LOGISTICA DI GUERRA
La scienza militare definisce logistica di guerra tutto quel complesso di operazioni, infrastrutture, dispositivi organizzativi, manutenzioni, rifornimenti, stoccaggi, forme di assistenza e servizi che servono per assistere gli eserciti, rifornirli di materiale, equipaggiarli, mandarli a morire mentre mietono morti.
Ma la logistica di una guerra di occupazione decennale, di conquista di territori e di colonizzazione contro i civili come quella che lo stato di Israele muove al popolo palestinese, si estende bel al di là del campo militare. Ogni settore della vita civile – l’istruzione, la cultura, la ricerca accademica, l’industria, l’economia, gli apparati di costruzione del consenso come i media, la diplomazia internazionale – diviene infrastruttura materiale e immateriale per una guerra permanente volta all’eliminazione del “nemico interno”, che in questo caso sono tutti i palestinesi. Molto chiaro è l’intento eliminatorio contenuto nel mantra ripetuto da politici, funzionari del governo israeliano, coloni: “non esistono civili a Gaza”, intendendo con questo che è tutta la popolazione palestinese oggetto dell’offensiva militare dietro l’accusa di terrorismo. Per questo ospedali, case, scuole, università sono stati i primi obiettivi militari: ogni esistenza palestinese sembra essere una minaccia per lo stato Israeliano. Ogni vita palestinese sembra quindi diventare in sé un atto di resistenza, di sfida all’ordine imposto dal potere israeliano, e forse lo è, senza vittimismi né eroismi né retoriche combattentistiche: solo la realtà di un popolo che non si consegna alla morte, alla nuda esistenza futura in campi profughi, all’eliminazione completa della propria identità collettiva.
In questa logistica di guerra, che assorbe ogni campo della vita civile noi siamo coinvolti, partecipiamo al “mestiere delle armi” con i nostri schieramenti ideologici, con i nostri risparmi, con le nostre ricerche universitarie, bevendoci una informazione nazionale ormai organo di propaganda di governi locali e internazionali che trafficano con armi e voti all’ONU. La produzione sempre più estesa e pervasiva dello stato di guerra, si intensifica e non possiamo ignorare il fatto che miri all’eliminazione futura di ogni resistenza e opposizione anche nelle nostre società, in tempi prossimi.
Partiamo con una crisi di coscienza: l’articolo che l’ex giornalista di Repubblica Raffaele Oriani ha scritto per noi dopo il suo volontario licenziamento per insostenibilità etica rispetto a come il genocidio (o massacro se la parola fa paura) del popolo palestinese viene trattato in uno dei maggiori quotidiani italiani. Martino Mazzonis ci racconta invece della situazione negli USA e di tutte le minoranze mobilitate all’interno di una sinistra statunitense che sembra meno inanimata di quella europea. Arees Bishara ricercatrice e attivista palestinese ci parla della situazione nelle università israeliana e delle lotte degli studenti, di ricercatori e professori palestinesi e israeliani nel paese. Aurora Caredda fa una minuziosa ricostruzione della logistica militare e civile al servizio del progetto coloniale ed eliminatorio che ha trasformato l’intero stato israeliano, Gaza e i territori occupati in un enorme panopticon. Davide Caselli intervista per noi alcuni dirigenti di Banca Etica, un tentativo di non collaborare con i nostri soldi a questo massacro e a tutti gli altri che sono in corso.