Lavorare in Fiat, un’inchiesta operaia

Bentornata inchiesta operaia! Le condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti del gruppo Fca-Cnh sono al centro dell’indagine condotta dalle Fondazioni Di Vittorio e Sabattini, su iniziativa della Fiom e della Cgil e pubblicata da Feltrinelli col titolo: Lavorare in fabbrica oggi. Inchiesta sulle condizioni di lavoro in Fca-Cnh. Alla redazione del volume e all’analisi dei risultati hanno partecipato docenti, esperti e ricercatori. Un’impresa importante e utilissima per comprendere, dal punto di vista dei lavoratori, com’è cambiato e come cambia il più grande gruppo industriale privato italiano, tra crisi finanziarie e industriali profonde, ristrutturazione dolorose, acquisizioni e fusioni, spaccature sindacali, cambio di management e di strategie.
La ricerca è dedicata alle condizioni di lavoro negli stabilimenti del gruppo in Italia, realizzata con 9.668 questionari distribuiti, compilati e raccolti all’inizio del 2018, pari a circa il 20% della platea operaia di riferimento dei 54 stabilimenti interessati all’indagine. Gli intervistati iscritti alla Fiom sono circa il 20% del totale. L’obiettivo è fare un bilancio con i lavoratori, tra iscritti e non iscritti al sindacato, dell’applicazione del World Class Manufacturing (Wcm) e dell’Ergo-Uas, cioè i nuovi sistemi di governo e di gestione dell’impresa e della produzione finalizzati, in particolare, al taglio dei costi, all’eliminazione delle pause, all’aumento della produttività individuale e di fabbrica.
Ecco alcune citazioni delle interviste degli operai.
Intervista 5
conduttore, Vm Ferrara
“È cambiata la mentalità della gente, con tutto questo precariato, nelle assunzioni le persone sono prese per la gola, nessuno fa più sciopero e i giovani sono minacciati, quando ci sono stati gli scioperi i capi si sono messi davanti alla portineria, per intimidirli”.
Intervista 8
addetto Linea Montaggio, Sata Fca Melfi
“Da quando hanno licenziato i tre delegati della Fiom le persone sono terrorizzate. Se ti fanno una segnalazione di qualcosa che non va bene vogliono la garanzia che non viene fuori il loro nome: Io non ti conosco, io non so niente, non ho detto niente”.
Intervista 14
addetto Linea Montaggio, Fca Cassino
“Non si lavora mai tranquilli, hai sempre uno stress addosso. Prima si lavorava, ma c’era il tempo di avere un contatto con la persona che ti lavorava di fianco o di fronte, ora queste nuove postazioni sono fatte in modo che tu stai distante da tutti”
Intervista 9
addetto Logistica, Agap Maserati
“In Mirafiori c’è una forte individualità, fortissima. (…) Instillare nei lavoratori una forma di competizione dove il tuo collega non lo vedi più come un tuo possibile alleato, ma lo vedi quasi come un rivale, un antagonista. Perché l’azienda ti fa credere che se tu fai meglio di lui, ti premia”
Intervista 6
sostituto-assistente Montaggio, Cnh
“Consideriamo anche lo stipendio. Una volta con quello che entravi ti potevi permettere di fare un tot di scioperi, perché tanto si mangiava lo stesso, anche con pochi soldi. Oggi se hai i soldi contati ci pensi tre volte”.
Intervista 3
addetto Linea Montaggio, Iveco Brescia
“Sulla sicurezza sono tutte balle, è tutta immagine. Puntano a farti andare alla mutua, oppure se son piccoli infortuni puntano a farti star lì a far niente. L’importante è che non fai la denuncia”.
Dai risultati dei questionari emerge che la percezione dei lavoratori è che le condizioni di lavoro negli stabilimenti di Fca, Cnh e Marelli sono peggiorate per 6 lavoratori su 10 (il 59,7%). Solo l’11,9% segnala un miglioramento. Pesano soprattutto i carichi di lavoro, dei quali il 43,1% dei dipendenti Fca esprime un giudizio negativo a fronte del 9,7% che vede un netto progresso. Visti gli alti carichi, i tempi di lavoro sono poco o per nulla sostenibili secondo il 46,2% del campione, ma una parte dei lavoratori ritiene migliorata la situazione ergonomica. L’obiettivo della partecipazione alla vita aziendale non trova conferma nell’indagine, infatti solo il 22% dichiara di aver preso parte alle riunioni di team, per motivazioni diverse, dalla poca fiducia al disinteresse.
