Tutto il peggio della scuola italiana
(disegno di Armin Greder tratto da Noi e loro, Else edizioni 2019)
Che dire di più? Come spiegare meglio tutto il peggio della scuola italiana? Mi costa doverlo ammettere ma – pagina dopo pagina – mi sono scoperto d’accordo con quello che scrive Ernesto Galli della Loggia sul suo libro intitolato L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola, edito da Marsilo nel giugno scorso, proprio alla fine dell’anno scolastico. Un libro di ragionamenti partoriti da una posizione che non condivido, ma che infine hanno “ragione”, e l’atteggiamento anti-sinistro che avverto come letteralmente anti-patico riguarda le mie “ragioni del cuore” – direbbe il filosofo – ma il fastidio non mi impedisce un accordo di fondo su quasi tutto quello che Galli scrive sulla scuola italiana (e il “quasi” è più una cautela che una riserva). Infine cosa dice è più importante di come lo dice, ma ancora più condivisibile è il “perché”: sullo stato e sulla storia della scuola italiana non si può più mentire e peggio non si può tacere. Per la verità, qui va subito fatta una critica o presa una distanza: quando Galli dice che “Per anni non ci siamo accorti di quanto stava accadendo sotto i nostri occhi. Non ci siamo accorti di come, pezzo per pezzo, venivano smontate e gettate via parti decisive di quella scuola dove la maggior parte di noi è cresciuta e si è formata…” sta abusando di un Noi (maiestatis?) che non mi comprende e che – insieme a tanti altri Asini – mi offende. Al contrario, il sostanziale accordo sulle osservazioni e le conclusioni di Galli, lo si deve al fatto di averle largamente anticipate in anni da subito sospetti e, andando a ritroso, perfino durante le lotte e le colpe del sessantotto, nel quale c’erano molti più innocenti critici che incoscienti esegeti di una “contestazione” che ci si ostina a raccontare come una “rivoluzione” (per di più armata). Critici inascoltati e inefficaci d’accordo (ma anche il libro dell’autorevole Galli della Loggia non avrà ahimè alcuna possibilità di incidere sulla scuola presente e futura), ma attenti e attivi nel criticare sia l’illusione utopica che l’ideologia pedofila, nonché il progressismo cieco che ha ispirato la lunga trafila delle riforme che hanno reso deforme la scuola italiana… Anche noi, nel nostro piccolo, avevamo individuato la “nuova” fase cominciata con Berlinguer e i suoi quaranta soloni e – ministro dietro ministra, destra dopo sinistra – finita o sfinita nella inconsistenza pubblicitaria della “buona” scuola del giovane Renzi… E già denunciato la beffa di chiamare “autonomia” una libertà amministrativa sotto ricatto e per il profitto (della azienda scuola e non più dello studente cliente), mentre si andava mortificando la libertà e l’autorità di tutti gli insegnanti naufragati nella stessa barca… per tacer del cane bastonato, ovvero della fine del prestigio che fino a ieri li proteggeva…
A ciascuno il suo però, ed è vero che il libro di Galli della Loggia è attualmente il più ragionato e documentato intervento contro la deriva di una scuola pubblica che si è voluta parificata in tutti i sensi, e cioè “democratica” e “moderna” e “comunitaria” ed “egalitaria” e “funzionaria”, e chi più ne ha pensate più ne ha messe in nome dell’imperativo isterico dell’Aggiornamento, ovvero dell’assoggettamento alla società e dell’asservimento al mercato. Scuola scolara e non più magistra vitae, ma soprattutto scuola non più concepita come parallela a quella società che si doveva incontrare soltanto all’infinito, cioè dopo la fine dei suoi corsi di studio. Ecco, è “lo studio” quello che è venuto a mancare anzi si è finito per negare – sostiene Galli – a vantaggio del “lavoro”, inteso non più come sbocco professionale ma come addestramento immediato: un tempo fra il sapere e il fare c’era il mare dello studiare (a rischio di affogare). Adesso anche i sommersi vengono tutti salvati e, quel che è peggio, l’apprendimento si è snaturato in “appropriazione”: un contatto diretto con un dato da assimilare – spiega il libro a pagina 141 – invece di cogliere il valore simbolico e infine il “perché” del sapere ovvero il suo senso ma anche la sua funzione primaria… (corsivo ovvero riassunto mio).
