Un miracolo non basta
In autunno è stato pubblicato da Donzelli un importante libro di economia, storia e politica, Un miracolo non basta di Francesco Silva e Augusto Ninni. Come recita il sottotitolo, il testo analizza le origini della crisi italiana tra economia e politica. Il saggio con dati e analisi molto accurate, e richiami anche ai saggi storici sul dopoguerra di Ginsborg e Crainz, vuole comprendere ciò che ha reso debole e incerto lo sviluppo italiano nel dopoguerra. Il famoso miracolo economico, appunto. I successi e le lacune che hanno poi portato l’Italia, dal 1989, a uno stato di perenne crisi e decrescita infelice. Gli autori chiariscono subito che non parlano di sviluppo economico pensando alla crescita del Pil ma osservano dati come l’educazione, gli squilibri nord-sud, i tassi migratori. Guardano all’Italia e al suo sistema nel complesso e dunque spesso citano anche la criminalità e la corruzione come componenti decisive della società italiana del dopoguerra.
Seppur riconoscendo i molti passi in avanti fatti dal Paese negli anni Cinquanta e Sessanta, con ad esempio tassi di occupazione, educazione crescenti e un sistema sanitario nazionale di buona qualità, almeno in parte del Paese, osservano anche le debolezze di questa crescita e soprattutto l’incapacità della classe politica di leggerne le trasformazioni sociali tanto da non poter guidare un cambiamento reale del paese. Sacrificando chi guardava a una società da rinnovare, come Moro, a favore di chi scelse facili scorciatoie per ridurre il conflitto sociale. E quindi un aumento vertiginoso del debito pubblico negli anni Ottanta dopo le proteste degli anni Settanta. In modo da narcotizzare il paese in vista del brusco risveglio del decennio successivo quando sono cominciati tagli e restringimenti dei diritti e del welfare faticosamente costruito.
Il saggio parla anche del ruolo della grande industria, spesso predatorio. Non sempre utile al paese che intanto aveva la capacità di far crescere un tessuto di piccole e medie imprese che hanno invece costituito l’ossatura economica degli ultimi decenni, anche senza ricevere i consistenti aiuti che la grande industria pubblica e privata ha invece ottenuto nei decenni precedenti. E infine si arriva a un accenno agli ultimi decenni. Con il tentativo degli anni Novanta di salvare il paese agganciandolo ai parametri europei e alle regole modernizzanti del contesto comunitario. E di come quest’ipotesi sia poi progressivamente fallita negli anni ’00 a fronte di resistenze politiche e sociali e della crisi del 2008. Con un paese che ha di nuovo sganciato il sud dalla sua prospettiva di crescita e soprattutto un paese dove i simboli dello sviluppo del miracolo, come il ponte Morandi, crollano disastrosamente.
La preoccupazione conclusiva degli autori è la mancanza di un progetto sociale e politico che sappia guardare al futuro, in tempi di sovranismo e di anti-europeismo. Un saggio davvero utile per comprendere le debolezze del presente anche se è precedente al dramma della Covid-19. Un dramma che sta riscrivendo il finale, del saggio e del destino dell’Italia.
Se gli autori si preoccupano di suggerire strumenti, come maggiori investimenti pubblici, per conciliare crescita con contenimento dell’ormai enorme debito pubblico, ora siamo in una fase diversa. Lo sforamento del debito e dei parametri europei è dato oggi come assodato, paragonando l’Italia alla Germania post-guerra. E l’impatto di questa crisi lo dimostra. Intanto il nostro sistema sanitario dopo anni di tagli selvaggi e delega al privato si è dimostrato incapace di proteggere tutti. È un fatto duro da ammettere ma molti sono stati lasciati indietro perché il sistema pubblico non arriva da tutti e può assistere solo alcuni. Soprattutto nelle grandi città. Manca un sistema di prevenzione diffuso sul territorio. I medici di famiglia da tempo sono chiusi nei loro studi, tra centinaia di pazienti, senza poter svolgere quel ruolo di prossimità che permetterebbe di ridurre l’incidenza di molte patologie. Le liste d’attesa nel pubblico sono interminabili. La qualità del privato garantita dalle assicurazioni lascia molto a desiderare. Le case di cura per anziani e persone fragili sono spesso delegate a un privato affarista, che non ha saputo e potuto reggere l’impatto del virus.