I risultati dell’inchiesta e le analisi che l’accompagnano vanno inquadrate nel processo di trasformazione della Fiat che non solo ha interessato i lavoratori, i territori in cui sono presenti i suoi stabilimenti, le amministrazioni e le istituzioni, ma soprattutto ha mutato la natura e il ruolo del gruppo che fino a vent’anni fa era concentrato perlopiù in Italia, anche con il controllo di attività diversificate oltre all’auto, mentre oggi è una multinazionale con la sede legale in Olanda, quella fiscale in Inghilterra, la testa a Detroit e qualche impianto in Italia. Oggi leggiamo che con la nuova 500 elettrica tornerà la “piena occupazione” a Mirafiori con 4200 addetti; un tempo, non un secolo fa, Mirafiori occupava 50mila lavoratori. Nessuno può fare paragoni con il passato, ovviamente, sarebbe un esercizio non corretto, ma si può, tuttavia, riflettere sulla metamorfosi della Fiat, oggi Fca dopo il matrimonio con Chrysler, sulle scelte degli Agnelli, sulle strategie annunciate, cambiate, ritirate di Sergio Marchionne, una metamorfosi non ancora finita considerato il processo di fusione in corso di Fca con i francesi di Psa che darà vita al gruppo Stellantis, in cui avrà un peso rilevante come azionista lo stato francese.
Dieci anni fa Marchionne annunciava il piano Fabbrica Italia: 20 miliardi di investimenti per le fabbriche italiane, dieci nuovi modelli e sei aggiornamenti di auto, sette novità Alfa Romeo, destinata a ritornare in America due anni dopo, mentre le nuove auto a marchio Lancia erano in tutto otto, sei delle quali basate su modelli di alta gamma Chrysler. Fabbrica Italia indicava per Mirafiori un aumento della produzione di circa 100mila vetture, a Melfi di 400mila e a Pomigliano di 250mila. Per l’impianto di Cassino la promessa era di quadruplicare i volumi. La produzione di auto del gruppo Fiat in Italia sarebbe passata da 650mila a oltre un milione 600mila auto l’anno. L’unica chiusura prevista da Marchionne era lo stabilimento di Termini Imerese, considerato irrecuperabile.
Era il periodo in cui l’amministratore delegato della Fiat veniva elogiato, apprezzato da quasi tutti, era un “osanna” generalizzato. Il sindacato si sentiva stimolato a reggere la sfida, la politica applaudiva, anche a sinistra alcuni sognavano. Marchionne veniva definito “un socialdemocratico”, il sindaco di Torino Sergio Chiamparino giocava a carte e divideva la pizza con Marchionne come due vecchi amici e Piero Fassino, già responsabile delle fabbriche del Pci a Torino e leader del Pd, dichiarava al tempo del terribile referendum sulle nuove condizioni in fabbrica: “Se fossi un operaio voterei sì al referendum sull’accordo a Mirafiori”. Episodi chiarissimi, più di mille analisi, per comprendere il precipizio in cui è piombata la sinistra italiana, senza riferimenti sociali, con una cultura politica insufficiente se non ridicola e un partito diventato un comitato elettorale per collocare qualche presunto leader.
Dopo due anni Marchionne annunciò l’annullamento del piano Fabbrica Italia, portando una serie di giustificazioni che furono accolte dal governo, dalla politica, da larga parte del sindacato come credibili: le mutate condizioni dei mercati e della competizione internazionale, il conflitto durissimo con la Fiom (che non ha mai firmato il Ccsl, il contratto di lavoro “formato” Fiat), l’incomprensione con gli altri padroni che portò all’uscita del Lingotto da Confindustria. In aggiunta a questo bisogna ricordare e sottolineare che il vero, unico, principale obiettivo del gruppo era, ed è, di mettere al riparo, al sicuro gli interessi degli eredi Agnelli che grazie all’operazione Chrysler, allo scorporo della Ferrari, alla vendita della Magneti Marelli e oggi alla fusione con Psa hanno incassato miliardi di euro tra plusvalenze e dividendi.
L’inchiesta operaia delle Fondazioni Di Vittorio e Sabattini è utilissima, di grande valore (ma sui giornali controllati dal nipote dell’Avvocato non è uscita una riga, o quasi), dovrebbe spingere e sollecitare il sindacato e la politica a occuparsi del destino di uno dei maggiori protagonisti dell’industria nazionale, a promuovere una strategia per l’auto, oggi che si declina in termini mondiali verso l’elettrificazione, l’ibrido e la mobilità sostenibile. Il matrimonio Fca-Psa apre prospettive inedite perché si realizza nel mezzo della trasformazione profonda che coinvolge l’industria dell’auto in Italia e a livello globale, dalla propulsione alle nuove tecnologie. Piaccia o no, siamo sempre un paese industriale, il lavoro si crea ancora nelle fabbriche. Il settore automotive tricolore occupa 1,2 milioni di addetti nell’industria e servizi di cui 258.700 nel settore industriale diretto e indiretto. Il fatturato è di 330 miliardi di euro, di questi il settore industriale ne genera 100 pari al 5,9% del Pil. In questo quadro bisogna aggiungere la componentistica con 156.550 addetti e un fatturato di 46,5 miliardi con 22 miliardi di esportazione e un saldo attivo di 6,8 miliardi. Stiamo parlando di uno dei settori decisivi dell’industria italiana ed europea, che rappresenta circa il 6% dell’occupazione totale dell’Unione europea, e l’11% di quella manifatturiera. C’è qualcuno nel Pd, nel governo che se ne vuole occupare?
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