Lettera da un giovane padre
come sapete sono diventato padre da appena tre mesi. Provo a immaginare quello che state pensando: “chi te l’ha fatto fare?”. Come darvi torto. Questo è forse il momento peggiore per diventare padri. In appena tre mesi il mondo ha accolto mio figlio con soltanto cattive notizie per il suo futuro. Pescando nel mucchio, si possono immaginare almeno due sviluppi negativi per questo nuovo arrivato: è probabile che con il cambio di governo in Italia, con le promesse poco credibili di “cambiare rotta” soprattutto per le giovani generazioni, i suoi genitori resteranno precari a vita, e che, con i nuovi venti di guerra in Crimea, l’Europa in cui crescerà sarà meno pacifica di quanto è stata, ad esempio, negli ultimi vent’anni. Ma oltre al fatto che mio figlio apparterrà a una generazione più povera economicamente e meno europea delle precedenti, vi devo scrivere come un giovane padre, come me, si prepara a difendere la libertà di un figlio. Quindi questa lettera che vi scrivo è sì pessimistica, ma soprattutto programmatica.
Cari asini, per prima cosa vi dovrei scrivere “è nata Rosa”, se fosse femmina, o “è nato Spartaco”, se maschio, ma vi dirò semplicemente che è nato 4 chili e 30 grammi per 53 centimetri, indice Apgar 9 nel primo minuto, 10 dopo 5. Questi sono i numeri che contano, in estrema sintesi, per una nascita oggi: sono le cifre che ci scambiamo noi giovani genitori con preoccupazione e anche una certa, complice, competizione. Personalmente quando li condivido con i miei simili vinco quasi sempre, perché il mio è stato il più pesante e lungo della sua giornata, come mi hanno informato subito le ostetriche. Come ben sapete, la medicalizzazione dell’esistenza inizia nei primi istanti del nuovo individuo con misurazioni, pesi e valutazioni. Sembrano ineluttabili passaggi, leggi scritte dalla notte dei tempi, ma il più delle volte sono pratiche recenti. L’indice Apgar, appunto, è stato introdotto nel 1952 dalla dottoressa omonima ed è certo un veloce metodo per valutare la vitalità di un neonato, ma è pressoché arbitrario e inutile renderlo noto ai neo genitori. Nonostante ci sia una riscoperta, o una moda, delle pratiche naturali – per una cosa come la nascita che è naturale, ironicamente, da millenni – anche le istituzioni mediche più moderne (ospedali, medici e infermieri) sembrano cospirare perché i nuovi genitori vivano la nascita come una potenziale malattia da tenere sotto controllo. Gli strumenti di questa cospirazione sono la “norma” (abbastanza potente perché chi non desidererebbe “un figlio normale”, cioè sano) e il “protocollo sanitario” (potentissimo perché ineluttabile, al di sopra delle volontà dei singoli). Se si tratti del soffio al cuore, il cosiddetto “soffietto”, o del famigerato “calo fisiologico”, due fenomeni comuni a molti neonati, norma-e-protocollo subentrano per instaurare regimi di osservazione medica e di conseguente ansia per i genitori. Nel caso del soffietto è necessario, anzi ci si sente colpevolmente obbligati, a prenotare con mesi d’anticipo un elettrocardiogramma, pagando il salatissimo ticket regionale. Nel caso del calo di peso fisiologico (lo dice l’aggettivo che fa parte della natura), si passano i cinque giorni che precedono la montata del latte materno, che sono quelli dell’indispensabile colostro, a chiedersi se non sia meglio precipitarsi nella più vicina farmacia per procurarsi il latte in polvere artificiale. Sulla favola del latte artificiale superiore a quello materno (che tutte le donne hanno) quasi tutti i puericultori, ormai, ammettono che l’esplosione del consumo del latte in polvere nei tardi anni Settanta dipese dall’ingerenza delle industrie farmaceutiche statunitensi, non da esigenze sanitarie. Probabilmente, aggiungono di solito, il latte in polvere è alla base, oggi, di molte diffuse allergie e intolleranze degli adulti. Se il latte vince, al cuor non si comanda ed è difficile resistere a controlli che si dicono precauzionali. Quando ci ho provato, una neonatologa mi ha messo in guardia retoricamente, facendo riferimento a un recente fatto di cronaca: “Non vorrà che vostro figlio muoia a 12 anni sui campetti di calcio?”