Ma, come si vede, si sta andando sul difficile, e non è lecito estrarre frammenti e argomenti dalla densità di un saggio che delle incessanti riforme della scuola italiana ne discute la filosofia e ripercorre la storia, a partire da quella del ministro Gentile (che meno fascista non si poteva!) fino al fallimento di una internazionale quadratura del cerchio scolastico all’europea; un libro che cioè insegue gli anni e gli atti fino ad oggi, che poi è già il domani di una scuola per la quale probabilmente (rubando una profezia dell’amico Rastello) “un dopodomani non ci sarà”.
L’aula è vuota intitola sconsolato Galli, ma sa che è un titolo sbagliato perché invece è piena e ancora gravida di promesse e progetti che fanno della scuola un “servizio” vuoto a tempo pieno, verso il quale si incitano le famiglie – ovvero l’elettorato – a pretendere promozioni e consolazioni, gratifiche sociali e sostegni psicologici di ogni tipo e per ogni figlio… Questo sovraccarico di funzioni o di finzioni – si può aggiungere – illude il corpo insegnante di avere un’anima, e di poter compensare il basso livello economico con l’alto valore della missione sociale: ogni docente, per metà impiegato e per metà infermiere, si dimentica magari di avere un mestiere… Studiare dunque non riguarda più nemmeno lui, se non lo studio di quale atteggiamento, sentimento, procedimento è più conveniente adottare nell’epoca della dittatura della democrazia…
Ma “la sede propria della democrazia non sono le aule scolastiche”, protesta Galli della Loggia in un articolo pubblicato sul “Corriere” nel 2018 e di cui ricorda le tante avverse voci di protesta, soprattutto contro la provocatoria proposta di rimettere sotto la cattedra la “predella” che la innalzava. Forse invece aveva ragione anche su questo dettaglio, ovvero sulla distanza da ristabilire fra docente e studente, che era funzionale a una diversa trasmissione e una divisa responsabilità fra due doveri diversi, poi azzerati in nome dei diritti universali che finalmente ispirano il non-luogo di una aula-piazza dove non alloggiano le classi di una volta ma nuove “comunità” che si amano, si liberano, creano e si ricreano… Che poi ci siano maestri o professori all’altezza di questa concreta utopia è vero graziaddio, ma la norma o la moda che vuole che la libertà e l’uguaglianza e la fraternità non siano più scritte nella bandiera ma si inscrivano fra i banchi di una scuola senza più barriere, distanze, difficoltà, non è una riforma e nemmeno una rivoluzione, ma solo una ideologica e infine metodologica imposizione. Sì, siamo d’accordo anche sulla predella di Galli per rimettere a posto, se non la prospettiva, almeno la giusta prossemica fra adulti e ragazzi e perfino bambini, senza però prenderla troppo sul serio poiché la cattedra non è un pulpito ma un palcoscenico, con tutte le conseguenze che comporta per l’attore…
Il punto centrale e dolente è lo scambio avvenuto fra Istruzione e Formazione – insiste Galli della Loggia, (magari sbagliando nell’uso all’inglese della parola “educazione” che, secondo l’etimologia, vuol dire elevare, non allevare ovvero “formare”) – e quel punto ha dettato la linea che ha portato la scuola fuori dai suoi binari tradizionali, per spingerla a credersi rete metropolitana con cento stazioni e altrettante “formazioni”. Ma non c’è comunque nessuno e nemmeno il professor della Loggia che voglia fermare il futuro, ma soltanto si vuole invitare a riflettere di più, verificare meglio, forse addirittura correggere il tiro e – ha ancora ragione Galli – rimettere al suo posto “il passato” prima di spericolarsi nel futurismo degli stenterelli (maschera doc fiorentina…). E non per valorizzare la disciplina della storia, ma la sua “materia” in senso pieno e concreto, giacché il fare scuola è certamente alimentato dal Passato, in tutti i casi e in tutti i corsi. È infine il passato la miniera del docente, che può diventare sorgente del discente nel regolare e perfino banale cammino dell’istruzione…
