La Via Campesina
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Il termine “contadino”, contaminato da un’aura datata e peggiorativa, ha perso il senso di attaccamento alla campagna connotato dalla derivazione latina. Tuttavia, proprio dal radicamento negli specifici territori del mondo, che stanno soffrendo gli effetti dell’Antropocene e del neoliberismo, deriva la forza con cui il movimento per la sovranità alimentare, guidato dai contadini, reclama la “giustizia climatica”.
Dalla marginalizzazione alla mobilitazione
Gli attivisti rurali attuali si stanno riappropriando dell’appellativo “contadino”. Ne sottolineano la modernità in termini di cultura, i valori che incarna e l’approccio alla produzione agricola che pratica, più rispettosi dell’ambiente ed equi rispetto al modello di agricoltura industriale spesso identificato con il “progresso”. Karen Pederson, ex presidente della National farmers’ union of Canada, ha osservato: “Storicamente eravamo contadini (peasants), quando questo termine ha cominciato a significare ‘arretrato’ siamo diventati ‘agricoltori’ (farmers). Oggi ‘agricoltore’ ha la connotazione di inefficienza e siamo fortemente incoraggiati a essere più moderni, a vederci come imprenditori (entrepreneurs). Io rivendico il termine contadino perché rappresenta il tipo di agricoltura e di comunità rurali che stiamo cercando di costruire”.
Secondo alcune stime ufficiali ci sono da 1,2 a 1,7 miliardi di contadini in tutto il mondo, ma a una stima più accurata risulterebbero probabilmente il doppio, includendo allevatori di bestiame, pastori nomadi, pescatori, guardiani forestali e giardinieri urbani, senza contare i lavoratori migranti. I contadini costituiscono quasi la metà della popolazione mondiale, forniscono almeno il 70% del cibo mondiale (su questi dati si può leggere il rapporto dell’Etc group, Questions for the food and climate crises) e, come conferma la Fao, sono responsabili della maggior parte degli investimenti in agricoltura. La loro marginalizzazione, nonostante le funzioni fondamentali che svolgono, è il risultato di processi determinati da potenti interessi politici ed economici, supportati da legittimazioni discorsive (un’analisi di questi processi, teorizzati come “food regimes” dai sociologi Harriet Friedmann e Philip McMichael, si può trovare ora in italiano nel libro di McMichael, Regimi alimentari e questioni agrarie, Rosenberg & Sellier 2016).
Dagli anni Ottanta in poi le politiche neoliberali di aggiustamento strutturale imposte dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale hanno ridotto lo spazio politico dei governi dei paesi in via di sviluppo e i servizi all’agricoltura, mentre al contempo aprivano i loro mercati e mettevano i produttori locali in una situazione di concorrenza sleale da parte di prodotti provenienti da stati più ricchi, dove l’agricoltura industriale è sussidiata dallo stato. La nascita nel 1995 dell’Organizzazione mondiale del commercio è stata il tocco finale. La globalizzazione ha sistematicamente minato i mezzi di sussistenza dei contadini promuovendo nel contempo la penetrazione e la concentrazione del mercato da parte delle corporation dell’agribusiness e della grande distribuzione, le quali ora controllano il sistema alimentare mondiale – le cinque maggiori corporation controllano il 75% del commercio internazionale di cereali, quattro grandi imprese di sementi controllano circa il 66% delle vendite globali di sementi, e quattro corporation controllano circa il 70% delle vendite di prodotti agrochimici. Si veda il rapporto Ipes-Food, Too Big to Feed. A questo proposito, McMichael ha scritto nel libro sopra citato: “Gli agricoltori che non sono in grado di soddisfare i requisiti di certificazione o di competere con i flussi di cereali a buon mercato si trovano ad affrontare spostamenti forzati ed espropriazioni, aggravando così il problema della fame nel mondo. È questa contraddizione fondamentale, in un regime alimentare ormai globale, che definisce il regime alimentare dominato dalle corporation”.
