Storia di un cattivo maestro
Iniziamo dai fatti. Il 16 luglio 2013 la dirigente scolastica dell’istituto comprensivo “Alta Val di Sole” Cinzia Salomone invia al Servizio istruzione della provincia autonoma di Trento una segnalazione riservata nella quale elenca una serie di azioni del maestro Alberto Delpero che lo rendono un elemento “fortemente destabilizzante per l’intero istituto”. Delpero è accusato di boicottare i progetti comuni, di non rispettare programmi e programmazioni, di non valutare gli alunni, di votare quasi sempre contro i progetti di innovazione. Insomma, un cattivo maestro. La dirigente propone di “avviare la pratica per un trasferimento d’ufficio” raccomandando però la “massima prudenza: procedere solo in presenza di elementi sufficienti per ottenere una vittoria certa in caso, assai probabile, di impugnazione del procedimento”. A questa comunicazione riservata ne seguono altre, ma il Servizio istruzione, nel frattempo ribattezzato con l’orwelliano nome di Dipartimento della conoscenza, inspiegabilmente non interviene. Forse non è certo della vittoria. Finché, nell’ottobre 2016, Delpero non mette in atto l’ennesimo affronto: in quanto responsabile della sicurezza, scrive alla dirigente per segnalare il mancato rispetto delle norme in materia di salvaguardia della salute. La goccia che fa traboccare il vaso.
Il 14 novembre 2016 la dottoressa Salomone si appella nuovamente al Dipartimento. Ripercorre tutte le nefandezze consumate negli anni precedenti da Delpero e invoca l’invio di un ispettore. Tuttavia, la dirigente del Dipartimento della conoscenza non incarica un ispettore ma una dirigente scolastica, e non una dirigente qualsiasi, ma una di quelle che in passato ha frequentato lo stesso corso e lo stesso concorso della dottoressa Salomone. La dirigente/ispettrice non svolge alcun sopralluogo nell’ambiente di lavoro di Delpero, ma assolve il suo incarico nell’ufficio della dottoressa Salomone. La sua inchiesta conferma il quadro descritto da Salomone e consiglia “provvedimenti adeguati e urgenti”. Delpero viene così trasferito dal Tonale a Taio, in Val di Non, per incompatibilità ambientale. Chissà quale predilezione e affetto nutre la dirigente verso questo istituto noneso per arricchirne l’organico con un maestro dal profilo criminale. Oppure è convinta che cento chilometri al giorno di auto metteranno il cattivo maestro sulla retta via. Fatto sta che Delpero fa ricorso al tribunale e, finalmente, nel giugno di quest’anno il giudice gli dà ragione. Quest’anno tornerà a lavorare nella sua scuola, per la felicità dei suoi alunni e dei loro genitori, i quali si sono schierati dalla sua parte attraverso una lettera in cui esprimono il loro rammarico: “Nessuno di noi ha ancora capito perché i dirigenti della scuola trentina abbiano deciso di risolvere i loro conflitti con il maestro creando disagio ai nostri figli. E per di più usando per il loro accanimento contro il maestro soldi pubblici, cioè nostri!”. La soddisfazione del 100% dell’utenza non è cosa all’ordine del giorno nella scuola. Tutto bene quel che finisce bene? Non possiamo ancora dirlo, perché la Provincia ha fatto a sua volta ricorso in appello. Vedremo cosa succederà. Nel frattempo un consigliere provinciale ha presentato un’interrogazione per fare chiarezza su alcune evidenti irregolarità, come ad esempio la decisione di nominare come ispettrice una dirigente non abbastanza equidistante tra il maestro e la dottoressa Salomone.
Questa storia surreale andava raccontata per tanti motivi. Innanzitutto perché Alberto Delpero è un amico e un collaboratore della nostra rivista. Alberto appartiene a quella specie di maestri come Mario Lodi che affiancano all’attività di insegnamento lo studio, la ricerca e la politica. In lui sopravvive la migliore tradizione pedagogica italiana degli anni sessanta e settanta, un patrimonio culturale che la scuola italiana ha scelto di buttare via. Tra il 2011 e il 2013, Alberto è stato uno dei principali animatori di “Peio Scuola viva”, una scuola parentale fondata insieme ad alcune famiglie a Peio, in Val di Sole. Chi volesse sapere di più su questo esperimento pedagogico può vedere il bel documentario di Michele Trentini intitolato Alta scuola, che ha girato vari festival cinematografici; oppure, può anche leggersi gli articoli usciti sulla nostra rivista (numeri 8-9 e 33-34) in cui Alberto ha raccontato quell’esperienza (articoli che l’ispettrice provinciale ha usato come prove della cattiva condotta del maestro).
