Le lezioni della guerra in Ucraina per la giustizia internazionale
La stupidità della guerra in Ucraina
Come già accaduto con le guerre in Afghanistan e in Iraq con cui si è aperto il XXI Secolo, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ci riporta in un sistema mondiale anacronistico e brutale. Non è la continuazione della politica con altri mezzi, bensì l’incapacità della politica di risolvere problemi. Ne pagano le conseguenze non solo gli ucraini, costretti a subire una violenta e criminale aggressione, ma anche la popolazione russa, i cittadini dei paesi limitrofi e tutti coloro che dipendono da questi paesi per l’approvvigionamento di alimenti e materie prime.
Questa guerra, oltre ad essere efferata, è profondamente stupida e viene da chiedersi come un governo potente come quello russo, che dispone di servizi segreti, centri investigativi, strumenti di previsione, capacità di analisi dei dati con tanto di satelliti e quant’altro, si sia imbattuto in una avventura così insensata.
La storia ha mostrato fin troppi casi di governi che si imbattono in guerre irrazionali nonostante siano ben attrezzati negli studi strategici. Dove non si intravede alcun vantaggio posizionale nello scacchiere internazionale, spesso la ragione che induce a scatenare un conflitto va ricercata in dinamiche di politica nazionale. La propensione a scagliarsi contro nemici esterni per meglio opprimere i propri sudditi e consolidare il potere interno è già stata più volte denunciata da pensatori del passato quali Erasmo da Rotterdam e Jean-Jacques Rousseau. Paventare una minaccia esterna aiuta a procrastinare il potere arbitrario e a mettere a tacere le opposizioni. I governi usano in questi frangenti la retorica nazionalistica: “ci aggrediscono!”, “ci vogliono annientare!”, “corriamo in difesa della patria!”, sono gli slogan ricorrenti che usano gli aggressori ancor prima degli aggrediti. Con questa propaganda, i governanti riescono spesso a creare il “rally-round-the-flag effect”, (lo potremmo tradurre con un “stringiamoci intorno alla nostra bandiera”), che permette di silenziare le voci critiche e reprimere le opposizioni.
Quali sono gli antidoti contro questa propaganda? Prima di tutto creare ponti tra le società civili dei paesi coinvolti nel conflitto e smascherare l’idea che ci siano interessi divergenti tra i popoli. Ma anche far sì che le responsabilità della guerra ricadano sui governi che le scatenano e non sui popoli che le subiscono. A tal fine, gli strumenti del diritto possono svolgere un ruolo cruciale.
Verso un diritto a protezione dei popoli
Nel diritto internazionale tradizionale, sviluppato appositamente da giuristi e diplomatici su commissione dei governanti, non c’è alcuna differenza tra governo e popolo. Il governo agisce per conto dell’intero stato e ogni sua azione deve essere sostenuta dalla nazione. Fondato sul dogma della sovranità, il diritto internazionale ha prescritto due norme per proteggere chi comanda. La prima recita: “chi agisce per conto di uno stato (ossia il governo e i suoi rappresentanti) è indenne da responsabilità penale individuale”. La seconda: “gli individui che agiscono perché eseguono ordini del proprio governo sono anch’essi esenti da eventuali colpe”. Se le cose vanno bene, i governanti si accreditano come comandanti vittoriosi. Se vanno male (ad esempio, perché perdono la guerra), chi esercita il governo è immune da responsabilità. A pagarne le conseguenze è il popolo, castigato in termini di morti e feriti, sanzioni, crisi economica, costi per la ricostruzione.
Si potrà dire con Adam Smith che se un popolo è guidato da un despota che reca danni ad altre comunità, è sua responsabilità insorgere e rovesciarlo, e se non lo fa, è poi logico che sia costretto a pagarne in solido le conseguenze:
Se il governo arreca offesa a un sovrano vicino o a un suo suddito e i suoi sudditi continuano a sostenerlo e a proteggerlo, per così dire, in questo comportamento, allora anch’essi divengono con lui complici e passibili di punizione […]. Una nazione o accetta di assumersi la responsabilità dei danni o si libera del suo governoi.