Come reazione diretta a questi processi, sono emerse organizzazioni contadine impegnate nella politica globale. Il movimento più grande e più conosciuto è La Via Campesina, nato da una lunga tradizione di movimenti agrari, in particolare latinoamericani ed europei. La decisione di costituire La Via Campesina come rete globale nel 1993 è stata innescata dall’Uruguay round all’interno del Gatt (General agreement on tariffs and trade) e dalla consapevolezza che “d’ora in poi le politiche agricole sarebbero state determinate a livello globale ed era essenziale che i piccoli agricoltori potessero difendere i loro interessi”, come ci spiegavano anni fa i leader del movimento (Nora McKeon, Carol Kalafatic, Strengthening dialogue: Un experience with small farmer organizations and indigenous peoples, Un Ngo Liaison service 2009).
I membri di La Via Campesina hanno sempre incluso organizzazioni contadine sia del nord sia del sud, riconoscendo la natura globale della sfida. La rete si descrive ora come un movimento popolare di massa composto da 182 organizzazioni provenienti da 81 paesi di Asia, Africa, Europa e Americhe, le quali rappresentano circa 200 milioni di contadini, senza terra, donne e giovani delle zone rurali, popolazioni indigene e lavoratori agricoli.
Sovranità alimentare e agroecologia contadina: un paradigma anti-sistemico
La sovranità alimentare (food sovereignty) è emersa a metà degli anni Novanta come concetto anti-sistemico, inteso a combattere il regime alimentare dominato dalle corporation e il concetto neoliberale della “sicurezza alimentare” (food security) che l’ha sostenuto. L’idea di sicurezza alimentare si basava sulla strategia di aumentare la produttività per pianta/animale, applicando le ricette della rivoluzione verde e di portare il cibo ai consumatori attraverso catene di approvvigionamento globali, contando sulla auspicata crescita economica per migliorare i redditi e l’occupazione di tutti e – strada facendo – ridurre la pressione popolare per riforme agrarie. In questa logica la produzione contadina era irrimediabilmente arretrata e inefficiente. La Via Campesina ha parlato per la prima volta di “sovranità alimentare” nella sua seconda Conferenza internazionale, tenutasi in Messico nell’aprile del 1996. Sette mesi dopo, il termine è stato usato nel forum delle ong tenutosi parallelamente al World food summit della Fao a Roma. Durante il successivo World food summit della Fao, nel 2002, la sovranità alimentare fu adottata nell’assemblea parallela della società civile come paradigma alternativo all’analisi basata sul mercato che aveva dominato il discorso e le azioni sullo sviluppo per oltre due decenni. La Dichiarazione politica inviata alla plenaria del Summit ufficiale precisava il terreno che questo paradigma intendeva coprire:
– Dare priorità alla produzione alimentare per i mercati nazionali e locali, basati su sistemi produttivi diversificati e agroecologici e su un’agricoltura contadina e familiare…
– Garantire prezzi equi per gli agricoltori, il che significa il potere di proteggere i mercati interni…
– Accesso delle persone a terra, acqua, foreste, zone di pesca e altre risorse produttive…
– Riconoscimento e promozione del ruolo delle donne nella produzione del cibo…
– Controllo comunitario sulle risorse produttive, in contrapposizione alla proprietà di terra, acqua e risorse genetiche e di altro tipo da parte delle corporation…
– Protezioni delle sementi, la base del cibo e della vita stessa, per il libero scambio e uso dei semi da parte degli agricoltori…
– Investimenti pubblici a sostegno delle attività produttive delle famiglie e delle comunità orientate all’emancipazione, al controllo locale e alla produzione di cibo per persone e mercati locali…
– Primato dei diritti delle persone e delle comunità sul cibo e sulla produzione del cibo, rispetto alle necessità del commercio…
Nel febbraio 2007 un incontro globale sulla sovranità alimentare svoltosi in Mali riunì oltre 500 delegati di movimenti e lotte locali di tutte le regioni del mondo, per costruire una comprensione comune di ciò che tale concetto comporta. Da allora, ha continuato a diffondersi dalla sua base contadina originaria e ha coinvolto altri gruppi rurali e urbani, approfondendo progressivamente la pratica e l’analisi delle sue varie dimensioni. La sovranità alimentare è stata descritta da Paul Nicholson, un leader storico di La Via Campesina, come “una visione per cambiare la società… È il diritto dei cittadini a determinare le politiche alimentari e agricole e a decidere cosa e come produrre e chi produce”. Ben lontana da essere un’astrazione, essa nasce dalle pratiche adottate dai produttori e dalle comunità contadine e indigene di tutto il mondo.
