Tav e No Tav, ancora e ancora
Non c’è pace per il Tav, un’opera di cui da più di 30 anni si discute molto più di quanto non si costruisca.
Nonostante ciò, i progetti si moltiplicano e i costi lievitano: da una galleria a canna singola si è passati a una doppia canna per i treni in transito con un aumento di spesa di 4,4 miliardi di euro (85% più del previsto) raggiungendo i 9,6 miliardi di euro di cui solo 621 milioni pagati finora dall’Ue.
I primi accordi per l’alta velocità Torino-Lione risalgono al 1989, quattro anni dopo il raddoppio della linea storica del Fréjus tra Bussoleno e Bardonecchia, quando “La Stampa” titolava In Alta Val di Susa il treno ora vola a 140 chilometri l’ora (19 dicembre 1985, p. 14). Le polemiche sulla sua costruzione, che sono rimaste confinate in Val di Susa fino al Duemila e si sono estese all’intero Paese con gli sgomberi di Venaus nel dicembre 2005 e di Chiomonte nel luglio 2011, giungono adesso alle cronache internazionali perché anche la Corte dei conti europea (Cce), dopo la Corte dei conti francese nel 2016, ha ribadito l’incoerenza di un progetto perdente sotto ogni punto di vista: economico, ambientale e sociale. Un giudizio che fa il paio con la valutazione del ministero delle Infrastrutture italiano eseguita nel 2018 in autonomia, senza consultare né la Francia né la commissione europea, concludendo dopo sette precedenti analisi positive che i costi sarebbero molto superiori ai benefici: l’investimento porterebbe a un passivo di 6.9 miliardi di euro.
Dai mulini di Clarea all’Europa
Dallo scorso giugno il nuovo luogo della resistenza No Tav è una vecchia borgata di montagna, Mulini di Clarea, protetta da un bosco a monte del cantiere di Chiomonte, minacciata di sequestro ora e circondata di barriere in attesa delle commesse per l’avvio del tunnel di base.
Il conflitto, latente durante la pandemia, ha trovato una nuova miccia nel documento della Cce che ha analizzato la situazione dei megaprogetti di trasporto dell’Ue in programma dal 2013 e con scadenza nel 2030: autostrade, ferrovie e vie navigabili interne. Queste infrastrutture mirano a potenziare i collegamenti fra le reti nazionali lungo i nove corridoi della Rete transeuropea dei trasporti (Ten-T, Trans-European Networks) sulla quale cittadini e beni dovrebbero poter viaggiare senza soluzione di continuità, se si riuscirà a creare un coordinamento transfrontaliero sostenuto da una visione strategica del trasporto merci e passeggeri a livello dell’Unione. Dei nove progetti (https://ec.europa.eu/transport/infrastructure/tentec/tentec-portal/map/maps.html), tre attraversano l’Italia: oltre alla Torino-Lione che fa parte del corridoio Mediterraneo da Algeciras in Spagna attraverso Francia, Italia, Slovenia e Croazia fino al confine fra Ungheria e Ucraina, sono previsti un collegamento scandinavo-mediterraneo da Oslo e Stoccolma fino alla Sicilia attraverso Danimarca, Germania e Austria, e uno baltico-adriatico dalla Polonia all’Emilia Romagna attraverso Slovacchia, Repubblica Ceca e Slovenia.
Il documento della Cce si chiede se i miliardi di euro di spesa previsti siano stati pianificati in modo efficiente e se i benefici attesi saranno davvero raggiunti entro il 2030. Per l’analisi la Corte ha selezionato in 13 stati otto infrastrutture dal costo complessivo di 54 miliardi di euro e ha concluso che i principali megaprogetti transfrontalieri progrediscono più lentamente del previsto, che è probabile che sei su otto non funzioneranno a pieno regime per il 2030 e che il completamento della rete Ten-T sarà posticipato, mettendo a rischio l’efficacia di cinque dei nove corridoi.