Il reddito di cittadinanza che è stato molto vituperato come strumento populista non produttivo ora è un’ancora di salvezza per molti nuclei familiari che si trovano definitivamente tagliati fuori dal mercato del lavoro e dalla società. Reclusi in quarantena, come tutti, nelle loro abitazioni. Inoltre il governo si è preoccupato di introdurre misure ancora più ampie di sostegno al reddito includendo, probabilmente, molte fasce di precariato sinora non censibili (lavoratori in nero, eccetera) perché soprattutto nel sud e nelle grandi periferie urbane si rischia la rivolta sociale. E la fame.
La politica di investimenti pubblici di cui parla il saggio di Silva e Ninni, che sembrava un’utopia mesi fa, ora dovrà essere una scelta imprescindibile avendo la capacità di accogliere le proposte dei molti studiosi che suggeriscono una forte revisione della spesa pubblica nel senso della giustizia, della valorizzazione dei beni comuni e del territorio e della riduzione di spese, come quelle militari, ritenute fino a ieri imprescindibili. La crisi economica e sociale prodotta da mesi di clausura dispiegherà i suoi effetti ancora per molto tempo. I turisti, che contribuiscono in modo consistente al Pil e alla ricchezza italiana, impiegheranno molto tempo prima di ritornare a invadere le nostre città. I consumi avranno bisogno di un lungo periodo di riassestamento. Il fallimento di moltissime attività è ormai un fatto assodato. La criminalità occuperà pezzi importanti del sistema economico approfittando del momento.
Gli autori del saggio temono nelle conclusioni che la società italiana abbia difficoltà a produrre un cambiamento. Mentre il dramma del virus potrebbe cambiare le carte in tavola. Lo shock prodotto da questa chiusura potrebbe rafforzare quelle reti di solidarietà che si sono mosse sin dal primo momento nel paese. E che hanno dimostrato il coraggio e l’iniziativa di molti nel sopperire alle lacune, a volte abissali, di un sistema politico e sociale malato anch’esso.
Papa Francesco ha detto “davanti alla sofferenza si misura il vero sviluppo dei nostri popoli” ed è “il tempo di scegliere cosa conta e cosa passa”. Forse siamo davanti a una possibilità. Quella di ragionare sul futuro di questo paese in termini di giustizia sociale e solidarietà. Di recuperare le molte buone pratiche realizzate, anche nel terzo settore, come motore di attivismo civico. Di ridare valore alle reti comunitarie che in questi giorni anche con gesti semplici, come portare la spesa ai più anziani, hanno dimostrato la prossimità all’altro che sembrava scomparsa. E siamo davanti anche alla riconsiderazione delle politiche migratorie del nostro paese. Chiuso da anni ai migranti come un carcere dove si soffoca. Mentre più che mai una società ringiovanita dall’immigrazione sarebbe necessaria per pensare al domani e anche per lavorare in settori che sembravano negletti, come l’agricoltura, e invece ritornano strategici e cruciali. Ma avremmo bisogno anche di investire sull’educazione e la formazione chiamando a noi medici italiani e stranieri che vogliano sostenere un settore evidentemente centrale del nostro vivere comune.
E appunto per trasformare questa crisi, dura e violenta, in un’opportunità ci vorrebbero diversi miracoli, forse una dozzina e non solo uno. E ora abbiamo la possibilità di realizzarne alcuni. Per uscirne più coesi, lungimiranti e meno cattivi del passato.