Le Marche tra la vittoria delle destre e la seconda ondata di Covid-19

La piazza principale di Civitanova Marche, un anno fa, è stata teatro di un corteo contro il bigotto Pillon. C’erano poco più di cento manifestanti, femministe vecchie e giovani, qualche omosessuale incazzato e la minoranza organizzata dei centri sociali. L’élite della Lega e i potentati locali rintanati in un albergo. Oggi la stessa piazza è gremita, ben più di quella serata agitata, dalla protesta dei ristoratori sotto le bandierone tricolore per difendere un sistema di vita insostenibile, ma l’unico in vista da questa altezza a livello del mare e della strada. È sceso in piazza il blocco sociale della destra marchigiana: piccoli imprenditori, padroncini della ristorazione e dello spettacolo che sottopagano i dipendenti, il deputato locale della Lega Mauro Lucentini e la marmaglia di Casapound con un codazzo di tanti cattolici bigotti e di gente “perbene”. A Porto Sant’Elpidio striscioni fascistissimi e tricolori guidano la protesta dei ristoratori. A Pesaro, dove si usa fare a gara di goliardia con i romagnoli, guida la protesta il ristoratore Umberto Carriera, capopopolo del gruppone Facebook da 170.000 iscritti “Partite Iva insieme per cambiare”, ex speaker radiofonico e gestore di ben sei locali, che non ha trovato di meglio che organizzare una patetica cena negazionista con tanto di irruzione della polizia dalla porta della cucina.
Nelle Marche tutto succede a scoppio ritardato rispetto alle tendenze nazionali, e a volte è un bene, ma questa volta il degrado della situazione è inedito e sta acquistando caratteri tragici a causa della drammaticità della situazione sociale ed economica generale. La campagna elettorale della destra che ha vinto le elezioni regionali di settembre ha avuto il suo fulcro nella denuncia dei ritardi nella ricostruzione post-terremoto del 2016 e della chiusura dei piccoli ed inefficienti ospedali di paese. Ma neanche una parola è stata spesa per la sanità territoriale insufficiente, sulle numerose crisi ambientali, sulla povertà in aumento, sulla estrema dipendenza dei pochi giovani dai tanti “boomer” pluripensionati. D’altra parte come meravigliarsi quando il fuoriclasse dei delegati marchigiani nel direttivo nazionale di Fratelli d’Italia è Marcello Liverani nipote del gerarca fascista, impiegato parlamentare baby-pensionato dall’età di 52 anni. Quando a fine settembre l’ondata sovranista è arrivata con due anni di ritardo, non c’era nessun Papeete aperto, la popolazione sempre più anziana sprofondava già nella paranoia del contagio e i giovani, rari e spauriti, reagivano negando il trauma della pandemia, spendendo ore davanti ai dispositivi elettronici, sperando che passi la nottata. Negli anni scorsi, con la redazione della rivista Malamente abbiamo raccontato una regione ricca di forme di vita resistenti, non domate, combattive e creative. Abbiamo raccontato però anche come forme di vita fasciste siano ormai normalizzate al punto da conquistare, non per merito ma per sconfitta a tavolino di un avversario non pervenuto, un apparato amministrativo incompetente e fortemente impopolare.
La sconfitta alle elezioni regionali ha mostrato il brusco crollo dell’egemonia culturale e politica del centro social-democratico. Un mese e mezzo dopo, il Pd, le Sardine e le micro liste della sinistra intellettuale e benestante sono impegnati in rese dei conti interne, aggiustamenti su nuove posizioni di rendita e proposte di riforma che restano a brillare sulle pagine web. Ogni categoria sociale ed economica cerca di gridare più forte degli altri, mentre la classe politica locale più becera da quando è nata la Repubblica ha spazi di manovra inediti.
Il giorno dopo le prime manifestazioni di protesta esplose in varie città d’Italia contro i DPCM con cui il governo intende contenere la seconda ondata di contagio, a “Zapping” di Radio Uno è andato in onda lo sproloquio sgrammaticato del nuovo presidente regionale Acquaroli, anche lui di FDI. La parola epidemiologico non è mai riuscito a pronunciarla tutta e alla fin fine per lui la contraddizione principale del DPCM di Conte erano gli orari di chiusura dei ristoranti e non i tagli esponenziali alla spesa sanitaria e la scarsa efficacia nel tracciare e contenere i contagi. In confronto alla ferocia della sanità lombarda, quella marchigiana ha l’aria di una scialba socialdemocrazia rosa, ma vista da vicino appare spesso come una burocrazia inefficace dove qualche eroico professionista mantiene da solo interi comparti operativi. Tuttavia, l’ospedale speciale costruito durante la “prima ondata” a Civitanova dal divo Bertolaso con il Sovrano Ordine di Malta, dopo essere stato aspramente e giustamente criticato come una costosa cattedrale nel deserto, si comincia a riempire di nuovi malati.
