Lotte nella logistica. Amazon, SDA e dintorni

L’aveva appena scritto Gad Lerner sul numero di novembre de “Gli asini”: il magazzino Amazon di Castel San Giovanni, tra Piacenza e Pavia, può essere considerato come il “nuovo cuore pulsante del sistema capitalistico” in Italia, quello che Mirafiori rappresentava nel Novecento. Passano pochi giorni e Cgil, Cisl, Uil e Ugl dichiarano il primo sciopero contro Amazon in Italia, proprio al magazzino di Castel San Giovanni, per il “black friday”, il 24 novembre. Tuttavia, guardare solo a questa vertenza non ci permette di comprendere appieno tutto quello che accade nel settore della logistica. È quindi necessario ampliare lo sguardo.
Anzitutto, cosa è successo. Nel comunicato stampa che lancia lo sciopero, i sindacati scrivono che i lavoratori di Castel San Giovanni hanno già ottenuto “il giusto riconoscimento contrattuale per quanto concerne il livello retributivo” (1.450 euro lordi al mese, con il contratto collettivo nazionale di lavoro del commercio), ma chiedono (da un anno) un contratto integrativo aziendale, che preveda un ulteriore miglioramento della retribuzione o un premio aziendale, anche a fronte degli enormi profitti che Amazon sta facendo in Italia, dei ritmi di lavoro altissimi e dei sacrifici richiesti ai lavoratori nel periodo che precede Natale. Lo sciopero riguarda i 1.600 dipendenti diretti dello stabilimento (erano 400 nel 2012), ma coinvolge anche i 2-3mila “somministrati” attraverso agenzie di lavoro temporaneo in un periodo in cui vi è un picco di ordini, senza contare i corrieri, tutti esterni e gestiti da varie aziende logistiche. Secondo i sindacati, l’adesione allo sciopero è attorno al 50%, il 10% secondo l’azienda, che peraltro ritiene che i salari siano già sufficientemente elevati rispetto al settore. Nelle settimane successive, la vertenza si blocca: il 12 dicembre in Confcommercio di Piacenza non viene trovato un accordo e il 20 dicembre Amazon diserta un incontro in Prefettura; i sindacati ribadiscono lo stato di agitazione.
Al di là degli esiti che avrà, il valore simbolico della vertenza è chiarissimo. Jeff Bezos, fondatore e proprietario di Amazon, è l’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio personale stimato attorno ai 100 miliardi di dollari. Amazon, che nasce con l’e-commerce di libri ma è attiva oggi in una moltitudine di settori, è non solo uno dei colossi del web – assieme a Google, Facebook, Apple – ma anche uno dei principali attori della logistica: più di ogni altra multinazionale unisce i due strumenti principali del capitalismo contemporaneo, il computer e il container, le tecnologie informatiche e i corridoi logistici. È la più grande azienda di distribuzione online del mondo: il suo enorme potere deriva dal fatto che consente a milioni di consumatori di ricevere qualsiasi tipo di merce a casa propria nel giro di poche ore. Un potere con cui impone condizioni economiche molto sfavorevoli ai fornitori, come ha rilevato il 21 dicembre la casa editrice e/o, in un comunicato in cui annuncia di aver interrotto per questo i propri rapporti con Amazon. Inoltre, è accusata in vari paesi di comportamenti anti-sindacali (in Germania da anni i dipendenti di Amazon chiedono migliori condizioni di lavoro) e di elusione fiscale. In Italia, Amazon è in crescita costante e presto al magazzino di Castel San Giovanni, su cui si basa oggi l’intero sistema distributivo, verranno affiancati altri due siti, a Rieti e Vercelli (su Amazon e su questo magazzino è utile leggere l’inchiesta “Quando la merce danza automatizzata sul lavoro-tapis roulant”, apparsa il 12 luglio su infoaut.org).
Allarghiamo lo sguardo a un’altra vertenza in corso in questi mesi, che contrappone il sindacato di base Si Cobas e Sda, uno dei maggiori player logistici in Italia, che consegna pacchi a domicilio e fa parte del gruppo Poste italiane (il cui azionista di maggioranza è il Ministero dell’economia). Anzitutto, va notato come l’attenzione data dai media a questa vertenza sia stata molto minore rispetto a quella della Amazon: come in altri casi, per avere notizie è necessario visitare i siti dei sindacati di base o di informazione antagonista, come “Infoaut” o “Radio onda d’urto”. Il principale magazzino di Sda si trova a Carpiano, a sud di Milano; come in molti altri casi, il lavoro viene appaltato a pseudo-cooperative, che impiegano soprattutto lavoratori migranti. In settembre si prospetta un cambio di appalto, a causa del quale le condizioni di lavoro peggiorerebbero sensibilmente. I lavoratori non ci stanno. Per due settimane, 400 facchini scioperano e bloccano il magazzino, impedendo la distribuzione di decine di migliaia di pacchi, chiedendo che il cambio di appalto lasci immutate le condizioni di lavoro concordate precedentemente. La vertenza è lunga; i lavoratori di Carpiano si giovano della solidarietà dei colleghi di altri siti Sda, sia i maggiori (Bologna e Roma), sia le filiali minori (Parma, Modena, Brescia, eccetera). Ci sono momenti drammatici: il 25 settembre un lavoratore è accoltellato a Carpiano, in uno scontro tra scioperanti e crumiri reclutati dall’azienda; il 24 novembre a Modena due operai vengono investiti e feriti da un furgone che cercava di rompere il blocco dei cancelli (come era accaduto nel settembre 2016 all’operaio egiziano Abd Elsalam Ahmed Eldanf, ucciso da un camion durante un picchetto ai cancelli della Gls, ancora una volta vicino Piacenza). L’esito della vertenza sembra favorevole ai lavoratori: in dicembre le richieste del sindacato vengono accettate da Sda.
