Le frecce e il bersaglio

Questo articolo è uscito nel luglio del 2010 sul primo numero della rivista Gli asini. Questa minoranza è ancora presente, nell’educazione crediamo ancora.
Tutti si rendono ormai conto della crisi irreversibile di un sistema, della fine di un mondo, della mutazione radicale conseguita alla svolta degli anni ottanta. Finì, verso la metà degli anni settanta, l’epoca dei sogni, la speranza del socialismo, l’idea di un mondo migliore non dominato dall’economia, dall’avidità, dall’ingiustizia, dalla sete di potere degli uni a danno dei più, e la sconfitta delle ultime grandi lotte, nel mondo detto terzo come nel mondo primo e secondo (il capitalismo e il comunismo, quest’ultimo crollato in conseguenza della mutazione, e non causa della mutazione, crollato in definitiva proprio per la sconfitta al suo interno del poco di propositivo che vi era rimasto e che non era certo incarnato nelle sue nomenklature).Il cambiamento portato dalla vittoria del nemico, e cioè dal trionfo della finanziarizzazione dell’economia, ha avuto la sua consacrazione nell’universale affermazione dell’ideologia del globale, della “globalizzazione” obbligata, e cioè nell’imposizione di un modello unico di vita pubblica e privata. Tutto questo è stato riassunto efficacemente sotto il nome di postmoderno, che non è una formula letteraria o cinematografica come alcuni si ostinano a pensare, bensì indica, con la fine del moderno, l’avvento di un evo nuovo segnato, almeno per ora e certamente per molto tempo ancora, dall’assoluto trionfo della merce, dal consumo imposto come unica molla e ragion d’essere del singolo, dalla pubblicità (dalla manipolazione del consenso) come il modo fondamentale ed estremamente pervasivo di un dominio accettato. Sparito il conflitto tra le classi, nell’unificazione dei modelli e consumi culturali(e la cultura merita oggi la qualifica di nuovo oppio del popolo), rimane tuttavia benvivo il conflitto tra i poteri: al posto delle classi, ecco le guerre tra imprese finanziarie ed economiche, tra nazioni, tra religioni (con la risposta violenta e regressiva dei fondamentalismi religiosi al fondamentalismo economico totalitario, al modello unico americano propagandato o imposto ossessivamente), tra etnie, tra i sessi, tra le corporazioni, le mafie, le “famiglie”. Da questa trasformazione tutto è travolto e tutti siamo stati dunque travolti anche se non sempre ci rendiamo conto di quel che è accaduto e ci accade, del perché e come siamo mutati, e nemmeno dei modi in cui sarebbe stato o sarebbe ancora possibile mantenere del passato ciò che avrebbe ancora un senso, e che oggi lo avrebbe molto più che in passato. Di tutto questo si parla oggi molto, escono settimanalmente dozzine di libri di autori che indicano mali e rimedi e si sentono indenni da altra responsabilità che quella della denuncia, e non indicano mai quali soggetti dovrebbero e potrebbero indirizzare altrimenti il corso delle cose, come ciascuno potrebbe contribuirvi. Gridano in ritardo, quando il bue è fuggito da tempo dalla stalla, quando i giochi sono stati fatti da tempo. Ma di tutto questo portiamo tutti la responsabilità, nessuno può dirsi innocente, sia per gli sbagli compiuti in passato (di analisi, di pratiche) sia per la complice disattenzione degli anni ottanta e novanta. Noi e, intorno a noi, i politici ,gli intellettuali, i preti… e le persone comuni, noi tutti, adulti senza coscienza, schiavi del mercato e delle sue pubblicità, che hanno alla testa la televisione, i giornali di cui, nonostante tutto, continuiamo a fidarci, e per primi continuano a fidarsi, nella loro qualità di educatori, i genitori e gli insegnanti e tutti coloro che hanno qualche responsabilità nei confronti del futuro e fingono perlopiù di non averla. Genitori, insegnanti, preti, operatori, informatori… guide, che sanno malamente di esserlo, ignorando ormai il fine del compito che credono di svolgere, o fingendo di ignorarlo. Succubi delle guide maggiori (leader) che sanno perfettamente di esserlo, che sanno altrettanto bene che il compito di guida (leadership) essi hanno fatto di tutto per conquistarlo, ma a volte lo hanno avuto in eredità, perché era basilare per la gratificazione propria e dei propri intimi. Anche il peso di queste guide è insignificante di fronte a quello delle grandi, che non hanno volto: dell’economia e della finanza, del potere con la P maiuscola. A maggior ragione può apparire insignificante il peso delle guide veramente piccole. Noi tra loro. Ma una differenza tuttavia può esserci, alloro interno, tra chi da queste constatazioni prende forza per individuare un’azione, una risposta, e chi accetta, concorda, subisce. Noi abbiamo scelto di metterci da una parte precisa che è quella di chi non accetta, persuasi della vecchia formula camusiana, che sappiamo a memoria da tanto tempo, anche se non sempre riusciamo a metterla in pratica, del “mi rivolto, dunque siamo”. Nella coscienza piena della nostra impotenza, nella nostra disistima per i potenti che coinvolge, e non potrebbe essere altrimenti, anche i servi ilari e soddisfatti del potere senza volto, e nel nostro sconcerto di fronte alla masochistica voluttà con cui i nostri simili si adagiano in questi meccanismi, il compito che chiamiamo educazione torna a essere prioritario e, se non l’unico, certamente quello che più ci convince trai pochi possibili. Educare significa proteggere le potenzialità dell’umano che meravigliosamente si esprimono nell’infanzia prima che gli adulti la violentino e la indirizzino al peggio, significa proteggere il piccolo e l’umile e il vero, significa aiutare a capire noi con i nostri simili più simili, per scelta o condizione, come crescere e come aiutare a crescere, a essere in qualche modo pur parziali padroni del proprio destino, significa permettere che il singolo possa scegliere e soprattutto scegliersi, che il piccolo e il grande, il bambino e l’adulto, il genito e il genitore, il maschile e il femminile, il sociale e l’animale possano intendersi, esprimersi, equilibrarsi, arricchirsi a vicenda, aprirsi gli uni agli altri e insieme alla natura e al futuro. Significa la sola utopia frequentabile, sensata, urgentissima. In un contesto in cui dominano il potente e l’osceno, va difeso radicalmente ciò che vi risponde attivamente e metodicamente, va difesa e diffusa la risposta disobbediente e nonviolenta, vanno difesi i diritti degli umili e riaffermati i doveri di tutti, va raccontato il meglio e il nascosto e smontato e aggredito il peggio e il palese, il “volgare” del potere che è essenziale all’uso del potere. E tutto va vagliato e confrontato raccontando il buono, scrutando il “normale”, esecrando il nefasto. Questo è un compito che solo una minoranza decisa può affrontare, alla quale ci sentiamo di appartenere. La libertà della mente e la libertà dei popoli, la democrazia e la pace sono frutto dell’educazione e non della costrizione, non della mercificazione, non della pubblicità. E riguardano da subito, per la loro possibilità di essere esempio e contagio i pochi e persuasi.