Sebbene la lotta e la pratica dal basso siano l’humus della sovranità alimentare, l’impegno con le istituzioni di governance globale è considerato una parte importante della strategia di La Via Campesina per la realizzazione di un cambiamento di sistema. Questo impegno può essere difensivo e/o proattivo a seconda dell’istituzione. Il Wto e le istituzioni finanziarie internazionali, decisamente irriformabili, sono state sin dall’inizio oggetto di denuncia e mobilitazione dall’esterno. La Fao, al contrario, è stata vista come un forum politico intergovernativo che poteva rappresentare un’alternativa per via della sua governance più democratica (all’interno di essa sono rappresentati tutti gli stati e il suo processo decisionale è basato su “un paese-un voto”), il suo focus specifico su cibo e agricoltura, con un forte ruolo normativo, la sua missione di eliminare la fame e la sua relativa apertura al dialogo con la società civile e le organizzazioni delle popolazioni rurali.
A seguito del World food summit del 2002, La Via Campesina e altri movimenti sociali rurali hanno creato una rete autonoma, l’International planning committee for food sovereignty (Ipc), per portare avanti la loro piattaforma, aprendo spazi politici ai movimenti rurali all’interno dei forum globali della Fao e istruendoli su come occuparli efficacemente. L’esperienza accumulata nel decennio successivo ha permesso ai membri del movimento di sfruttare l’opportunità politica offerta dalla crisi dei prezzi alimentari del 2007-2008, contribuendo a progettare un forum politico globale senza precedenti – il riformato Comitato sulla Sicurezza alimentare mondiale (Committee on word food security) – a cui le organizzazioni dei movimenti sociali partecipano sullo stesso piano dei governi e stanno vincendo battaglie discorsive significative contro l’agricoltura industriale dominante e le strutture del sistema alimentare dominato dalle corporation (ho descritto questo processo nel libro Food governance. Dare autorità alle comunità. Regolamentare le imprese, Jaca Book 2019).
La Via Campesina e la giustizia climatica
La Via Campesina è arrivata relativamente tardi ai negoziati della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). Durante la Conferenza delle parti (Cop13) a Bali del 2007, alcuni attori della società civile hanno espresso la loro insoddisfazione per gli approcci delle ong che dominavano lo spazio della società civile nell’Unfccc, le quali non contestavano in maniera decisa le cause sistemiche dei cambiamenti climatici. Il movimento per la giustizia climatica emerso da queste discussioni, al contrario, è scettico nei confronti delle istituzioni internazionali e si concentra su soluzioni decentralizzate che rispondano alle esigenze delle comunità. Esso si oppone inequivocabilmente ai mercati del carbone e ad altri approcci guidati dal mercato, definiti come “false soluzioni” Ne è emersa Climate justice now! (Cjn), una piattaforma che ha fatto uno sforzo particolare per coinvolgere organizzazioni di massa come La Via Campesina per la loro ampia adesione popolare. La decisione di La Via Campesina di impegnarsi nel periodo precedente alla Cop di Copenaghen del 2009 è stata facilitata dalla partecipazione al Cjn di alcuni suoi alleati di vecchia data su questioni commerciali. Un ruolo l’ha avuto anche la convinzione, da parte di alcuni membri latinoamericani di La Via Campesina, che potenziali alleanze con i paesi dell’Alleanza bolivariana per le Americhe (Alba) avrebbero potuto offrire la possibilità di influenzare il risultato della Cop. La motivazione basilare per cui La Via Campesina ha deciso di occuparsi del cambiamento climatico era la speranza che la sovranità alimentare e l’agricoltura contadina agroecologica sarebbero state riconosciute come un modo per aiutare a “raffreddare il pianeta”. L’agricoltura industriale e il sistema alimentare dominato dalle corporation generano infatti oltre il 50% delle emissioni di gas serra (la fonte di questo dato è un documento pubblicato nel 2011 dall’organizzazione internazionale Grain).