Ora, al di là delle surreali – insisto con quest’aggettivo – vicende legali, che ci fanno venire in mente il maccartismo e altri inquietanti precedenti storici (il fascicolo riservato era stato aperto all’insaputa di Delpero), a me sembra più opportuno riflettere sugli aspetti più propriamente pedagogici che possiamo ricavare da questa vicenda. Dietro l’accanimento della dirigente c’è sicuramente un rancore di natura personale, ma alcune delle sue accuse rivelano il grado di impoverimento culturale e umano che le istituzioni scolastiche hanno raggiunto. La dottoressa Salomone accusa Delpero di adoperare un sistema di valutazione scorretto poiché assegna a tutti i suoi alunni lo stesso voto, e di assumere atteggiamenti oppositivi e critici all’interno degli organi collegiali. Ma, come fortunatamente ha ribadito la sentenza, gli organi collegiali sono il cuore della democrazia all’interno della scuola e per il loro buon funzionamento “è indispensabile salvaguardare in favore dei componenti non solo la libertà di manifestazione del pensiero, ma anche il diritto di critica, anche severa e serrata”.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un progressivo svuotamento di autonomia degli organi collegiali. L’ultimo colpo che hanno dovuto subire è stato inferto dalla “Buona Scuola” che ha rafforzato il potere dei dirigenti, i quali in realtà a loro volta sono semplici esecutori di direttive che vengono dal centro. In barba alla tanto declamata autonomia scolastica. In Trentino questo processo è più accentuato che altrove, poiché le competenze amministrative in materia scolastica sono affidate direttamente alla Provincia autonoma. In Trentino il conformismo del ceto pedagogico, per diversi motivi, è forse più forte che altrove. Il fatto che tutte le scuole trentine siano dotate delle Lim (le lavagne interattive) e che qui i risultati dei test Invalsi siano sempre tra i migliori genera la certezza incrollabile che il sistema-Trentino sia un modello di eccellenza. Inoltre, le leggi nazionali vengono recepite con tempi e modalità diverse dal resto d’Italia e di conseguenza c’è spesso una sfasatura tra le mobilitazioni di protesta locali e quelle nazionali. L’opposizione alla Buona Scuola e il movimento degli insegnanti precari qui non hanno avuto grande seguito. Nei collegi docenti, gli insegnanti sono pronti ad alzare la voce su questioni sindacali, mai su problemi inerenti alla pedagogia. La pedagogia non è oggetto di dibattito, sia perché gli insegnanti spesso non la conoscono, sia perché non serve, gli esperti sanno già tutto, basta chiedere a loro come e cosa insegnare. E in Trentino di esperti ce n’è tantissimi: sono ad esempio quelli dell’Iprase (l’Istituto provinciale per la ricerca e la sperimentazione educativa), che dimostrano con le loro inchieste quanto sia efficace il metodo Clil per insegnare le lingue straniere in tutti i gradi di scuola; sono i tecnoentusiasti che organizzano i festival dell’educazione intitolati “Algoritmi educativi”; sono infine quelli che nei corsi di aggiornamento spiegano come bollare bambini e adolescenti con delle sigle, pur di non ammettere che non esistono disturbi dell’apprendimento ma solo diversi modi di apprendere. Un flusso continuo di discorsi che certificano il fatto che qui viviamo nel migliore dei mondi possibili. Dubitare non è consentito: sarebbe come introdurre un granello di sabbia nell’ingranaggio della Macchina.
Tra le tante accuse rivolte dalla dott.ssa Salomone a Delpero c’è quella di “assegnare a tutti gli alunni sempre e soltanto il giudizio di buono”. Nella patria della Montessori e di don Milani, è deprimente scoprire che, negli alti livelli dell’amministrazione scolastica, persista ancora una concezione selettiva del voto. In un documento condiviso con i genitori dei suoi alunni, il maestro Delpero ha illustrato la sua personale visione della valutazione, che si ispira agli insegnamenti della migliore tradizione pedagogica: “La gratificazione dell’alunno” scrive Delpero “viene dal piacere del fare e dal veder crescere le proprie conoscenze e competenze. Lo stimolo ad apprendere è innato in ogni individuo. Poiché sono tenuto per contratto a compilare la scheda in ogni sua parte, il mio rifiuto del voto selettivo consiste nell’assegnare buono a tutti gli alunni. Del resto tutti i bambini che frequentano la scuola del Tonale vengono a scuola con un atteggiamento positivo, ognuno dà ciò che può a seconda delle sue possibilità. Non c’è nessun genio (o perlomeno non si è ancora manifestato), nessun secchione che si rovina la salute sui manuali scolastici così come non c’è nessun Lucignolo che programma e persegue il proprio totale rifiuto della scuola. Persone in gamba, buoni bambini insomma”. Che affermazioni come queste suonino eversive ci dà la misura di quanti passi indietro abbia fatto la scuola italiana negli ultimi vent’anni.
Per concludere lasciamo ancora una volta la parola ad Alberto, che in uno dei suoi articoli incriminati scriveva:
“Chi parla di riforme della scuola o è in malafede o non ne conosce la realtà. Certo, la sua bella Rivoluzione con tanto di ghigliottina e piazze inneggianti al boia e con i suoi Comitati di salute pubblica e affini potrebbe sì far girare la banderuola. Ma il rinnovamento rivoluzionario è cosa vecchia, è illusorio, effimero, la reazione poi si rifà abbondantemente e si piglia anche gli interessi. E poi non siamo avvezzi alla vista del sangue, non potremmo partecipare. Teniamoci la scuola così com’è. Lasciamola ai suoi riti, ai suoi calendari e orari. Lasciamola alla politica e ai sindacati. Lasciamola ai miti del nostro tempo: internet e inglese: mezzi transustanziati in fini. Lasciamola in balia delle maree che di volta in volta la spiaggiano su questo o quel falso problema evocato da un giornalismo apprendista stregone. Ai proclami palingenetici e risolutivi. Ormai il suicidio è avvenuto, non possiamo farci niente. Nemmeno capire, quello di darsi la morte è sempre un atto insondabile”.