Amazon e Sda sono due aziende differenti: la prima è un gigante dell’e-commerce e spedisce pacchi soprattutto a clienti privati, utilizzando corrieri come Sda. In altri casi, i servizi logistici riguardano scambi di merci tra aziende o tra siti differenti della medesima impresa. Tuttavia, il lavoro che si svolge nei magazzini è simile: dalle centinaia di camion e furgoni che arrivano ogni giorno, la merce va scaricata, catalogata, etichettata, instradata, impilata e poi ricaricata – spesso nel giro di poche ore – su un nuovo camion o furgone. Secondo Confetra (Confederazione generale italiana dei trasporti e della logistica, parte di Confindustria), nel 2014 il settore in Italia è pari al 13% del Pil e nel 2012 ha dato lavoro a quasi mezzo milione di persone. Il 20% dei lavoratori sono migranti.
Un settore che almeno dal 2008 ha vissuto in pianura padana vertenze durissime, che hanno visto i sindacati di base (soprattutto Si Cobas e Adl Cobas) ottenere significativi miglioramenti nei salari e nelle condizioni di lavoro. Si tratta forse dell’unico ciclo di lotte degli ultimi venti-trent’anni in cui gli operai “vincono”. Nell’ottobre 2016 i due sindacati di base sono riusciti a firmare un importante accordo con alcuni dei principali corrieri – Tnt, Gls, Brt, mentre Sda firmava solo una dichiarazione di intenti e Dhl non aderiva – e con la Federazione Italiana Trasportatori (Fedit). Un accordo che ha sancito conquiste già ottenute in molti magazzini. Le richieste e le conquiste di Si Cobas e Adl Cobas sono molto pragmatiche e tipicamente “sindacali”. Quella più importante riguarda proprio la “clausola sociale”, ossia la garanzia per i lavoratori di essere riassunti alle stesse condizioni contrattuali e retributive e mantenendo l’anzianità nel caso di un cambio di appalto e il subentro di una nuova cooperativa nel magazzino. “Rivoluzionari” sono invece i metodi di lotta: scioperi a oltranza e picchetti che bloccano i magazzini. Si tratta di una strategia molto fruttuosa, perché provoca ingenti danni economici alle aziende, interrompendo quel flusso continuo di merci che è la caratteristica (e l’utopia) principale del capitalismo contemporaneo e che fa della logistica un settore chiave e con profitti in crescita.
Oltre all’accordo dell’ottobre 2016 e a un aumento medio dei salari del 20%, le lotte dei facchini (soprattutto migranti) hanno avuto anche altri effetti. Ad esempio, le aziende della logistica cercano di modificare la composizione della manodopera: a volte, riposizionando i magazzini alla ricerca di lavoratori più docili; altre volte, internalizzando i dipendenti e mettendo fine alla pratica dell’appalto (magari ricorrendo, come a Castel San Giovanni, ad agenzie di lavoro interinale); altre ancora, proponendo l’idea che il lavoro nel settore non sia solo un lavoro “sporco” e pesante, “da immigrati”, ma che sia invece appetibile anche per gli italiani, specie in tempi di crisi (paradosso interessante: le lotte dei migranti provocano un aumento dei salari, che rende questo impiego nuovamente attraente per i lavoratori italiani); infine, con investimenti tecnologici per diminuire la manodopera necessaria alla movimentazione delle merci.
I rapporti tra sindacati di base e confederali sono tesissimi: i primi accusano i secondi di firmare accordi utili solo ai datori di lavoro; dal canto loro, i sindacati confederali non condividono i metodi di lotta e spesso mostrano di non riconoscere l’utilità e l’importanza delle vertenze dei Cobas. Proprio a dicembre 2017, i sindacati confederali hanno firmato il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro trasporto-merci-logistica, scaduto da due anni, che riconosce tra l’altro la “clausola sociale” già ottenuta dai sindacati di base nell’accordo con Fedit. I sindacati di base hanno giudicato nuovamente un “bidone” l’accordo.
Tuttavia, l’importanza della vertenza Amazon non è sfuggita ai Si Cobas di Piacenza (una delle città in cui si sono sviluppate le prime vertenze nel settore), i quali, pur non essendo presenti nel magazzino, hanno aderito allo sciopero del 24 novembre e hanno organizzato un presidio di solidarietà agli scioperanti, in cui sono stati presenti facchini di altri magazzini della zona. Un’adesione paradossalmente poco gradita dagli organizzatori dello sciopero, i quali, secondo la stampa locale, hanno cercato di non far entrare in contatto i due presidi, mentre i membri del SI Cobas invitavano gli operai a bloccare i camion e il loro volantino avvertiva: “senza bloccare le merci e i cancelli non si ottiene nulla nel settore della logistica … L’unico modo per vincere è fare male al padrone”.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 48 de “Gli asini”: acquista il numero e abbonati per sostenere la rivista.