particolare per quelle di noi che si affidano esclusivamente alle analisi economiche di Bernie Sanders per motivare la propria elezione. La nuova destra europea, emersa più o meno negli ultimi dieci anni, lancia una rete molto più ampia dell’economia – concentrandosi sulla paura, la nostalgia, il nazionalismo etnico, il risentimento delle cosiddette élite (suona alla Trump?). Ancor più significativamente – e Marine Le Pen ne è un perfetto esempio – questi destrorsi estremisti si sono riposizionati, rifiutando pubblicamente i simboli del passato, prendendo le distanze dagli skinheads, dagli omofobi e dai neonazisti. Hanno cercato di adoperare alcune nostre retoriche, alcune nostre politiche, alcune nostre circoscrizioni. Difendono lo stato sociale e la tutela dell’assistenza sociale, e fingono di abbracciare la laicità, i diritti delle donne, i diritti degli omosessuali. Poi individuano i nemici negli stranieri, specialmente nei musulmani, come principale minaccia a questi problemi.

Non commettere errori, questo è efficace. Ciò significa che gruppi che in passato non avrebbero votato neanche morti per un partito di estrema destra – femministe, giovani, omosessuali, comunità ebraiche, ecc. – potrebbero effettivamente aderire, fra i lavoratori europei e gli elettori meno istruiti, al rafforzamento di una nuova destra autoritaria e nazionalista. Come se non bastasse, questi partiti candidano astutamente delle donne.

Marine Le Pen è la più nota, ma in Germania c’è l’ex imprenditrice Frauke Petri; in Norvegia la pseudo-thatcheriana Siv Jensen; e in Danimarca Pia Kjaersgaard, fondatrice del Partito popolare danese di destra e attualmente presidente del parlamento danese; tutte queste donne stanno guidando o recentemente hanno guidato quelli che una volta erano partiti marginali (un’altra è Pauline Hanson, una parlamentare australiana il cui partito islamofobo One Nation è stato appena battuto dai laburisti di centro-sinistra). Queste donne non sostengono i diritti delle donne, oh no: nessuna priorità ai diritti riproduttivi o di lavoro, nessun legame con le circoscrizioni dedicate ai diritti umani e all’antirazzismo, anche se le donne compongono la metà di tutti i gruppi oppressi.

Invece, la nuova destra europea impugna il gender come un martello contro l’immigrazione, sostenendo che le prevaricazioni sulle donne in alcune comunità musulmane dimostrino quanto l’Islam minacci l’esistenza dei principi europei (come se l’Europa sia sempre stata un paradiso per le donne). Le Pen ha notoriamente detto: “Temo che la crisi migratoria segni l’inizio della fine dei diritti delle donne”. Eppure la violenza sulle donne e, per questo motivo, il sessismo e i diritti femminili, non hanno mai interessato prima questi gruppi di destra – se non come questioni da denunciare in quanto pericolose per la “famiglia tradizionale”. Adesso però si presentano come difensori delle donne (intendendo le “loro” donne) contro gli stupri e le molestie degli “Altri” – rifugiati, immigrati, musulmani. Ignorano opportunamente le donne migranti, in fuga da paesi distrutti dal colonialismo europeo.

Il destrorso populismo nazionalista europeo non ne ottiene i voti di tante tra loro – per ora. Ma Somini Sengupta ha detto sul “New York Times” che uno studio su diciassette paesi europei ha mostrato che le donne scelgono di non votare per l’estrema destra più per il suo ruvido, prepotente, meschino stile politico, che per dissenso ideologico – cioè associano la destra con storiche violenze, e la identificano con la stigmatizzazione del pubblico. Dopotutto l’Europa ha esperito per davvero il potere dittatoriale, in tutti i suoi orrori hitleriani, mussoliniani, franchisti, salazariani, stalinisti. Oggi la nuova destra sa anche questo; è quindi qui che può contare il sesso del candidato, dato che le donne sono rappresentate come politiche più tenui. Le prospettive di Le Pen dipendono infinitamente dalla sua capacità di corteggiare le donne, cosa che lei riconosce apertamente come una priorità.

Questo significa un certo numero di cose per noi, qui negli Stati Uniti.
Non necessariamente in ordine di priorità – perché di questi tempi tutto è prioritario – offro i seguenti punti-chiave (mi riservo di aggiungere altro a questa lista. Dovreste anche voi!)

