Un libro incomprensibile: Cyclonopedia di Reza Negarestani

Ho letto il primo libro tradotto nella nostra lingua del filosofo e scrittore iraniano Reza Negarestani. Non ci ho capito niente ed è stato magnifico.
Si tratta di Cyclonopedia. Complicità con materiali anonimi pubblicato in inglese nel 2008 e tradotto da Virginio Sala per Luiss university press, una casa editrice universitaria che si sta distinguendo per una scelta di saggistica coraggiosa e radicale. Il caso della Luiss press è quanto mai unico e paradossale nel nostro Paese: una casa editrice di una università privata che è indipendente nelle scelte ed è in grado di sperimentare e veicolare in italiano opere di saggistica finora rimaste escluse dal nostro dibattito. Il libro di Negarestani è la settima uscita della collana più all’avanguardia della casa editrice, quella con le copertine nere dal nome “Intempo”, che ha visto finora pubblicati tra gli altri gli scritti di Nick Land sul collasso e l’ultima opera del teorico ecologista Timothy Morton.
Cyclonopedia è considerato un testo underground di culto, capostipite della theory fiction, che mescola generi come il saggio scientifico e il racconto horror, e le discipline dall’esoterismo all’ecologia. È un libro molto eterogeneo che fa largo uso degli espedienti narrativi, come il manoscritto ritrovato, essendo un saggio filosofico a tutti gli effetti. In questo senso è molto utile l’introduzione del filosofo Sebastiano Maffettone che aiuta a collocare Negarestani all’interno di un dibattito odierno della filosofia contemporanea: la dialettica tra una riflessione tradizionale-accademica e una d’avanguardia legata a movimenti underground artistici, cyber e techno, debitore di Deleuze e Guattari (dei quali Mille piani. Capitalismo e schizofrenia ricorre più volte nel libro) e della filosofia classica tedesca da Kant e Hegel. Per Maffettone Cyclonopedia è un’opera sintomo della perdita di senso della filosofia contemporanea e dell’urgenza di elaborare una nuova metafisica. La causa di questa crisi, dovuta al clima culturale del postmoderno, una vera e propria temperie storico culturale, affonda nella crisi dell’idealismo kantiano e del superamento del dibattito tra filosofi analitici e continentali, da una parte Wittgentstein e dall’altra Heidegger come capostipiti di questa divisione novecentesca. Per questa ragione la necessità di una nuova metafisica è influenzata dalla dematerializzazione della rivoluzione digitale e da quella del transumanesimo, quel movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e superare alcuni aspetti della condizione umana. Negarestani rientra, allora, in quel “realismo speculativo” di cui il laboratorio più avanzato è stato il collettivo Ccru (Cybernetic culture research unit) nato all’università di Warwick alla fine degli anni novanta di cui hanno fatto parte proprio Nick Land, Sadie Plant, Timothy Morton e Mark Fisher di cui Realismo capitalista (Not 2018) è l’opera più nota e accessibile di questo gruppo e che ha aperto la diga a questa scuola di pensiero anche nel nostro Paese. Rientrano nell’insieme di questi nuovi pensatori i cosiddetti “accellerazionisti” Srnicek e Williams e anche il pensatore più peculiare di tutti, quel Byung-Chul Han che si muove tra oriente e occidente, dalla filosofia buddista alla scuola di Francoforte. Anche Negarestani si muove tra due mondi, occidentale e Medio Orientale, e grazie a questa prospettiva è in grado di individuare l’ideologia filosofica e politica sotterranea della nostra realtà, un’ideologia legata al petrolio e incentrata sul declino, che pospone il morire e perpetua uno stato di sopravvivenza capitalista.
Ma di che cosa parla Cyclonopedia? Difficile dirlo perché si è spiazzati di continuo da un oggetto narrativo e teorico che non ha termini di paragone. Libro impossibile, ricco di neologismi, diagrammi e schemi, per lunghi tratti dà l’impressione di trovarsi in un racconto “a la Bolano” scritto da Lovecraft, nel quale i riferimenti reali e inventati creano un gioco da scatole cinesi e le rivelazioni sembrano più incubi che illuminazioni. Tuttavia qualsiasi forzatura, per piegare un oggetto narrativo a qualcosa di conosciuto, è parziale.
Buona parte del libro si dice debitore delle scoperte dell’archeologo iraniano Hamid Parsani, di cui le opere sono ampiamente citate. È esistito o meno il dottor Parsani? Non è chiaro, non è importante, ma le sue tesi, a partire dalla scoperta di alcuni manufatti antichi come la Croce di Akht, nella quale sono inclusi i riferimenti coranici del Gog e del Magog (e quindi la decadenza, l’apocalisse), sono alla base della “paleopetrologia” sul petrolio: “un sole terrestre sepolto che deve essere esumato, un sole in decomposizione che trasuda una fiamma nera” e ancora un “lubrificante tellurico di tutte le narrazioni che attraversano il corpo della terra”. Anche l’antica parola inclusa nel corano Naft (olio), da cui la nostra “nafta”, rimanda a un demone, o meglio a una pestilenza inorganica perché il petrolio avvelena il Capitale come se fosse una malattia mentale di una civiltà tecnologica e avanzata. Per Negarestani “il Capitalismo era qui anche prima dell’esistenza umana, in attesa di un ospite” e il petrolio sembra un antico demone lovecraftiano sepolto in attesa di essere esumato: “il petrolio come produzione post mortem di organismi è vincolato alla morte”. Il petrolio è un iperoggetto che valica il senso e la metafisica a cui siamo abituati, come ha teorizzato proprio Timothy Morton.
L’immagine del Medio Oriente, corrotto e perforato proprio per estrarre l’oro nero, diventa paradigmatica del contemporaneo in declino e eternato in questo disfacimento. Il Medio Oriente ha un vantaggio strategico rispetto all’apertura della globalizzazione e del liberalismo: un vantaggio schizofrenico che preserva i suoi regimi dispotici e il suo modello economico. Il risultato paradossale è l’influenza di questa ideologia in quella che diventa una petropolitica: il commercio di petrolio non serve a ampliare la ricchezza di quei Paesi che lo estraggono o di quei sistemi produttivi, ma ingrandisce l’oleodotto stesso. È un sistema cefalo che si auto-alimenta.
Cyclonopedia ha una progressione a spirale o a cicli, come suggerisce il titolo, e l’unico modo per attraversarlo è con dei buchi logici. Il libro è pieno di fori che si aprono sul senso come quello dedicato al “complesso di ()hole” unico modo per tradurre la parola persiana Kareez’gar che implica sia la totalità che l’essere perforato, una perversione di pieno e di vuoto che rimanda alla “poromeccanica”.
Il petrolio con la sua “morbidità segreta e sotterranea” è l’organizzatore di un complotto tellurico-magnetico che investe sia le narrazioni politiche che quelle spirituali (gli ultimi capitoli sono dedicati alla critica del monoteismo). La sua natura non è né necrofila né vitalistica, non c’è spazio né per il pessimismo apocalittico né per l’ottimismo tecnologico, bensì è una pestilenza, un malessere diffuso.
Leggere Cyclonopedia di Reza Negarestani fa sentire come sul crinale di un passaggio di cultura, di epoca e di linguaggi: è un libro che sembra provenire dal futuro a cui non siamo ancora abituati, per questo è un’opera impossibile e a larghi tratti incomprensibile. Il senso di vertigine è dato dalla sua natura di opera di finzione allo stesso tempo teorica, che è anche una risposta alla ricerca di un pensiero radicale non legato al formalismo accademico.