Il collegamento ferroviario Lione Torino è, anche secondo la Cce, uno dei progetti più controversi. Il completamento dell’opera ha un ritardo di 15 anni, uno dei peggiori in assoluto. I benefici saranno realizzati a pieno solo dopo il 2030. Le previsioni di traffico sono, per usare un eufemismo, ottimistiche: il passaggio annuo di merci sulla linea attuale è di meno di 3 milioni di tonnellate, la previsione dei fautori della nuova linea è di 24 milioni di tonnellate nel 2035: un’attesa di crescita di otto volte.
Vi è inoltre un forte rischio che le ricadute ambientali positive siano sovrastimate. Il beneficio netto in termini di emissioni di Co2 inizierà solo fra decenni e dipenderà dagli effettivi livelli di traffico. Se questi raggiungessero la metà del previsto, occorreranno 50 anni dall’entrata in servizio dell’infrastruttura per compensare gli inquinamenti prodotti per la sua costruzione. Di benefici ecologici si riparlerà quindi ben più in là del 2080, perché il governo francese ha rimandato a dopo il 2038 le decisioni sulla tratta di linea oltre confine (che se non realizzata non permetterà il benché minimo aumento di traffico), sempre che nel frattempo non occorrano lavori di ristrutturazione, adeguamento etc. che sposterebbero l’ipotetico recupero ambientale ben oltre il prossimo secolo.
Infine, secondo la Cce la popolazione complessiva del bacino di utenza dell’infrastruttura, ossia a un massimo di 60 minuti di tragitto dalla linea ad alta velocità, è troppo poco numerosa per assicurarne la sostenibilità economica a lungo termine. In base ai parametri di riferimento, per raggiungere il pareggio di bilancio, una linea ad alta velocità dovrebbe trasportare almeno nove milioni di passeggeri all’anno.
Per queste ragioni, la Cce ritiene elevato il rischio che il cofinanziamento Ue di 2,7 miliardi di euro previsto per questa linea sia utilizzato in modo inefficace e raccomanda perciò alla Commissione europea di applicare gli strumenti di cui dispone per far rispettare i tempi di pianificazione dei megaprogetti, ma anche di esigere analisi migliori prima di fornire cofinanziamenti che dal Duemila hanno raggiunto la cifra di 23,7 miliardi di euro per megaprogetti ad alta velocità.
La discarica di Salbertrand
In valle intanto, mentre saltano le compensazioni e i benefici accessori per il passaggio del Tav promessi ai sindaci, vengono spacciati per gesti di generosità le opere e i lavori di bonifica dovuti al territorio per le devastazioni conseguenti ai cantieri delle infrastrutture – compresi i lasciti militari dei conflitti dell’Ottocento e del Novecento – che attraversano l’intera valle. È singolare che la magistratura e i giornali capaci di dettaglio per spiegare i 1.500 avvisi di garanzia e l’imputazione di mille persone in 120 diversi processi fino a imbastire accuse di terrorismo, sempre smentite in Cassazione, contro giovani attivisti, non prendano in considerazione anche i reati ambientali commessi alla luce del sole (o meglio, sotto l’ombra del Tav) come per la discarica abusiva di Salbertrand. In questo comune all’inizio dell’alta valle un’area di circa 16mila metri quadri è stata sequestrata dalla Guardia di Finanza nell’ottobre 2019 perché colma di 8mila metri cubi di rocce contenenti amianto. La bonifica, con un costo previsto di 4.650mila euro è stata presa in carico da Tel-T, (Tunnel Euralpin Lyon Turin) la società italo-francese incaricata di realizzare il Tav, che dovrà far sorgere in quella stessa area una cava di riduzione dello smerino estratto dal tunnel.
