Sgomberi estivi. Milano
di Lorenzo Velotti

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 44 degli Asini: acquista il numero e abbonati per sostenere la rivista.
Il Laboratorio universitario metropolitano (LUMe), formatosi nell’aprile 2015 a Milano, può essere considerata un’esperienza unica nel panorama della politica studentesca italiana. Per quanto nato con un’occupazione e ideologicamente collocato a sinistra, LUMe ha poco a che fare con la classica nozione di centro sociale della tradizione antagonista, in quanto fonda la sua esistenza sull’arte e sulla cultura ancor prima che sulla politica. In altre parole, viene messa a disposizione di studenti e lavoratori una possibilità di creazione e fruizione collettiva della cultura e dell’arte, ancor prima di richiedere un impegno o una coscienza politica. Per il tipico studente universitario contemporaneo disinteressato è normalmente difficile entrare in contatto con uno spazio sociale e con la politica studentesca. Di questi tempi, che un giovane universitario che mai si è interessato alla politica entri in un centro sociale, si interessi veramente alle attività che vi si svolgono, partecipi a un’assemblea, faccia parte di un collettivo e si formi una coscienza critica sul mondo, è un processo piuttosto insolito. Questo studente vede il famigerato centro sociale con gli occhi dei media mainstream ed è difficile che, non avendoci avuto niente a che fare prima, possa avere il coraggio e l’interesse di capire veramente di cosa si tratti. Anche perché, ammettiamolo, il centro sociale classico non ha normalmente molto tatto con questo tipo di studente: non è infatti un volantino né una serata reggae ad avvicinare uno studente apatico che, in fin dei conti, è disprezzato dal centro sociale stesso, in parte a ragione e in parte no. È in questo che LUMe compie una delle innovazioni più rilevanti, proponendo allo studente medio disinteressato (certo, che abbia una qualche inclinazione o interesse artistico) la possibilità, ovvero lo spazio umano e fisico, di creare e di fruire della creatività altrui collettivamente. LUMe dà la possibilità di mettere la propria arte a confronto con quella di altri studenti, di dibatterla e di presentarla a un pubblico, gestendone insieme e sostenibilmente la produzione e l’organizzazione. Queste pratiche collaborative stimolano lo spirito critico e la crescita interpersonale dello studente medio disinteressato, che scopre così quanto tutte queste attività facciano parte della politica, e che questa politica non sia necessariamente qualcosa di lontano, o estremo, o corrotto, ma che sia anche e soprattutto l’affascinante arte del vivere insieme. E a questo punto lo studente non avrà paura, avendo partecipato alle numerose assemblee per l’organizzazione del concerto, lo spettacolo o la mostra, di passare alla stanza accanto e interessarsi al problema del rapporto tra la politica istituzionale e l’arte, della gestione manageriale della cultura, dei pochi fondi all’istruzione, eccetera. E da lì, forse, potrà spingersi a interessarsi al problema del razzismo nei confronti dei migranti, o all’inuguaglianza globale, e così via, entrando in un circolo virtuoso che lega la cultura alla politica, usando la prima come un trampolino di lancio per la seconda. Una volta che la politica acquisisce la dovuta importanza nella mente del giovane artista, anche la sua arte si carica di una coscienza politica nuova, rendendo ancor più virtuoso l’intreccio tra le due e rivelando la loro fondamentale importanza reciproca. Ciò che si verifica è dunque una produzione di valore, tanto culturale quanto politico, attraverso la cooperazione artistica.