Ma, se soggiogato da un regime dispotico, il popolo può non avere le adeguate informazioni, o semplicemente non avere la forza necessaria per detronizzare il regime.
Uno dei progressi conseguiti nella sfera del diritto dopo la Seconda guerra mondiale è stato rendere i governanti e i loro agenti rendicontabili per le proprie azioniii. I Processi di Norimberga hanno rappresentato una pietra miliare perché mirati ad accertare le responsabilità individuali di pochi e, così facendo, hanno consentito al popolo tedesco di girare pagina e di integrarsi in un nuovo contesto internazionale. Ma quei processi avevano due grandi difetti. Il primo è che erano i vincitori a giudicare i vinti, il secondo è che le norme erano state scritte dopo la fine della guerra. Per vari decenni, si è faticosamente cercato di ottemperare a questi problemi e solamente con l’istituzione della Corte penale internazionale (Cpi) nel 1998 si è creata una istituzione imparziale con la competenza di agire contro i più efferati reati, i cosiddetti crimini internazionali (aggressione, genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità).
Entrata in funzione nel 2002, la Cpi ha ottenuto finora risultati insufficienti: i crimini internazionali sono continuati ad essere commessi e i processi che è stata capace di celebrare sono stati assai pochi e per lo più confinati a dittatori sanguinari che avevano perso lo scettro del potere. Insomma, ha agito ex-post nei confronti di politici oramai diventati personaggi ingombranti nella politica mondiale. La Cpi ha fatto balenare molte speranze ma purtroppo ha conseguito pochi risultati. Troppi crimini sono rimasti non solo impuniti ma addirittura non denunciati per mancanza di interesse politico e di risorse economiche.
La giustizia penale internazionale in Ucraina
Per contrastare l’invasione dell’Ucraina, si è accesa la speranza che la giustizia penale internazionale potesse contribuire ad arginare l’arbitrio. Non era mai successo che i procuratori e gli investigatori fossero così attivi nel corso di (e non dopo) un conflitto. Pochi giorni dopo la tragica invasione e la conseguente strage di civili a Bucha e in altre località, la Cpi è riuscita a inviare numerosi esperti forensi per raccogliere prove dei crimini commessi. La Cpi non aveva risorse sufficienti per svolgere tutte queste indagini, tant’è che non è capace di inviare analoghe squadre in altre parti del pianeta dove è noto che si commettono delitti analoghi. Per l’Ucraina l’ha potuto fare, grazie ai finanziamenti ad hoc e al personale qualificato messo a disposizione da alcuni stati. Francia, Olanda, Lituania ed altri paesi hanno tempestivamente fornito numerosi investigatori forensi che si sono recati nelle zone di guerraiii. Per la prima volta nella storia del diritto penale internazionale le indagini non sono state effettuate su “cold cases”, resi così famosi da popolari serie televisive, ma su corpi ancora bollenti.
Si è trattato senz’altro di un grande progresso che serve a sancire l’inaccettabilità dei crimini internazionali. Eppure ancora una volta è emersa la selettività dell’azione della Cpi: riesce a indagare su alcuni conflitti ma ne ignora altri.
Né bisogna dimenticare che la Cpi non gode del monopolio sui crimini internazionali. Durante la guerra in Ucraina, sia le parti in causa che altri stati hanno riscoperto l’importanza del diritto, spesso con scopi solo propagandistici. Non sorprende così che nell’ultimo anno ci siano stati dei veri paradossi. Ne segnaliamo cinque.
1) Denis Pushilin, il capo del territorio controllato dalla Russia nel Donetsk, ha dichiarato di voler istituire quello che ha chiamato un Tribunale di Norimberga II per punire i crimini delle forze ucraine (da loro chiamate “neo-naziste”) dal 2014 in poi nei territori da loro occupatiiv. Che siano stati commessi crimini a seguito dell’occupazione russa, e da entrambi le parti, è stato a più riprese denunciato da organizzazioni internazionali come l’Osce e da organizzazioni non governativev. Ciò detto, né la Russia né i separatisti da loro sostenuti hanno portato avanti l’iniziativa, probabilmente perché un tale tribunale avrebbe segnalato che crimini peggiori sono stati commessi anche da loro.
