Ricordo di Sarah Maldoror
Si è spenta a Parigi lo scorso aprile per le conseguenze della Covid-19, Sarah Maldoror, una delle voci più importanti del cinema anti-coloniale. Nata Sarah Dourados il 9 luglio del 1929 da una famiglia originaria della Guadalupe, sceglie per se un nuovo nome, Maldoror, esplicita citazione dei canti di Lautréamont e fonda da giovanissima una compagnia teatrale, Les Griots. Frequenta la libreria Présence Africaine, stringe una forte amicizia con Aimée Césaire e altri esponenti del movimento della negritudine, legandosi poi a Mário Pinto de Andrade, un’intellettuale angolano esule a Parigi, da cui avrà due figlie. Coglie al volo l’opportunità di studiare cinema a Mosca sotto la guida di Donskoj e Guerassimov negli studi Gorki dove conosce Sembène Ousmane, che si formava anche lui nell’arte del cinema.
Nel 1963 si trasferisce ad Algeri a quel tempo capitale dei rivoluzionari di tutto il mondo, come ebbe a dire Amílcar Cabral, è assistente alla regia di Gillo Pontecorvo durante le riprese de La Battaglia di Algeri. Successivamente debutta alla regia con Monangambé, un breve film ispirato a un racconto di Luandino Vieira, che è una raffinata quanto ferma denuncia della violenza coloniale. In seguito, su invito del Paigcv di Cabral, parte per la Guinea Bissau per girare Des fusils pour Banta, purtroppo andato perduto dopo essere stato sequestrato al ritorno della regista in Algeria per aver dato troppo spazio alla lotta delle donne al fronte, fuori dall’ortodossia dell’Fnl.
Maldoror viene, espulsa dall’Algeria. In piena guerra per l’indipendenza, uno dei movimenti per la liberazione dell’Angola, l’Mpla di cui Mário Pinto de Andrade faceva parte, decide di finanziare Sambizanga, anch’esso ispirato a un testo di Luandino Vieira, che racconta l’inizio della lotta armata in Angola. Il film, girato a Brazaville, vince il Tanit d’oro al festival di Cartagine nel 1972, un riconoscimento importante non solo per un film moderno e esteticamente innovatore che rivela una incredibile padronanza della tecnica cinematografica, ma anche per la lotta contro il colonialismo portoghese.
Maldoror si trasferisce in Guinea Bissau, realizza altri film tra cui Carnaval a Bissau, le cui immagini vengono usate in Sans soleil de Chris Marker che nel 1979, su invito di Maldoror e Pinto de Andrade aveva passato qualche mese a Bissau con Sana Na N’Hada, Flora Gomes, José Bolama Cobumba et Josefina Crato, quattro giovani registi che Cabral aveva mandato a Cuba per studiare cinema con Santiago Álvarez.
Il cinema di Maldoror non è mai stato un cinema d’autore nel senso sterile del termine, piuttosto la sua cifra è stata la capacità di creare in ogni storia raccontata una dimensione di canto collettivo, un racconto comune capace di cogliere il valore che certe azioni, o certe storie hanno per una determinata condizione e per una determinata comunità. Un’idea di cinema tecnicamente ed esteticamente moderna, in cui le donne e le loro storie hanno un ruolo attivo e centrale, che sfugge alla facile tentazione di una militanza cieca, rivelando la capacità di riconoscere la bellezza delle storie delle persone e del loro contributo a un progetto comune. Lo rivelano film biografici come quelli realizzati su Aimé Cesaire, René Depestre e León G. Damas, ma anche piccoli gioielli come Un dessert pour Constance, del 1983 una storia di immigrazione africana in Francia. Il suo ultimo progetto, purtroppo non realizzato, era un film su Fanon. Un vero peccato.