L’AMORE PER IL LAVORO, QUESTA STRANA FOLLIA
Nel 1883 Paul Lafargue pubblica un pamphlet poi divenuto celebre dal titolo Le Droit à la paresse – Il Diritto all’ozio – , che inizia così: “Una strana follia possiede le classi operaie delle nazioni in cui regna la civiltà capitalista. È una follia che porta con sé miserie individuali e sociali che da due secoli torturano la triste umanità. Questa follia è l’amore per il lavoro, la passione mortale per il lavoro, spinta fino all’esaurimento delle forze vitali dell’individuo e della sua progenie. Invece di reagire contro quest’aberrazione mentale, i preti, gli economisti, i moralisti hanno santificato il lavoro, lo hanno sacralizzato. (…) Lavorate, lavorate proletari, per accrescere la ricchezza sociale e le vostre miserie individuali, lavorate, lavorate: diventando più poveri, avrete più ragioni per lavorare ed essere miserabili. Questa è la legge inesorabile della produzione capitalista”. Una provocazione del genero di Karl Marx?
Al lavoro abbiamo affidato il reddito, il riconoscimento sociale, finanche il nostro valore personale e la nostra identità. A pochi mesi dalla definitiva abolizione del reddito di cittadinanza che tanto ha fatto discutere e creato polemiche e di fronte a lotte rimaste bloccate, incerte, per la sua difesa da parte dei suoi percettori, abbiamo provato a capire le radici teoriche e politiche di una proposta che sembra più avanzata ma ancora più lontana, quella del reddito di base incondizionato. Di quest’ultimo con alcuni studiosi e attiviste (Fumagalli, Clementelli & Montesano) abbiamo esplorato i limiti e le possibilità, ma anche i dibattiti e le tensioni che esso genera rispetto alla sostenibilità economica o alle questioni del genere. Ed è dal lavoro precario contemporaneo, quello che non garantisce né reddito, né diritti, né identità, ma che è una realtà per cinque milioni di occupati nei lavori non-standard come eufemisticamente sono definiti dalle statistiche Inps – quel lavoro a tempo determinato, part-time involontario, a chiamata, lavoro autonomo mascherato che noi chiamiamo lavoro precario – che siamo ripartiti per guardare il reddito (Antonelli da un libro di Sandro Busso), alla ricerca di ragionamenti capaci di intrecciare reddito-welfare e lavoro e provare a cercare nuovi terreni di lotta.
Bologna e Palermo (Raffaele, Plat e Giorgio Martinico, Centro Sociale Anomalia) sono state il terreno di due piccole inchieste sui percettori del reddito di cittadinanza visti dagli attivisti e militanti sindacali che nelle due città osservano il degradarsi del lavoro, l’avanzare della povertà, l’impatto delle voraci economie del turismo che spogliano le città di case accessibili, innalzano il costo della vita e satellizzano le intere economie cittadine intorno al precario, sottopagato, stagionale e irregolare mercato del lavoro del mangia&bevi. Il tutto mentre, fra bonus e stigmatizzazione, non lavorare è ancora una vergogna, a volte getta nella criminalità presunta o di fatto, e l’amore per il lavoro è una inclinazione masochistica.
Chiude l’esplorazione sul reddito un estratto di Fabrizia Ramondino, che ci consegna il racconto della preparazione di uno sciopero al rovescio da parte dei Disoccupati Organizzati negli anni Settanta: un pezzo magistrale, il racconto fedele di una lotta e della possibilità per intellettuali e letterati di farsi organici ai ceti popolari, e non solo ai salotti e ai festival delle élites culturali.