Gli Asini - Rivista

Educazione e intervento sociale

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Per un lusso comune internazionale – la comune di Parigi oggi

disegno di Roberto Catani
4 Aprile 2022
Simone Lanza

Il libro di Kristin Ross, Lusso comune, l’immaginario politico della comune di Parigi, Rosemberg & Sellier, 2021 (professoressa di letterature comparate alla New York University), racconta non tanto la storia della Comune quanto quella della sua memoria. Ne analizza l’immaginario rivoluzionario oltre l’evento: benché l’esperienza comunarda durò una primavera, il momento comunardo fu molto più lungo, un lasso temporale di oltre vent’anni, che parte dai discorsi che hanno preceduto e reso possibile chiamarlo il primo evento rivoluzionario moderno di autogoverno, fino ai ricordi che gli esuli serbarono e celebrarono, passando per i discorsi e i manifesti della Parigi barricata. Ross segue la terminologia del tempo ma talvolta salta nel presente, con l’intento condivisibile di volere tenere viva la memoria.

In questo immaginario la critica allo stato e al capitalismo fu totale e l’esperienza rivoluzionaria fu partecipata. Un’esperienza che mirava al cambiamento dei modi di vita, delle gerarchie economiche, soprattutto puntò alla smobilitazione dello stato-nazione con il suo apparato burocratico. Era un’esperienza che voleva estendere la dimensione estetica rendendo l’arte accessibile. Il lusso comune ha quindi a che vedere con la costruzione di spazi comuni, belli e gradevoli per tutti. L’impegno per la giustizia si fonde con la rivoluzione del bello. Communal Luxury [tr. it. di Sebastiano Taccola, Lusso comune, l’immaginario politico della comune di Parigi, Rosemberg & Sellier, 2021] significa sia il lusso della Comune sia il mettere in comune il lusso. Il libro descrive questa nuova idea di ricchezza, non meramente produttivistica, del socialismo moderno.

I discorsi si fecero vivi quando nei club parigini le parole rivoluzionarie “citoyennes et citoyens!” sostituirono quelle di “Mesdames et Messieurs” scaldando nuovamente gli animi. L’indignazione per le ingiustizie capitalistiche pervade un immaginario che è di azione, che genera sogni duraturi, sogni che si incarnano in idee, idee che cambiano per la prima volta il corso della storia in un senso anticapitalista e antistatalista. Nelle parole di Arthur Arnaud “la comune di Parigi era qualcosa di più grande e di diverso rispetto a una rivolta. Essa fu l’ascesa di un principio, l’affermazione di una politica. (…) fu una rivoluzione nuova, diversa, che portava nelle pieghe della sua bandiera un programma assolutamente inedito e peculiare.” Ross commenta: “la sua bandiera era la bandiera della Repubblica Universale.” Nasce l’internazionalismo, come spirito rivoluzionario che tiene insieme il concreto e particolare modo locale di operare, l’autogoverno con la bandiera mondiale dell’umanità. La colonna Vendȏme (issata per celebrare le conquiste imperialiste di Napoleone) fu demolita: prima demolizione di un monumento colonialista si chiede Ross? Place Vendȏme divenne Place Internationale. L’immagine di una comune composta da immigrati italiani, polacchi, prussiani e stranieri di ogni sorta era parte della propaganda anticomunarda, ma conteneva qualcosa di vero. Élisé Reclus sostenne che lo spirito di appartenenza nazionale fosse una costruzione artificiale per unire i popoli contro i loro vicini. La comune – nonostante molta storiografia francese lo pretenda – non fu patriottica.

I comunardi fecero tutti gli sforzi per dare un’istruzione gratuita, obbligatoria e laica. Furono progettati e organizzati le crèches, asili nidi, una delle esperienze comunarde ripresa dalla terza Repubblica. Alla comune fu praticata l’educazione integrale e politecnica, che implicava un piano di studi per bambine e bambini, una formazione laica (quando l’istruzione era per lo più gestita dalla chiesa cattolica), gratuita, universale, che prefigurava l’abbattimento della divisione tra lavoro intellettuale e manuale. Uno dei principali fautori dell’educazione politecnica fu Eugène Pottier, che voleva associare studio e piacere per una scuola attraente, adottando il metodo globale di Jacotot: “tutto è in tutto”. Pottier è ricordato come autore dell’inno dell’Internazionale, scritto nel 1871 ma che ebbe fortuna successivamente una volta in musica. Fu però anche fondatore della Federazione degli Artisti ed ebbe un ruolo importante nell’idea di lusso comune scrivendo il Manifesto della Federazione, che si concludeva con queste parole: “lavoreremo insieme per la nostra rigenerazione, il lusso comune, gli splendori e futuri e la Repubblica Universale.” Si trattava della decorazione e del miglioramento artistico degli edifici pubblici: “l’idea che la bellezza dovesse prosperare negli spazi pubblici e non solo in quelli privati forniva una trasformazione in cui l’arte diveniva qualcosa di perfettamente integrato nella vita di tutti i giorni.” Estendere la dimensione estetica nella vita quotidiana significava avere una nuova “definizione della ricchezza che fosse distinta dalla corsa quantitativa verso la crescita e la sovrapproduzione”. Il lusso comune è condivisione di ricchezza. Gaillard era un calzolaio che, ne L’arte della scarpa, rivendicava una scarpa fatta per il piede, al contrario della moda moderna che vuole il piede adattarsi alla scarpa. Idea, benché Ross non lo citi, che trovava piena corrispondenza nel Capitale “una calzatura serve a calzarsi”, con cui Marx, riprendendo Aristotele, ripristinava la priorità del valore d’uso sul valore di scambio.