Cinque modi per vincere

Dobbiamo affrontare il fatto reale che le ragioni fondamentali alla base dei nostri risultati elettorali sono stati il sessismo e il razzismo, anche se l’economia – insieme all’assurdo sistema del nostro Collegio elettorale, l’interferenza russa, la lettera di James Comey una settimana prima delle elezioni, l’incontro di un Bill Clinton demente con Loretta Lynch su una pista d’aeroporto, e un triliardo di altri elementi – ha alimentato il risultato.

Abbiamo il dovere di mettere maledettamente bene in campo le nostre donne, le candidate femministe reali, e finanziarle, sostenerle, esserlo noi stesse, diffondendone nel paese una quantità senza precedenti: a orde. Abbiamo bisogno di farlo a causa delle politiche che rappresentano e rappresentiamo, e sì, per il loro “stile”, col che non intendo il loro senso della moda. E abbiamo bisogno di collegare senza sosta i nostri candidati (donne e uomini) alle loro posizioni sui diritti delle donne e tutti gli altri diritti umani, accusando inesorabilmente la politica antifemminista delle nostre politiche sedicenti femministe.
Sono questi gli argomenti, scema, non la vagina!

Dobbiamo aggredire – e qui le femministe, come altri progressisti, hanno dormito – l’istintivo dogmatismo della sinistra. Come l’opposizione meccanica della sinistra alla globalizzazione, capace di snodarsi fino a sfociare nell’etnonazionalismo proprio delle destre. Come la protesta contro il Primo Emendamento che si trasforma nella violenza contro gli oratori dei campus, per quanto odiosi siano. Come alcuni studenti che rifiutano di leggere Mark Twain per i suoi ritratti del razzismo, o di leggere Il ratto di Lucrezia di Shakespeare e Il colore viola di Alice Walker perché contengono pagine di stupro di cui si teme lo “effetto innesco” (del rischio di emulazione, un importante nodo psicologico, si è abusato in alcune circostanze, degradandolo a manganello contro l’esposizione a una letteratura che arricchisce l’anima). Queste possono sembrare prepotenze comprensibili in giovani che, altrimenti, si sentono impotenti; ma sul piano tattico sono corrosive e controproducenti. Quando permettiamo al nostro pensiero di rimpicciolirsi, indeboliamo le nostre argomentazioni, e diamo benzina al fuoco delle destre sul cosiddetto “politicamente corretto”.

Dobbiamo diventare seriamente pluraliste, cioè rispettare e difendere la verità individuale altrui, ma anche seriamente laiche nella nostra politica – come lo intendono i nostri fondatori. Infatti il pluralismo è reso possibile dal secolarismo. Questo significa anche che dobbiamo essere oneste, e smettere di dire che in fondo l’Islam è una religione di pace quando – come ogni altra religione patriarcale – non lo è. Per esempio: quando dei non-musulmani ben intenzionati difendono assolutamente l’Islam, sono meno progressisti dei musulmani che combattono i propri fanatici. Ancora: è inequivocabile che alcuni testi islamici – come alcuni della Torah, dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento; come molti testi indù; come gli insegnamenti di tutte le altre religioni patriarcali – facciano apologia della violenza. Queste religioni sono formate da credenze rudimentali delle culture tribali da cui sono scaturite tutte le culture patriarcali che hanno fatto guerre per il territorio e la supremazia. Il problema è la religione – con la quale, concedo, è più difficile confrontarsi, ma che in definitiva dev’essere coinvolta. Per lo meno, però, dobbiamo contestualizzare ogni violenza commessa in nome dell’Islam con le violenze commesse in nome del cristianesimo dal Ku Klux Klan, da Timothy McVeighs, dal Movimento cristiano americano “Milizia”, con le violenze dei fondamentalisti indù incoraggiate dal governo di Modi in India, con le violenze alla fondazione di Israele e oggi dei coloni, con la violenza religiosa del Giappone contemporaneo, persino la violenza buddista nell’Asia del Sud, e così via, ad nauseam.

Noi femministe dobbiamo essere più chiare, più veloci, meno accomodanti, più spigolose, più coraggiose. Dobbiamo presentarci agli elettori come il femminismo reale, accusando le versioni falsificate della destra. Dobbiamo riconoscere i nostri numeri, il nostro fascino, la nostra energia e la nostra forza, tutti elementi evidenti nelle rivolte ambientaliste, nelle azioni dei cittadini in tutti gli Stati Uniti, la maggior parte delle quali sono state organizzate e vengono guidate dalle donne. Dobbiamo riconoscere l’enormità della nostra politica e agire di conseguenza. La risposta siamo sempre state noi.

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