Dico questo perché non si travisino le rimembranze e le riflessioni di Galli della Loggia (che talvolta sembrano riaprire l’eterna querelle tra gli antichi studi umanistici e le nuovissime “applicazioni tecniche”) per dargli del conservatore, del nostalgico, del reazionario – come qualcuno, nel suo Minimum fax, ha cominciato a fare… Peraltro la nostalgia e la conservazione e soprattutto la “reazione” si dovrebbero invece risvegliare davanti a una “distruzione della scuola italiana” che è sotto gli occhi di tutti, senza far differenze fra educatori mancati ed educandi maleducati… E stavolta davvero vale il “Noi” di più di una generazione e di tutta la popolazione scolastica di oggi e di ieri e ieri l’altro. Dare a Cesare tutta la sua parte di responsabilità è però giusto, visto che tutti i politici che hanno predicato e razzolato nella scuola italiana si sono sempre inorgogliti di aver dato un contributo nel nome e nel segno del Cambiamento a Nessun Costo: a modificare normative e mansioni o aumentare scartoffie e riunioni non si spende nulla e per di più si passa “alla storia”, come è capitato a tutti i ministri – nessuno escluso, annota Galli a pag. 38 – che alla fine di ogni anno scolastico cambiavano “le regole degli esami di Stato… con diabolica puntualità”. Ma anche il Cambiamento, prima di essere lo slogan di tutti i partiti, è il mantra evocato e recitato da tutti i loro elettori, e prima ancora da tutti “noi” consumatori. Già, perché il Mercato e la sua Cultura “non è un’area, ma è l’aria” che si respira tutti e che almeno a scuola si dovrebbe poter analizzare, studiare, e perfino criticare… chissà!
In questo studio e verso questa critica non si estende troppo il libro di Galli della Loggia, piuttosto concentrato sul “testo” della scuola che sul “contesto” più grande di lei e di tutti noi… Fermarsi al limitare delle influenze e dominanze della cultura del capitale e del mercato, è una scelta legittima e infine Galli ha tutto il diritto di voler restare sulle sue posizioni, anche se molte sono le occasioni e le considerazioni che potevano portarlo fuori tema scolastico e toccare il fondo del problema culturale di fondo… Un rimprovero però gli va fatto, quando la posizione presa diventa non solo antipatica ma errata, soprattutto per un professore di storia che non dovrebbe sempre buttarla in filosofia: parlo dell’ultimo capitolo da lui dedicato alla “vittoria di don Milani”, dove non ci sono inesattezze in quello che dice e cita e spiega a proposito della famosa Lettera a una professoressa, poi stralciata e adattata a lettera scarlatta della Scuola Democratica; ma resta invece grave che uno storico non la ricordi come un Atto e un Fatto, cioè come un gesto politico e non un testo di pedagogia. La storia di quegli anni era sì pervasa di ideologia, ma è un tessuto di avvenimenti e di azioni, di mobilitazioni e di discussioni che la Lettera di Don Milani – più di ogni altro intervento – ha alimentato, per non dire “convertito”.
Non è stato un bene chiudere un bel libro sulla scuola privilegiando la polemica anziché la gratitudine verso il piccolo libro di un grande prete che ha fatto prendere coscienza a un’intera generazione. Magari anche all’autore de L’aula vuota, che per forza ma anche per amore ha vissuto anche lui il periodo dove a scuola, come nella società, “la classe non era acqua”…