Quando il potere è onnipresente
Il sottotitolo di “Anarchia”, agile sintesi teorica e storica di Colin Ward edita da Elèuthera, non mente, sia nella sua originaria dizione inglese, A very short introduction, sia nella versione italiana, Un approccio essenziale. Colin Ward aveva ideato e diretto riviste e conosceva bene l’arte della comunicazione – tutt’altra cosa dall’astuzia malefica della pubblicità, tesa a ingannare il lettore (l’acquirente), alla menzogna invece che alla verità. Aveva una piena e serena coscienza dei propri mezzi e di uno dei molti doveri che si era assunto, che possiamo riassumere nella definizione di educatore militante. E se altrove trattava di cose nuove a partire da salde convinzioni maturate nello studio e nell’esperienza, in opere come L’anarchia, dettate dalla necessità di divulgare un patrimonio enorme di idee e di pratiche, di riassumerne il significato e di indicarne il valore, di trasmetterne l’essenziale ma indicandone e affermandone tutta l’attualità, egli si è assunta una responsabilità invero primaria e delicata: quella di riassumere nel modo più limpido ed efficace, secondo un’arte – quella dei manuali, di cui il tempo presente sembra aver perso il segreto, travolto com’è dalla rapidità delle trasformazioni – che è il risultato di studio ed esperienza, il portato di una storia vissuta da dentro con la modestia del militante di base e la coscienza del vero intellettuale, Anarchism, 2004. Titolo e data della prima edizione inglese di questa perfetta sintesi sono significativi: siamo nel nuovo secolo e di fronte a una mutazione profondissima dell’assetto economico sociale ecologico dell’intero pianeta, chiamata dagli uni globalizzazione e dagli altri post-modernità; siamo di fronte, per Colin Ward, alla responsabilità di far agire le convinzioni maturate da esperienze secolari in un’epoca del tutto diversa e radicalmente nuova, della quale egli ha intuito tutta la pericolosità. E mentre su alcune cose (fondamentali) il tempo ha dato ragione alle idee dei pensatori più radicali del Novecento (come i nostri Malatesta o Berneri, o gli statunitensi Macdonald, Goodman, più di recente Bookchin o Berman, ma anche altri di altra impostazione tuttavia assai vicina a quella anarchica, come Orwell e Camus, Simone Weil e Capitini, Caffi e Chiaromonte), per esempio sul “comunismo reale”, e ha confermato i pericoli (e i disastri) del dirigismo oligarchico o dei fondamentalismi d’ogni specie, del centralismo statalista e delle culture uniche, su altre il potere continua a imporre modelli aberranti e nuovi e ancora l’ideologia di fondo del progresso e dallo sviluppo secondo la vocazione totalitaria e distruttiva del capitalismo, già denunciata, come Colin ricorda, da Herzen o Bakunin ma anche da tanti altri con loro, come Mazzini o Gandhi. Mentre critici più recenti, come Ivan Illich, Anders o Ellul con più chiarezza di tutti, hanno puntato la loro attenzione sull’insensato e ormai incontrollabile dominio della tecnica, sulla sua distruttiva autonomia…
“L’anarchismo vuole tornare all’individuo e alla comunità, il che non è ‘pratico’ ma necessario (cioè rivoluzionario”, dice Dwight Macdonald citato da Colin. Ma come farlo, oggi e proprio oggi, nel nuovo secolo, nella nuova era? Come reagire alle contraddizioni nuove che quest’epoca apre in tante parti del mondo, e in particolare alla violenza dell’evoluzione economica, tecnica, mediatica con cui il potere (il sistema che esso afferma – e “sistema” è una parola da rimettere fortemente in uso) ci controlla e conquista nella parte del mondo in cui viviamo, l’Occidente, l’Europa? Come cercare e costruire solidarietà e fratellanza nelle parti del pianeta sinora meno fortunate della nostra, quando infine il mondo si è fatto uno – nel male ma anche nel bene visto che ci offre come mai prima delle possibilità di azioni comuni, e obiettivi comuni, idealità e pratiche comuni?