È doveroso precisare, in ogni caso, che l’elogio al modus operandi di LUMe non ha affatto l’intenzione di creare una gerarchia di merito tra centri sociali, ognuno diversamente valido nella propria posizione, funzione e connotazione, bensì quella di riconoscere delle virtù particolari e originali come quella dell’importanza data all’arte e all’inclusione. Va inoltre menzionato quanto anche lo spazio fisico di cui LUMe ha goduto finora sia stato fondamentale per il raggiungimento di fini così innovativi e ambiziosi: si trovava infatti a pochi passi dalla sede principale dell’Università statale di Milano, nella pittoresca ex sacrestia della chiesa di San Nazaro – tra l’altro citata nella Storia della colonna infame di Manzoni – poi divenuta bottega, e infine abbandonata per più di dieci anni. Caratterizzato da numerose stanzette su diversi piani collegati tra loro da minuscole scale, e da una meravigliosa cripta dove si svolgevano concerti e spettacoli, era il luogo perfetto per l’esplosione culturale e artistica voluta da LUMe. In questi due anni infatti, dentro le mura dell’ex sacrestia sono stati ospitati centinaia di concerti, conferenze, spettacoli, mostre e vari eventi autofinanziati, la cui logica, opposta a quella del profitto, è stata quella della diffusione e dell’accessibilità dell’arte. Ciò è stato possibile anche grazie a una peculiare organizzazione interna, fatta di tavoli di lavoro connessi in un’ottica di compartecipazione, contaminazione e scambio continuo. Tra questi troviamo il tavolo di teatro, per esempio, che consiste in un gruppo di studenti delle principali accademie di recitazione di Milano che, da una parte, rende LUMe una fucina di talenti artistici, dall’altra, rende possibile l’accesso al teatro a un pubblico, quello degli universitari, da cui è spesso considerato lontano e inaccessibile. Il tavolo cinema, invece, ha tra i suoi progetti principali la Lumeteca: l’organizzazione di rassegne cinematografiche che vanno dai grandi classici alle autoproduzioni, a sostegno del cinema indipendente e fuori dai circuiti mainstream. Ci sono poi il tavolo musicale (che ha fondato l’Ensemble Conserere), il tavolo di scrittura, il laboratorio di musica hip hop e il tavolo di arte e progetto – composto da studenti del Politecnico di Milano e dell’Accademia delle belle arti di Brera – che ha la funzione di garantire uno sviluppo progettuale dei diversi percorsi intrapresi da LUMe, gestendo le diverse declinazioni artistiche che lo compongono e l’organizzazione dei diversi spazi espositivi. Il tavolo politico, infine, si occupa di portare avanti le riflessioni ideologiche che ogni esperienza militante porta con sé, e di farne uno strumento vivente attraverso il quale garantire alla prassi artistica e culturale un legame profondo con le sue convinzioni e attività politiche.
La collaborazione tra questi tavoli, riuniti nell’assemblea plenaria, porta a una critica dell’industria culturale contemporanea e alla costruzione di pratiche e progetti alternativi nei confronti dell’accesso alla cultura. Per questo LUMe ha voluto essere uno spazio in cui attività artistiche come il teatro e il jazz non costassero più di tre euro, ma dove allo stesso tempo gli artisti potessero contare su un compenso assicurato: in altre parole, una realtà in cui gli artisti non dovessero lavorare gratis e dove il pubblico non dovesse necessariamente essere benestante. È questa che viene rivendicata da LUMe come l’arte sostenibile e accessibile di cui si fa portavoce. Inoltre è stata data la possibilità, rara per degli apprendisti, di confrontarsi con un pubblico non solo di studenti, ma anche di attori professionisti, registi teatrali e direttori artistici di importanti teatri milanesi, oltre a professori di jazz e a musicisti di fama internazionale, che non solo hanno spesso assistito agli spettacoli per individuare e promuovere gli artisti migliori, ma hanno soprattutto contribuito alla creazione di una programmazione musicale e teatrale di altissimo livello. Così, dalla cultura istituzionale (teatri, cinema, sale jazz, eccetera), LUMe non è ottusamente considerato come un rivale che non paga le tasse, bensì come un alleato giovane e per i giovani, che giova tanto alla città quanto alla cultura presente e futura.