Il legame con l’Alba ha dato i suoi frutti a Copenaghen e nel 2010 Evo Morales ha sponsorizzato la World people’s conference on climate change and the rights of mother earth, la quale ha sancito il ricco contributo delle popolazioni indigene al tema della giustizia climatica. Lo stesso anno, tuttavia, la Bolivia è stato l’unico paese dell’Alba a prendere una posizione forte nella Cop di Cancun. Di conseguenza, le aspettative di La Via Campesina su quanto era possibile ottenere nelle riunioni formali della Cop sono diminuite e una maggiore enfasi è stata data alle street action, in collaborazione con altri movimenti sociali. I Forum sociali mondiali e la Conferenza Rio+20 nel 2012 hanno offerto l’opportunità di lavorare su queste opzioni.
L’istituzione, nel 2013, di un gruppo di lavoro interno a La Via Campesina sull’ambiente e la giustizia climatica le ha permesso di sviluppare la propria strategia e visione, seguendo la sua pratica consolidata della consultazione inclusiva e orizzontale, e di alimentarla nel “Climate space” emerso dal Forum sociale mondiale di Tunisi del 2013. I leader di La Via Campesina erano in prima linea nel denunciare il vertice sul clima di Ban Ki-Moon del settembre 2014 e la Global climate smart agriculture alliance promossa dalle Nazioni Unite, che hanno sostenuto “le false soluzioni della green economy, comprese alcune pericolose soluzioni tecnologiche basate sul mercato (come i ‘carbon markets’) che avrebbero fatto più male che bene”, come ha detto il leader di La Via Campesina Carlos Marentes. Il documento di sintesi di La Via Campesina attribuiva queste soluzioni al “bisogno di espansione del capitale industriale”, imponendo un impegno a “cooptare i produttori e la produzione agricola tradizionali e inserirli nell’attuale regime agroalimentare industriale sotto il controllo delle corporation”, aumentando così la loro vulnerabilità e indebitamento. La natura sistemica dei “progetti ‘green’ di aggiustamento strutturale” e il loro impatto su altri gruppi, come gli operai, furono chiaramente riconosciuti, insieme allo spazio che le “soluzioni” basate sul mercato aprono alla speculazione finanziaria. “Cambiamento di sistema, non cambiamento climatico” (System change, not climate change) è stato lo slogan usato anche tre mesi dopo alla Cop20 di Lima, dove La Via Campesina ha sottolineato le questioni delle migrazioni forzate causate dalla crisi climatica e lo spostamento forzato di contadini e indigeni dai loro territori con la copertura di pagamenti per servizi ambientali.
Passando dalla denuncia alla proposta, La Via Campesina attinge alla piattaforma della sovranità alimentare e al lavoro approfondito che è stato condotto in questi ultimi anni sul concetto e la pratica di agroecologia contadina. La linea di fondo è quella di trasformare il sistema alimentare mondiale industrializzato e agro-esportatore in uno basato sulla sovranità alimentare. I piccoli agricoltori e l’agricoltura indigena hanno la capacità di assorbire, o evitare di produrre, fino ai 2/3 dei gas serra rilasciati ogni anno, garantendo al contempo la fornitura di cibo e molti altri benefici sociali, economici e ambientali. Ciò richiederà il pieno sostegno da parte delle politiche pubbliche, sostegno che La Via Campesina ha contribuito a elaborare in altri forum: riforma agraria, sostegno per l’agroecologia contadina, protezione dei mercati locali, regolamentazione del (cattivo) comportamento delle corporation. Meritano una menzione particolare la Dichiarazione Onu sui diritti dei contadini e dei lavoratori in aree rurali adottata dall’Assemblea generale a dicembre scorso dopo 17 anni di battaglia e negoziati, il Decennio dell’agricoltura familiare delle Nazioni Unite lanciato a maggio 2019 e le raccomandazioni e le linee guida adottate dal Comitato sulla sicurezza alimentare mondiale a tutela dell’accesso dei contadini alla terra e a favore di politiche pubbliche a sostegno dei piccoli produttori che nutrono il mondo e raffreddano il clima.