In questo clima ostile quello che resta delle forme di opposizione sociale autonoma cerca di riorganizzarsi in mezzo alle tante limitazioni e tensioni create dalle norme per il contenimento del Covid 19. Circa mille persone sono scese in piazza ad Ancona il 31 ottobre con la richiesta di reddito incondizionato con lo slogan “tu ci chiudi, tu ci paghi”. Il coordinamento artisti della scena marchigiana ha denunciato l’insufficienza dei “ristori” una tantum, appena 1200 euro a testa erogati in ritardo da marzo ad oggi. Il Coordinamento marchigiano per il reddito di quarantena sta portando avanti una campagna nei confronti della Regione già da maggio scorso ed ha annunciato che tornerà in piazza a metà novembre per fare pressione per una tempestiva erogazione dei sostegni al reddito. I facchini di Zara si stanno organizzando con un sindacato di base. A differenza delle metropoli di Torino, Milano, Firenze e Napoli non si sono visti i giovani arrabbiati che hanno scelto lo scontro diretto. La piazza si è trasformata in un corteo pacifico e comunicativo che ha ottenuto in risposta solo una opaca indifferenza da parte della classe politica.
È già alle spalle il terribile incendio tossico nel porto che ha svegliato Ancona nei primi giorni di settembre: il pensiero del virus, l’incertezza per il futuro, fanno dimenticare altre debolezze più strutturali del sistema produttivo. Poco lontano infatti la Vallesina, uno dei distretti industriali più avanzati della regione, si sta riconvertendo verso il terribile mondo della logistic,a che è diventato il vero distretto emergente marchigiano. Amazon arriverà a Jesi nel 2021, con un interporto logistico da 900 addetti per l’Italia centrale. L’azienda miliardaria ha aumentato i suoi ricavi del 26% durante il primo lockdown mentre nelle Marche gli operai si aggrappavano a tutti i tipi di cassa integrazione, anche a quella che non arriva mai.
Le scuole intanto si scoprono impreparate davanti a una crisi che non si risolve con il distanziamento dei banchi ma che pone il dilemma etico tra la “sicurezza” e il diritto all’istruzione. Gli insegnanti appaiono sempre più come un mondo separato rispetto ad altre categorie sociali in agitazione. La scuola è vista da fuori come un covo di privilegiati e fannulloni mentre per chi ci lavora dentro è un mondo contraddittorio, pieno di potenzialità, singoli docenti e progetti di grande valore, ma sempre più nevrotico e autoritario. I giovani e i loro troppo vecchi insegnanti si sentono sempre più lontani gli uni dagli altri quando questi ultimi si rifugiano dietro gli schermi digitali. La paura del contagio corrode la fiducia dall’interno. Ad inizio ottobre gli studenti dei licei di Pesaro hanno protestato in modo inedito: si sono seduti davanti a scuola perché volevano entrare. Contestavano la didattica a distanza, il dirigente li ha minacciati. A Urbino intanto l’Università vacilla e si svuota tra fuorisede che scappano e lezioni virtuali; approfittando dell’assenza della maggior parte degli studenti il rettore ha fatto sgomberare la storica aula autogestita che ospitava da anni la Libera Biblioteca De Carlo ed ha dato ordine di cancellare i significativi murales che decoravano i corridoi della struttura architettonica anarchica voluta dal geniale architetto a cui si ispirano i pochi studenti ribelli.
È passata un’estate di spiagge e ristoranti pieni, discoteche e macchinoni. La riviera invernale è di nuovo battuta dal vento e dai soliti runner e cercatori di cappole sulla battigia. Oggi le Marche si sentono fragili ed hanno paura, ma, come fanno spesso i marchigiani, non lo fanno vedere. Si è rotta la coesione artificiosa dei mesi del primo lockdown, sono scoloriti gli arcobaleni appesi ancora a certe finestre, qualcuno addirittura li ha tirati dentro, forse per decenza, forse per sconforto. Le contraddizioni accumulate per anni vengono a galla.
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