L’area di Salbertrand occupata dalla discarica è in affidamento a Itinera Spa (società del gruppo Gavio) fino al 2024. Un primo sequestro per “deposito di rifiuti pericolosi” era stato effettuato nel 2010, poi la zona è stata dissequestrata dal Tar nel 2011. Nel 2013, persistendo la situazione, il cumulo è stato nuovamente sequestrato e poi di nuovo dissequestrato nel 2015 per procedere alla bonifica. Itinera, a cui spettava l’onere della bonifica, ha presentato un progetto piuttosto singolare proponendo di “tombare” le rocce di amianto sotto una piattaforma di atterraggio per elicotteri, un’ipotesi che ha trovato diversi ostacoli all’autorizzazione, fino al nuovo sequestro del 2019 effettuato a tutela dell’ambiente.
A parte Pro-natura Torino con un esposto alla Procura rimasto finora senza risposta, nessuno si è preoccupato di indagare né sul contesto in cui è avvenuto né su chi abbia commesso il reato che rischia di restare “impunibile”. Non c’è traccia d’inchiesta su chi, come e da dove abbia portato a Salbertrand un carico di almeno mille camion carichi di rocce amiantifere.
In un contesto geofisico in cui i ritrovamenti di amianto non sono un caso isolato, una delle più accreditate ipotesi è che l’origine di questo materiale risalga alla galleria di Cesana-Clavieres progettata per i Giochi olimpici invernali di Torino 2006. I lavori di scavo presero avvio nel 2005 e come la maggior parte di queste opere non furono terminati in tempo. Ripresero al termine dei Giochi ma dopo pochi mesi vennero interrotti per il rinvenimento di rocce contenenti amianto. “La Stampa” del 23 febbraio 2012 scriveva che lo smerino doveva essere rimosso e preso in carico da una ditta francese, ma il prefetto di Gap aveva negato l’autorizzazione. Pertanto fu incaricata una ditta locale che effettuò lo sgombero portando a Salbertrand il materiale adatto alla vendita per calcestruzzi, mentre quello contaminato da amianto era destinato a una galleria di deposito sempre nello stesso tunnel, il cui scavo però non poteva cominciare prima di portar via quegli stessi scarti. Lo sgombero dev’esser stato portato a termine, perché la galleria di Cesana è stata inaugurata a dicembre 2014: 1.850 metri, dieci anni e un aumento dei costi da 30 a 56 milioni di euro.
Si coglie l’orientamento a lasciar cadere tutto in prescrizione alla vigilia di imponenti e contestatissimi lavori per la nuova linea. “Se è stato possibile abbandonare questo enorme quantitativo di rocce amiantifere proprio qui e con tutta l’attenzione che ora c’è per questo problema – si chiede Mario Cavargna, presidente di Pro-Natura – quale affidabilità si può dare alle promesse di vigilanza per lavori futuri che dovranno prestare attentissima selezione e smaltimento di ogni fibra di amianto, sia nel cantiere sia nei depositi previsti a Caprie e Torrazza? La cosa più preoccupante è che con l’inizio dei lavori queste zone verranno rese inaccessibili ai cittadini mediante l’uso di doppie file di reti, reticolati e sorveglianza armata” come attorno al cantiere di Chiomonte, sito strategico di interesse nazionale semi-abbandonato dal gennaio 2017.
Al dissesto economico e sociale, sui pendii del Tav si aggiunge quello ambientale. Dopo la frana di Bussoleno dell’estate 2018, che ha ricoperto un’area urbana di circa 35mila metri quadrati con uno strato di fango di più di un metro, innescata da una pioggia breve e intensa ma aggravata da “una matrice sabbiosa-limosa e cenere quale residuo dell’incendio che aveva interessato l’area nell’autunno del 2017” (Arpa Piemonte), un anno fa (3 luglio 2019) “Le Parisien” scriveva dei nubifragi sempre più frequenti e violenti che “ancora una volta hanno colpito la Savoia provocando l’interruzione della linea ad Alta Velocità (Tgv) che collega la Francia e l’Italia passando per Modane” a causa di una frana all’altezza del comune di Saint-Jean-de-Maurienne – il paese all’imbocco del previsto nuovo tunnel sul versante francese, 57 km dall’ingresso di Susa. Il transito ferroviario è stato ristabilito dopo tre settimane, il 25 luglio, con pochissima eco mediatica e nessuna lamentela sul versante italiano – a parte quelle dei pendolari che ancora scelgono il treno invece dei numerosi ed economici servizi di autobus per spostarsi da Parigi, Grenoble e Lione a Torino e Milano. Trenitalia in ogni caso non ha mai mostrato interesse a co-gestire quella linea perché in perdita. Può sembrare assurdo dopo aver sentito i proclami dei Si Tav, ma ancora oggi per comprare un biglietto ferroviario che porti oltre il confine di Bardonecchia ci si può rivolgere solo a Sncf (Société Nationale des Chemins de fer Français).