. Più che arrabbiarmi, sono rimasto colpito da questa immagine così tragica e involotariamente letteraria. Se avete uno humor nero abbastanza allenato, l’immagine di dodicenni che si lasciano morire sui “campetti” di calcio può farvi pensare a tanti piccoli Peter Pan calcistici che abbandonano la partita per non dover crescere e giocare nel campionato, truccato, degli adulti. Ma non è finita qui. Anche quando un esponente del Sistema sanitario nazionale dà un buona notizia a un genitore novello sulla salute del suo neonato, è come tenuto, scindendosi, a fornire un altro parere cauto e opposto: “sostro figlio sta bene però queste analisi non ci convincono…facciamone delle altre.” O ancora: “durante l’ecografia morfologica era stata notata una macchia nei reni che ora non c’è più, ma bisogna comunque tenere i reni sotto osservazione”. Più che a una logica cerchiobottista schizofrenica, questo atteggiamento sembra rispondere a motivazioni legali. Avendo avuto l’impressione, in più occasioni, di trovarmi non in un reparto maternità ma in un’aula di tribunale, mi sono trattenuto più volte dal tranquillizzare l’esponente del Ssn che non avrei sporto alcuna denuncia. Se l’atteggiamento dei medici dei reparti di maternità è diventato così legalmente guardingo, vorrà anche dire che in questi anni sono piovute decine e decine di denunce da parte di genitori che attruibuiscono, a torto o a ragione, le complicazioni dei loro figli agli ospedali e al loro personale.
Cari asini, questo è il periodo peggiore per un neo padre non solo perché la medicalizzazione della società ha saturato tutta l’esistenza fin dalla culla del suo neonato, ma anche perché, mai come in queste settimane e mesi, il tema della paternità è diventato un argomento pop. È in atto un vero e proprio assedio di prodotti culturali che ti anticipano le mancanze e prevedono i traumi, pretendono di guidarti senza dirti dove. Le librerie si stanno attrezzando per fare spazio a uno scaffale dedicato a questo argomento del padre sperduto, per accogliere l’invasione del tema della paternità del nuovo millennio. Questa “scena padre”, come dice il titolo di una recente raccolta di racconti strenna einaudiana, riguarda da qualche anno la narrativa, che ha saputo seguire le trasformazioni e le domande del nostro tempo, e ora si sta espandendo alla varia e alla saggistica. Non è un caso che lo psicanalista del momento, Massimo Recalcati, stia usando la televisione e “Repubblica” come dei lettini sui quali far sdraiare un pubblico addormentato di genitori e figli affetti dal “complesso di Telemaco” e ancora non emancipati politicamente dal “tramonto del padre”. Se si stia parlando di Berlusconi, Renzi o peggio Veltroni, che Salfari ha definito di recente un intellettuale che potrebbe succedere a Napolitano come Presidente della Repubblica e quindi padre della patria, questo non è dato neanche intuirlo. Tra le cose più comiche che mi sono capitate sotto mano, c’è la serie dei libretti Feltrinelli curati dai diplomati della scuola Holden: sotto l’apparenza di manualetti post-moderni e isterici per giovani genitori (del tipo “Come sopravvivere ai primi 40 giorni” oppure “Adesso però dormi!”), si nascondono tutte le velleità frustrate degli aspiranti studenti della prima scuola di scrittura in Italia. Gli autori di questi manualetti sono tutti neo genitori che attingono a esperienze dirette, abusando ovviamente di auto-fiction, e c’è d’augurarsi che i loro figli diventino, crescendo e ribellandosi, tanti piccoli Holden. Più in generale il mercato, anche quello dei consumi culturali, si è accorto che la famiglia è un’oasi in un mondo spietato, come diceva Christopher Lash, ed è quindi il macro tema di interesse dei nostri anni, scomparsa una dimensione collettiva e trionfante una egoistica e privata. I media volgarizzano e mistificano tutto e quindi non passa giorno senza leggere articoli sulla “tragedia di essere padri oggi” o ancora “la tragedia di avere un figlio deficiente”. Il libro dell’umorista e opinion maker Michele Serra, Gli sdraiati, è rientrato pienamente in questo stereotipo mediatico, anche suo malgrado e producendo effetti diversi da quelli sperati: così tanto letto da una borghesia autoindulgente e disperata per l’abulia dei figli, quanto sfottuto dalle giovani generazioni che ne hanno fatto un pretesto per stringere solidarietà contro la crisi del mondo degli adulti.