2) Il Presidente Biden ha più volte dichiarato di voler perseguire i crimini commessi in Ucraina tramite un tribunale internazionale, senza tuttavia sbilanciarsi troppo sulla sua natura. Biden evita di ricordare che il suo paese non ha (ancora?) aderito alla Cpi e ne ha addirittura ostacolato in varie forme la giurisdizione. Ciò conferma la propensione degli Stati Uniti a promuovere procedimenti penali contro i propri avversari, ma solo a condizione di esserne loro stessi esenti. Se il Presidente Biden intende rafforzare la giustizia penale internazionale, dovrebbe per prima cosa far aderire il suo paese alla Cpi.
3) Ursula von der Leyen e altri leader europei hanno suggerito di creare un nuovo tribunale ad hoc sul modello di quelli creati nel 1993 e nel 1994 per la ex-Jugoslavia e il Ruandavi. La scelta lascia assai perplessi: perché istituire un nuovo tribunale, che porrebbe nuovamente il problema della selettività, piuttosto che servirsi delle istituzioni già esistenti? I due tribunali speciali furono istituiti dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, prima dell’istituzione della Cpi. È evidente che questa procedura sarebbe tempestivamente bloccata dal veto della Russia. Aprire un’altra procedura giuridica istituirebbe magistrature meno autorevoli e più parziali di una istituzione esistente come la Cpi.
4) Le corti ucraine si sono già attivate per punire i crimini di guerra commessi nel proprio territorio. Vadim Shysimarin, un giovanissimo soldato russo di 21 anni, è stato condannato all’ergastolo dal Tribunale di Kiev per aver ucciso un pensionato disarmatovii. Un crimine di guerra che è stato giudicato, a tempo di record, senza bisogno di ricorrere a tribunali esterni. Ma le autorità ucraine si sono subito dichiarate disposte ad usare il soldato per eventuali scambi di prigionieri.
5) Neppure le corti dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Doneck, per quanto di assai dubbia legalità, sono rimaste inoperose. Due cittadini inglesi, Aiden Aslin e Shaun Pinner, di 28 e 48 anni, volontari nella difesa di Maripol, sono stati accusati di essere mercenari e condannati a morteviii. Sono poi stati liberati a tempo di record a seguito di uno scambio di prigionieri ottenuto tramite la mediazione dell’Arabia Sauditaix.
È sufficiente questa carrellata di paradossi per capire quanto possa essere scivoloso il discorso sulla giustizia penale nel mezzo di una guerra. Essa rischia di essere utilizzata dallex parti in causa per fini propagandistici e utilizzata per trasformare il nemico in criminale. Ciò non aiuta a identificare e perseguire i veri crimini internazionali né tantomeno a svolgere quella funzione preventiva, repressiva e soprattutto foriera di ottenere una pacificazione post-bellica.
La Corte penale internazionale e l’Ucraina
Il vantaggio della Cpi risiede proprio nel fatto che dovrebbe garantire imparzialità ed evitare la strumentalizzazione della giustizia penale. Ma solo 123 stati hanno aderito alla Cpi, mentre altri 70 se ne sono guardati bene. Tra questi, non solo Stati Uniti, Russia, Cina, India e Israele, ma anche l’Ucraina. Solamente tardivamente, e in occasione delle invasioni subite da parte della Russia nel 2014 e nel 2022, l’Ucraina ha accettato che la Cpi potesse indagare sui crimini commessi nel suo territorio. Questo ha permesso, subito dopo l’invasione del febbraio 2022, al Procuratore della Cpi di richiedere l’autorizzazione per svolgere le indagini, immediatamente approvate da un blocco di 40 stati (tra i quali tutti i paesi europei, Canada, Australia ed altri alleati). L’Ucraina avrebbe comunque protetto meglio i suoi interessi se avesse tempestivamente aderito alla Cpi, come per altro richiesto da diverse organizzazioni non governativexi.