Eppure, l’esperienza di LUMe nello stabile di vicolo Santa Caterina è finita bruscamente questo 25 luglio, quando nel totale silenzio dell’amministrazione, di mattina presto e senza alcun preavviso, LUMe è stato sgomberato e addobbato di filo spinato da digos e polizia. L’edificio, il cui proprietario ha nel frattempo risolto degli inghippi giudiziari, è ora pronto per essere ristrutturato e messo in vendita. Mentre i più importanti esponenti della destra milanese, alla notizia dello sgombero hanno esultato fragorosamente, il centrosinistra alla guida dell’amministrazione comunale ha taciuto. Nonostante la solidarietà di alcune aree della sinistra tra cui i Giovani democratici, Sinistra X Milano e Possibile, insieme a un coro di protesta proveniente dal mondo della cultura, dell’associazionismo e della sinistra extraparlamentare italiana ed europea, quello dell’amministrazione comunale è un silenzio pesante. Le motivazioni ufficiali – banalmente la proprietà privata dell’edificio, la procedura legale e la responsabilità diretta della questura e non dell’amministrazione – non bastano a colmarlo. Infatti, da una parte ci sono le procedure giudiziarie, che giustamente agiscono in modo autonomo dal Comune, ma dall’altra c’è – o perlomeno ci dovrebbe essere – la politica, di cui il Comune è il primo responsabile. E per un’amministrazione che si dice di centrosinistra e che afferma di annoverare tra le proprie priorità la cultura e gli studenti universitari, la preservazione, la garanzia di una continuazione, o per lo meno l’interesse per una realtà come LUMe dovrebbe essere una priorità politica. Un’amministrazione che spende centinaia di migliaia di euro in eventi culturali mediaticamente imponenti ma che non si interessa al seme più spontaneo di questa cultura, che viene dai giovani universitari della città e che attiva socialmente la fascia più energetica, e allo stesso tempo priva di mezzi, della popolazione, è un’amministrazione ipocrita. Per questo, il giorno dello sgombero i ragazzi di LUMe hanno organizzato un grande presidio, chiamato #lumenonsispegne, nella piazza accanto a vicolo Santa Caterina, fatto di musica, teatro e una partecipatissima assemblea, nella quale si è ribadito quanto LUMe non si limiti a uno spazio fisico, ma sia un vero e proprio movimento culturale e politico, che continuerà a vivere nelle strade e nelle piazze della città. Così, per il resto dell’estate, è stato organizzato l’evento LUMeincittà, con un obiettivo semplice: portare tutte le realtà che hanno animato LUMe come spazio fuori dalle sue mura, trasferendo la Lumeteca, il Jazz e il teatro nelle piazze. Questo fino al 23 settembre, giorno per il quale la grande assemblea di #Lumenonosispegne ha chiamato all’appello tutto il mondo della cultura italiana per dare vita all’“Assedio culturale”, un grande presidio mira a coinvolgere il maggior numero possibile delle realtà culturali cittadine e nazionali. L’assedio avrà luogo in piazza della Scala, scelta dalla forte portata simbolica in quanto su di essa si affacciano da una parte il Teatro alla Scala, tempio dell’arte tradizionale ed elitaria della città, e dall’altra Palazzo Marino, la sede del Comune.
La prima rivendicazione che viene fatta attraverso l’assedio è quella generica del valore della cultura sostenibile e accessibile a tutti, artisti e fruitori, di cui LUMe si è fatta portavoce. In altre parole, un inno all’importanza della cultura per una società democratica, e in particolare che si veda garantita in modo sostanziale la possibilità di fare arte, cultura e socialità attraverso le modalità orizzontali che hanno contraddistinto LUMe. Ma c’è anche una rivendicazione più specifica e politica, ovvero il fatto che LUMe è un movimento che non vuole morire a causa di uno sgombero di una palazzina, e che le sue attività, volute, richieste e godute da tanti milanesi, non finiranno. È degno di nota come anche le iniziative pubbliche di #LUMenonsispegne, di LUMeincittà e dell’Assedio Culturale hanno dei caratteri profondamente diversi dalla tipica prassi di una reazione a uno sgombero. Infatti, non si è pensato alle barricate, a qualche cassonetto incendiato e a una rioccupazione automatica di uno stabile più periferico, bensì alla rivendicazione pubblica delle proprie attività e del proprio diritto a esistere, come creatori di politica e cultura che, in quanto critiche, antagoniste, d’opposizione, rappresentano la chiave della democrazia. La reazione di LUMe non mira semplicemente a ottenere un altro spazio, ma a portare dalla propria parte l’opinione pubblica, creando così una pressione reale nei confronti del Comune, e della politica in generale, riguardo alle vere necessità culturali, associative e studentesche della città. In un’estate in cui in Italia gli sgomberi – vedi Milano, Bologna, Roma – sono stati una pratica quotidiana, il messaggio dev’essere unanime: le necessità – culturali, sociali, politiche o esistenziali – delle città e di chi le vive non possono essere represse con gli sgomberi, ma devono essere soddisfatte con delle politiche adeguate.
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