Cari asini, in giro si vedono solo cattivi esempi nevrotici o genitori mostri. Quelli più frequenti, che si possono osservare nei parchi come intorno alle scuole, sono i “genitori elicottero”: iper protettivi e iper efficienti, non lasciano mai un attimo libero ai loro figli, ansiosi di soddisfare i bisogni più superflui. Soprattutto nei luoghi pubblici “scortano”, proprio come elicotteri, i loro pargoli perché non si sbuccino neanche un ginocchio. Oppure da lontano, spesso in coppia, monitorano qualsiasi comportamento della prole, commentandolo senza sosta col nome proprio dei figli, in attacchi di ecolalia sconcertante. Vi dirò una cosa scontata, ma nei parchi giochi o nei prati non si sentono più le grida dei bambini, ma gli strilli dei genitori che invocano i loro nomi, quelli più in voga: “Alessandro! Sofia! Tommaso! Emma! Luca! Martina! Lorenzo! Giorgia! Nicolò!”. Questi bambini ipercontrollati sembrano camminare in un presente elettrificato, come in Il mondo nuovo di Aldous Huxley, sempre stimolati da nuovi desideri e nuovi consumi, in ogni aspetto del quotidiano. I bambini sono ormai la sonda del mercato per far penetrare nelle famiglie consumi nuovi, come ha illustrato Laffi nel suo recente libro. Esistono anche piccoli mostri e questi sono i “piccoli imperatori”, trasformatisi da controllati dai genitori apprensivi a controllori delle famiglie. Piccoli buddha che decidono gli spostamenti genitoriali, i desideri della famigliola, la lista del calmiere famigliare (i negozi di giocattoli non sentono la crisi, nonostante il tasso di natalità è in caduta libera). La rivolta delle macchine è compiuta: da macchine telecomandate super stimolate, i figli sono riusciti a capovolgere i comandi. La domanda dei genitori sottomessi non è più “che cosa desideri?”, ma “che cosa desideri che facciamo”.
Cari asini, non ci sono molte speranze per chi, come me, ha appena intrapreso questa strada. Non ci sono molte strategie e antidoti alla contaminazione di questo tempo. La pretesa valutativa della medicina, la cultura e l’informazione che insegue le trasformazioni e confonde e l’ingerenze della pubblicità che scrive la regia delle nostre scelte, appartengono ormai allo stato di cose. Se penso che mio figlio avrà vent’anni nel 2034 non riesco a immaginare un mondo migliore, ma uno più stupido e senza qualità, un futuro più povero e ingiusto. Eppure non sento la missione nel mio ruolo, il compito di testimone e di sopravvissuto: non mi sento l’ultimo padre sulla terra, come il protagonista de La strada di Cormac McCarthy. Anche se mio figlio è molto piccolo, ma già molto esigente, lo vedo già come un essere perfetto e stupefacente. Intuisco che abbia un compito misterioso e delle prove da superare nella sua crescita. Vedo un essere speciale e unico, un Harry Potter, come sono tutti i bambini appena nati. Da questo deriva un poco di responsabilità. Insieme a sua madre, ci troviamo a interrogarci non tanto sulla magia, ma sul mistero per il quale siamo capitati a lui. Non lui a noi, ma il contrario. Perché non è nato in un’altra famiglia? in un altra regione? in un altro tempo? Ma non sono, poi, queste le domande importanti: quelle serie riguardano il come. Come non intralciarlo, come aiutarlo, come non proiettare su di lui il nostro narcisismo, come insegnargli a fare da solo. Questo dice il motto montessoriano, alla fine l’unico davvero utile e raramente riportato nei manuali. Come garantirgli uno spazio protetto, ma non asettico verso l’esterno, in cui sia autonomo nelle scoperte, nelle cadute e negli errori.
Cari asini, forse questa lettera risulta più pessimistica che programmatica, ma è attraverso queste riflessioni che mi preparo a difendere la libertà di mio figlio, con tutte le storture e l’impreparazione di fronte a una sfida del genere. In tutta onestà non so ancora dirvi chi me l’abbia fatto fare, ma sono anche convinto che questo fosse il momento migliore per diventare un padre.