Conclusione
I movimenti di massa come La Via Campesina, i quali costituiscono spazi reali in cui le persone stanno costruendo alternative alle violenze del capitalismo sfrenato, sono i luoghi principali per trovare soluzioni. Tuttavia, l’impegno nei forum intergovernativi è importante sia per mantenere il controllo dei danni contro i tentativi delle corporation di perseguire i propri fini, sia come occasione per sensibilizzare le organizzazioni della società civile e il pubblico generale alla piattaforma per la sovranità alimentare e alla necessità di praticare una “transizione agroecologica”. Mentre si muove verso la Cop di Santiago, vengono a galla molte delle domande che il movimento per la sovranità alimentare sta analizzando nella sua interfaccia con altri forum globali come il Comitato sulla sicurezza alimentare mondiale. Come gestire al meglio le interazioni tra molteplici livelli di governance a sostegno delle lotte popolari? Come impostare le specifiche questioni di priorità immediata all’interno di un’analisi sistemica e collegare l’impegno su di esse attraverso i diversi forum in cui vengono affrontate? Come tradurre progressi normativi “leggeri” (soft law) in misure vincolanti che frenino efficacemente il potere delle corporation? Come costruire alleanze con le ong riformiste o con accademici impegnati, in modo da moltiplicare le risorse disponibili per i movimenti senza indebolire il controllo politico e strategico della base? Come concepire, in una prospettiva anti-sistemica, il ruolo degli Stati, che oggi sono tra i peggiori colpevoli in termini di avanzamento di obiettivi ristretti e miopi ma allo stesso tempo elemento fondamentale per la responsabilità e la difesa dei diritti collettivi dei cittadini? Nel suo intervento al Vertice sul clima tenuto alle Nazioni Unite il 25 settembre di quest’anno, la rappresentante di La Via Campesina ha sottolineato il fatto che i contadini forniscono la soluzione che i milioni di giovani scesi in strada chiedono. Parlando ai governi ha fatto capire che loro hanno bisogno del movimento della sovranità alimentare e dell’agroecologia contadina. Ma, ha proseguito, “noi abbiamo bisogna di voi” e di istituzioni intergovernative inclusive come il Comitato per la Sicurezza alimentare mondiale per mettere in atto la transizione agroecologica.
L’attuale fase di molteplici crisi offre maggiori opportunità per mettere in discussione la logica neoliberista dominante e lo sfruttamento delle persone e del pianeta che questa comporta. I movimenti sociali sono attori importanti in questo processo. Le relazioni tra questi movimenti e le istituzioni globali che contestano nell’ambito delle loro lotte per il cambiamento del sistema sono dinamiche e interattive. Queste relazioni da un lato offrono l’opportunità per i movimenti di avere una leva ed esercitare un potere discorsivo e normativo, dall’altro lato rischiano di limitarli e cooptarli. Processi come quelli relativi ai cambiamenti climatici – compresi i negoziati Unfccc –, alla sicurezza alimentare e al diritto al cibo sono laboratori viventi per studiare l’evoluzione della governance globale e trarre insegnamenti per rafforzare le lotte anti-sistemiche.
Disegno tratto da Sniff di Antonio Pronostico e Fulvio Risuleo (Coconino press 2019)