Dopo un anno dall’inizio delle indagini, il Procuratore della Cpi Karim Kahn ha deciso di incriminare e richiedere l’arresto di Putin e della sua Commissaria per i diritti per l’infanzia Maria Alekseyevna Lvova-Belova per il reato apparentemente meno inquietante, ossia il rapimento di bambini ucraini, trasferiti dalle zone di guerra occupate dall’Esercito in Russia e in alcuni casi addirittura dati in adozione a famiglie russexii. È forse sorprendente che, con tutti i crimini di guerra documentati e con il ben più grave reato di aggressione commesso, il Procuratore si sia concentrato su quello che sembra un reato minore. Come mai?
Il problema è che i crimini di guerra commessi sul campo di battaglia non necessariamente mostrano le responsabilità del Cremlino, a meno che non si provi un incoraggiamento alle truppe a commetterli. E per il reato più grave, quello di aggressione, la Cpi ha gli artigli spuntati: esso è infatti perseguibile solamente per i paesi aderenti oppure se il caso viene deferito dal Consiglio di Sicurezza (dove una tale richiesta sarebbe non solo bloccata dal veto della Russia e forse anche di altri stati, quali la Cina)xiii. Il che dimostra la situazione paradossale in cui il Procuratore della Cpi non ha la possibilità di agire per il crimine della guerra, ma solo per crimini di guerra.
Per quanto riguarda invece il rapimento dei bambini ucraini, il Procuratore ha avuto gioco facile a raccogliere le prove, giacché la propaganda russa ha pubblicamente dichiarato di aver provveduto al trasferimento e adozione di minori provenienti dall’Ucraina, presentando i fatti come fossero una lodevole iniziativa umanitaria.
Le implicazioni politiche del mandato di arresto per Putin
Di fronte al mandato di arresto spiccato dalla Cpi, il Cremlino ha subito dichiarato di non riconoscerne la giurisdizione. Più provocatorio e pittoresco, come nel suo stile, l’ex Presidente Dmitry Medvedev, che ha addirittura minacciato di colpire l’edificio della Cpi a l’Aja con un missile ipersonicoxiv. Non sono rimasti inoperosi i giudici russi, che hanno incriminato il Procuratore della Cpi Karim Khan per aver diffuso notizie false sul loro paesexv.
Sorprendentemente, sono giunte note di cautela anche dai membri della società civile globale, come il Presidente del Tribunale permanente dei popoli, che pure sono stati molto attivi nel promuovere il discorso della giustizia penalexvi. La preoccupazione di molti è che richiedere addirittura l’arresto di un capo di stato, senza per altro avere la possibilità reale di arrestarlo, significa allontanare la possibilità di negoziati. In una parola, se è necessario trattare Putin come interlocutore politico non se ne può richiedere l’arresto. I precedenti storici parlano chiaro: i processi di Norimberga e Tokyo hanno avuto luogo dopo la resa incondizionata di Germania e Giappone. In tempi più recenti, l’incriminazione di Slobo Milosevic è avvenuta quando la guerra era già finita e lui, per quanto ancora Presidente della Federazione jugoslava, era diventato un fardello per la politica interna. Incriminarlo fu quindi un ulteriore incentivo per metterlo da parte. Il dittatore sudanese Omar al-Bashir è stato pure incriminato dalla Cpi nel 2008, senza tuttavia che questo gli impedisse di rimanere capo di stato per ulteriori 11 anni e nonostante il Sudan fosse assai più periferico nella geo-politica mondiale di quanto sia la Russiaxvii.
Se la Cpi avesse il potere di arrestare Putin, potrebbe pure porre fine alla guerra. Ma i suoi poteri sono infinitamente più limitati. Il mandato di arresto può forse limitare i viaggi di Putin nei paesi aderenti alla Cpi; ad esempio, il governo del Sud Africa ha sconsigliato Putin a partecipare al vertice dei paesi Bric previsto per agosto prossimo, giacché il Paese, come membro della Cpi, avrebbe l’obbligo di arrestarloxviii.
Il mandato di arresto per Putin pone dunque il classico problema: qual è l’autonomia delle toghe dalle scelte politiche? Se si accetta l’idea che la Cpi è un organismo giudiziario indipendente, ne risulta che il Procuratore non ha fatto altro che il proprio lavoro. Se invece la vogliamo ritenere una sorta di braccio giudiziario di alcuni paesi occidentali (ed in particolare dei paesi europei), ci possono essere dubbi sulla opportunità dell’incriminazione.