È qui che si avverte meglio la necessità e l’importanza di questa breve opera di Colin Ward, quando egli critica senza mezzi termini “il culto dell’io” di Stirner, tramutato di fatto nella “cultura del narcisismo”, analizzata da Lasch nella sua miseria sostitutiva di un’autonomia, un trucco del sistema tra i più efficaci elaborati dalla cultura del potere per illudere il singolo di una forza che non ha, e di conseguenza un’idea risibile di anarchia, ma anche quando dimostra il perenne valore delle pratiche antiche del mutuo appoggio soprattutto qui e ora, nella nostra nuova condizione di espropriati dalla possibilità di incidere con la politica – sempre più controllata dal potere, sempre più parte attiva e servile del sistema – sulle sorti nostre e del pianeta. La forza dei piccoli gruppi, tra resistenza, studio, azione, impegnati nella costruzioni di reti ben diverse da quelle fasulle proposte dai propagandisti più attivi del sistema vigente con la loro web-ragnatela per catturare piccoli singoli insetti e divorarli, è ancora una chiave fondamentale dell’agire sociale in direzione contraria a quella del sistema, qualora essi non si chiudano in un “ben fare” che supplisce alla messa a morte del welfare ma contemplino un’idea di resistenza attiva e cosciente. Il fine: l’autogoverno locale, la federazione delle esperienze, la presa in carica da parte delle comunità del proprio destino e di quello del mondo. Si tratta, né più né meno, che di reinventare la nostra quotidianità, dandole o ridandole un senso, qui e subito, senza mistiche attese e senza ipocriti rinvii.
Due campi d’azione mi sembra che Colin Ward prediligesse, pensando nel 2004 al presente e al futuro delle società, e proponendoci in definitiva delle priorità, i nodi centrali per i nostri interventi a venire, i più urgenti e possibili di tutti. La prima è l’educazione, intesa come con-ricerca e come crescita-insieme abolendo la distanza tra docenti e discenti, e la seconda, ancora più insistita, è l’ecologia. Al seguito di Bookchin, Colin Ward ha chiarissimo il campo di battaglia che riguarda tutti – il futuro del mondo: le sue prospettive o la sua fine – e che coinvolge sia il nostro rifiuto del consumismo (parodia dell’edonismo e farsa dell’individualismo a uso dei manipolabili, dei gonzi) che la nostra capacità di amore per la natura, per il futuro, per la vita. Qui il nodo, qui il salto. Qui, anche, la vitalità delle idee di Colin Ward e dei pensatori dei quali è stato il successore o l’amico.
Letto o riletto oggi, il suo compendio è di viatico, si spera, a un’era di nuove lotte già cominciate, anche tra noi qui in Italia, è un punto di partenza sul quale costruire, è l’indicazione di un possibile quadro di conoscenze e di idee che possa permetterci oggi di collocare i nostri interventi dando loro un senso più chiaro, condivisibile. Di questo abbiamo oggi sommamente bisogno, di un quadro teorico lucido e convincente e a vasto raggio nel quale collocare il nostro intervento dandogli un fine, una direzione. Non è un lavoro che possa essere affrontato da una sola persona. Di fronte alla chiarezza con cui si va affermando il nuovo sistema autoritario occidentale con la sua pretesa di dominio mondiale, e di dominio anzitutto sulle coscienze per il tramite dei suoi strumenti di comunicazione (meglio sarebbe dire di mistificazione ideologica, di imposizione subdola di modelli di vita robotizzati); e guardandoci intorno, constatando, riflettendo, collegando; non è possibile oggi che gridare una convinzione che è andata crescendo nel tempo di fronte a questo quadro, a questa rete, a questo piano: non è più possibile, oggi, alle persone pensanti e preoccupate del vero “bene comune” non dirsi in qualche modo anarchici. La lettura di Colin Ward è più convincente che mai.