Marx è invece richiamato da Ross per l’idea di esistenza operante: una rivoluzione che non ha una ricetta per l’avvenire da applicare ma che nel concreto opera scelte, non ideali da calare, ma pratiche per cambiare. Marx specificherà nella prefazione alla nuova edizione del Manifesto, propriosulla base dell’esperienza comunarda: “la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per fini suoi”. Insomma i comunardi sono un esempio di come smontare (dal basso diremmo oggi) la macchina statalista. Per Ross: “i comunardi non avevano decretato e proclamato l’abolizione dello stato; piuttosto nel poco tempo a loro disposizione, avevano preparato, passo dopo passo, lo smantellamento di tutte le sue basi burocratiche”. E ancora: “quello che Marx vide realizzarsi nell’esistenza operante della Comune fu l’effettiva dissoluzione del feticismo delle merci e l’attuazione del suo contrario: i rapporti sociali fondati sul lavoro libero e associato.

La comune era costituita da artigiani, il cui lavoro era un’arte: c’erano quindi artigiani del bronzo, intagliatori, merlettai, falegnami, etc… Movimento di artigiani che portò in primo piano la lotta per la riduzione della giornata lavorativa, la comune è il superamento dello stato, è l’idea che lo stato possa finire e l’autogeverno si passa articolare a tutti i livelli della società, idea su cui convergevano Marx, Engels, Kropotkin, Reclus, Morris, Bakunin. Reclus è un comunardo che non dava peso alle divisioni tra Marx e Bakunin; Ross dedica grande spazio al comunismo anarchico – un prodotto collettivo di comunardi rifugiati in Svizzera (e condiviso da Reclus e Kropotkin) secondo cui occorreva abolire denaro e mercato oltre allo stato tramite la federazione volontaria di associazioni libere – questa era l’idea di socialismo moderno. Si basava sull’idea che “la grande fabbrica della terra, gestita in maniera cooperativa, conduce a un mondo di uguaglianza nell’abbondanza, o di lusso comune.” I comunardi erano perfettamente consapevoli che occorresse un’idea di un nuovo rapporto tra città e campagna che permettesse appunto il lusso come uguaglianza nell’abbondanza.

Il libro non affronta una questione che Mario Pezzella chiarisce in una postilla della postfazione al volume: la comune libertaria autogestionaria e il suo immaginario è solo una parte dell’evento nel quale agirono anche un Comitato di Salute Pubblica, la politica in forma di violenza. Non possiamo trasformare la comune in un mito senza vederne i fantasmi. Rivoluzione sociale e governo politico non possono rimanere scissi, la nostra intenzione “non deve essere la ripetizione di un fatto, ma la liberazione di un possibile”. La sfida è aperta perché la rivoluzione è oggi pensabile solo ripensando la crisi di questa relazione costitutiva, ma qui stiamo evidenziando solo ciò che al libro manca.

Il saggio di Ross avrebbe bisogno di maggiore chiarezza e rigore concettuale, non solo nel distinguere i termini contemporanei da quelli dell’epoca, benché il lato pregevole dell’opera consista nell’ambizione di ritrovare alcune coordinate per pensare anche il comune del nostro XXI secolo. Nella prefazione Taccola cerca di rimediare in parte esplicitando alcuni termini filosofici della tradizione lasciati sullo sfondo che appartengono soprattutto a Marx, Bloch, Benjamin: esistenza operante, possibile, utopia concreta, riorganizzazione della vita quotidiana, critica dell’economia politica. Rimane implicita una filosofia della storia non unilineare, una storia stratigrafica secondo le categorie del marxismo odierno più interessanti (Tomba); una storia come entità poliritmica e polispaziale (Bloch).

Rimane anche non abbastanza sviluppata in tutte le sue implicazioni (non solo estetiche) l’idea forte e centrale di ricchezza, lusso comune, basata sulla priorità del valore d’uso sul valore di scambio, su una estetica pubblica, su una critica capace di allineare le parole del ciabattino all’analisi del feticismo del denaro del Capitale: una ricchezza radicalmente altra dall’immane raccolta di merci in cui il mondo oggi sprofonda, ma anche declinata in positivo come dimensione sia estetica che economica.

La comune è la consapevolezza che se il lusso comune non è ancora Repubblica Universale, ma potrà ancora esserlo un giorno. La comune è l’immaginario che opera concretamente nella realtà sovvertendo le leggi del Capitale? Forse il senso più forte sta in questa idea radicalmente diversa di ricchezza comune? Nella comune descritta da Ross sembra operare qualcosa di profondamente umano (“è l’Internazionale/ Fu vinta e vincerà” – come Fortini traduce l’inno di Pottier) che può sempre riscattarsi unendo i morti con i vivi.

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