Il contributo del diritto per la guerra in Ucraina
Non si rende un servizio alla pace se gli strumenti della giustizia penale sono piegati dalle necessità della politica. La loro utilità è quella di agire come deterrente nei confronti dei crimini internazionali, anche al fine di ricostituire un possibile dialogo tra le aree che sono state in conflitto. Poiché il discorso della giustizia penale è stato riavviato dai paesi liberali più di mezzo secolo dopo la fine della seconda guerra mondiale, la guerra in Ucraina offre la possibilità di rafforzarlo sotto molti profili. Non basta la Cpi per frenare una guerra, ma essa è una istituzione che può servire a svolgere indagini con maggiore imparzialità di quelle svolte dalle autorità nazionali, nonché ad individuare i responsabili di specifici crimini. Affinché il discorso sulla giustizia penale internazionale continui a svolgere un ruolo positivo, occorre prendere numerose iniziative.
Prima di tutto, occorre allargare le adesioni alla Cpi. È assurdo che gli Stati Uniti, il principale promotore dei Tribunali di Norimberga e Tokyo, non abbia ancora aderito alla Cpi. E, come detto, è ancora più assurdo che il Presidente Biden evochi nuovi tribunali speciali che riporterebbero indietro la formazione di una magistratura penale imparziale e indipendente.
In secondo luogo, occorre che la Cpi distingua, almeno per i capi di stato e i membri del governo, tra incriminazione e mandato di arresto. Procedere all’incriminazione è necessario per sviluppare il procedimento giudiziario, ma il mandato di arresto rischia di impedire o rendere più difficili le negoziazioni diplomatiche.
In terzo luogo, è necessario che non si lasci la Cpi da sola nell’identificare i crimini commessi e i loro responsabili. Anche senza potere coercitivo di ultima istanza, la società civile ha oggi la possibilità di raccogliere informazioni sui crimini commessi e individuare i responsabili tramite tribunali di opinione. Bertrand Russell promosse un importante tribunale di opinione nel 1965 per denunciare i crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti in Vietnam. Da allora, la tradizione è stata ripresa da Lelio Basso e dal Tribunale permanente dei popoli. Altri tribunali di opinione si sono svolti per altri conflitti, come quello di Istanbul sulla guerra in Iraq del 2003xix. È oggi necessario che si instauri un analogo tribunale largamente sostenuto da varie organizzazioni della società civile per l’Ucraina. Compito di questo tribunale dovrebbe essere anche capire le ragioni che hanno portato al fallimento degli accordi di Minsk e perché non è stata trovata una soluzione diplomatica. Certamente non è solo colpa della Russia se non si è riusciti a prevenire la guerra in Ucrainaxx. Ma questo non giustifica in alcun modo la guerra di aggressione di Putin.
Infine, non sappiamo come e quando, ma prima o poi questa guerra finirà. Ci saranno sul campo macerie e distruzioni, ma i popoli ucraini e russi, uniti da secoli di storia comune, resteranno lì a fare i conti con le distruzioni inflitte da governi insani. Questi popoli hanno una storia comune e avranno anche un futuro da vicini. Anche questa guerra ha fomentato odio e settarismo, che è proprio quello che voleva ottenere chi l’ha iniziata. Occorre che tra le due comunità sia ristabilita una coesistenza pacifica. In altre zone del mondo, le commissioni per la verità e la riconciliazione hanno svolto un ruolo fondamentale nell’identificare le atrocità commesse, condannare i principali responsabili, anche allo scopo di consentire una pacificazione per la coabitazione futura. Gli ucraini e i russi ne hanno un disperato bisogno, almeno quanto di un radicale cambio di regime al Cremlino.
i Adam Smith, “Diritto delle nazioni”, in Id., Lezioni di Glasgow, Giuffrè editore, Milano, 1989 (1766), p. 725.
ii Rimando a Daniele Archibugi e Alice Pease, Delitto e castigo nella società globale. Crimini e processi internazionali, Castelvecchi, Roma, 2019.