Nuovi scenari transfrontalieri
In valle intanto si consolidano le scelte di lotta nonviolenta, come quella di Nicoletta Dosio, le uniche capaci di unire nella solidarietà un movimento che ha contro tutti i poteri. L’ex insegnante di Bussoleno e proprietaria della trattoria La credenza – uno dei luoghi del movimento – ha compiuto una scelta di disobbedienza civile rifiutando ogni forma di detenzione alternativa al carcere ed è stata arrestata il 30 dicembre 2019. Deve scontare una pena di un anno per “violenza privata e interruzione di pubblico servizio” per aver fornito “apporto materiale e morale alla manifestazione” e per la “condivisione del progetto” (Cassazione gennaio 2020) con circa 300 partecipanti, al casello di Avigliana dell’autostrada Torino-Bardonecchia il 3 marzo 2012 quando dopo avere danneggiato due videocamere di sorveglianza i dimostranti costrinsero i casellanti ad alzare le sbarre e allontanarsi permettendo agli automobilisti di passare senza versare il pedaggio. Nicoletta Dosio, dopo aver anche respinto proposte per richieste di grazia perché non estendibili a tutti i No Tav, ha poi beneficiato a fine marzo 2020, assieme ad altri attivisti come Luca Abbà detenuto da settembre 2019, delle misure di riduzione del sovraffollamento negli istituti penitenziari per il rischio di contagio da Coronavirus. Sconteranno il resto della pena agli arresti domiciliari con applicato il massimo delle restrizioni, compreso il divieto di comunicare con l’esterno. Le loro riflessioni, infatti, sono sempre giunte solo indirettamente in valle: “Mentre scrivo, arriva il rumore dell’ennesima battitura alle inferriate – scriveva Nicoletta Dosio dalle Vallette di Torino – tra poco saranno alla mia cella…”. “Che la voglia di libertà diventi il virus più contagioso per l’umanità” – le rispondeva Luca Abbà, in uno scambio pubblico che aggiunge una nuova dimensione unitaria nell’immaginario della lotta della Val di Susa. Il movimento è in continua evoluzione, vede le prime scritte e i giovani drappi “Fff” (Fridays for Future) accanto a quelli dei No Tav e può annoverare fra le sue fila ora anche il neosindaco di Lione, Grégory Doucet, eletto il 29 giugno con la coalizione Europe-Ecologie-Les Verts – al secondo turno elettorale, caratterizzato in Francia da un’astensione record del 60% dopo il primo turno stravolto dall’emergenza Covid-19. Già il 1 luglio, due giorni dopo l’elezione, il primo cittadino di Lione ha chiarito il suo pensiero sull’opera ricordando che fra Lione e Torino esiste già un’infrastruttura ferroviaria che è sufficiente ed è su quella che si dovrebbe investire. Anche l’ondivaga sindaca di Torino, Chiara Appendino – nonostante si sia piegata alle decisioni governative del luglio 2019 favorevoli al progetto – si è più volte dichiarata contraria al nuovo tunnel. Paradossalmente, il Tav mai realizzato è riuscito nel suo intento: ha unito Torino e Lione, non sui binari ma nella contestazione di un’opera ormai anacronistica, oltre che antieconomica e ingiusta.