iii Si vedano Alessandra Prentice, French forensic experts in Bucha to help Ukraine investigate possible war crimes, Reuters, 12.04.2022, https://www.reuters.com/world/europe/french-forensic-experts-bucha-help-ukraine-investigate-possible-war-crimes-2022-04-12/ ; Government of the Netherlands, The Netherlands to dispatch forensic investigation team to Ukraine, 02.05.2022, https://www.government.nl/latest/news/2022/05/02/the-netherlands-to-dispatch-forensic-investigation-team-to-ukraine ; Lithuanian National Radio and Television, Lithuanian team arrives in Ukraine to help investigate war crimes, 05.05.2022, https://www.lrt.lt/en/news-in-english/19/1688232/lithuanian-team-arrives-in-ukraine-to-help-investigate-war-crimes.
iv Andrew Roth, Kremlin mulls Nuremberg-style trials based on second world war tribunals, The Guardian, 28.05.2022, https://www.theguardian.com/world/2022/may/28/kremlin-mulls-nuremberg-style-trials-based-on-second-world-war-tribunals
v Osce, Civilian casualties in eastern Ukraine 2016, September 2017, www.osce.org/files/f/documents/a/a/342121.pdf ; Human Rights Watch, Ukraine events 2016, www.hrw.org/world-report/2017/country-chapters/ukraine
vi European Commission, Statement by President von der Leyen on the establishment of the International Centre for the Prosecution of Crimes of Aggression against Ukraine, 04.03.2023, www.eeas.europa.eu/delegations/ukraine/statement-president-von-der-leyen-establishment-international-centre_en?s=232
vii Shaun Walker, Ukrainian court sentences Russian soldier to life in prison for killing civilian, The Guardian, 23-05-2022,
viii Andrew Roth and Emine Sinmaz, Britons sentenced to death after ‘show trial’ in Russian-occupied Ukraine, The Guardian, 09.06.2022, www.theguardian.com/world/2022/jun/09/britons-sentenced-to-death-russian-occupied-ukraine-aiden-aslin-shaun-pinner
ix Emma Vardy and Frank Gardner, Britons held by Russian forces in Ukraine released, BBC, 22.09.2022, www.bbc.com/news/uk-62988234
x Dan Mangan, Biden calls to put Putin on trial for war crimes over Russia killings in Ukraine, Cnbc, 04.04.2022,
xi Coalition for the International Criminal Court, Ukrainian Civil Society Calls on Ukraine to Ratify the Rome Statute, 05.05.2023, https://coalitionfortheicc.org/news/20230505/ukrainian-civil-society-calls-ukraine-ratify-rome-statute
xii ICC, Statement by Prosecutor Karim A. A. Khan KC on the issuance of arrest warrants against President Vladimir Putin and Ms Maria Lvova-Belova, 17.03.2023, www.icc-cpi.int/news/statement-prosecutor-karim-khan-kc-issuance-arrest-warrants-against-president-vladimir-putin
xiii Andrii Smyrnov, We Need a Special Tribunal to Put Putin and His Regime on Trial, Time, 23.09.2022, https://time.com/6216040/putin-war-crimes-tribunals/
xiv Ketrin Jochecová, Russia blasts back at ICC over Putin arrest warrant, Politico, 20.03.2023, www.politico.eu/article/putin-russia-icc-criminal-case-moscow-ukraine-war/
xv Russia issues arrest order for British ICC prosecutor after Putin warrant, The Guardian, 19.05.2023, www.theguardian.com/law/2023/may/19/russia-arrest-order-international-criminal-court-prosecutor-karim-khan
xvi Franco Ippolito, La guerra si ferma con la politica non con il diritto penale, il manifesto, 23.03.2023, https://ilmanifesto.it/la-guerra-si-ferma-con-la-politica-non-con-il-diritto-penale
xvii Archibugi e Pease, Delitto e castigo nella società globale, cit., cap.5 su Milosevic e 7 su Al-Bashir.
xviii South Africa Warns Putin Could Face Arrest While Attending BRICS Summit, The Moscow Times, 01.05.2023, www.themoscowtimes.com/2023/05/01/south-africa-warns-putin-could-face-arrest-while-attending-brics-summit-a80994
xix Ayça Çubukçu, For the Love of Humanity: The World Tribunal on Iraq, Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2018.
xx Si veda Benjamin Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, Roma: Fazi, 2023.