La solidarietà dopo l’alluvione
e i nostri compiti per il futuro

Ripubblichiamo il pezzo del novembre del 2022 sull’alluvione nelle Marche.
Il tramonto di giovedì 15 settembre era stato pieno di vento e fulmini. Un temporale estivo, avrà detto qualcuno a Senigallia, tanto si sa sulla costa che dopo l’estate di sole arrivano sempre dei temporali a mandare tutti via dalla spiaggia. Eppure avevamo passato tre mesi di totale siccità e una tempesta di lampi come quella nessuno l’aveva mai vista.
Nella notte il fiume Misa è esondato a più riprese e in più punti. L’allerta della Protezione Civile è iniziata ad arrivare attraverso messaggi sui cellulari dei pochi registrati sull’apposito programma alle 21:11 di giovedì. Nei paesi dell’interno già la situazione era critica. Alla mattina di venerdì lo scenario era peggiore di quello dell’alluvione del 2014, che aveva già provocato tre morti e moltissimi danni. La città era allagata in più punti, dal centro alle periferie. I paesi a monte vicini al fiume erano pesantemente colpiti, Arcevia e Barbara avevano molti ponti inagibili e grandi frane. I morti davvero troppi, tredici, tutti con storie strazianti, in particolare i più giovani: Mattia 8 anni, Noemi 17, Andrea 25. Brunella, la madre di Noemi, una studentessa solare e generosa nel Liceo Perticari di Senigallia, è ancora oggi dispersa. Più di 10.000 persone sono state colpite direttamente su un bacino di circa 150.000 residenti nell’area. Le abitazioni inagibili sono più di 500 e moltissime le aziende che hanno subito ingenti danni o hanno dovuto comunque chiudere. Dopo due anni di pandemia e con una crisi energetica alle porte, questa parte della provincia di Ancona si appresta a “meridionalizzarsi” in modo definitivo.
Insieme agli amici della associazione Brigate volontarie per l’emergenza (BVE) che vivono a Senigallia avevamo discusso molte volte della eventualità di una nuova alluvione e di cosa fare per rispondere ad essa, ma a causa della scarsa preparazione tecnica e della mancanza di una relazione con il sistema comunale di Protezione Civile poco abbiamo potuto fare se non allertare amici e vicini, tirare fuori gli stivali di gomma e uscire di casa la mattina dopo cercando di dare una mano. Già dal secondo giorno si è formato un coordinamento autonomo di gruppi che non volevano sostenere in nessun modo la nuova giunta comunale, dal 2020 guidata da Fratelli d’Italia, una formazione politica che negli anni successivi alla prima alluvione del 2014, tanto in Comune come in Regione, si era distinta per il negazionismo climatico e le beffe contro i giovani attivisti ecologisti. Lo Spazio sociale autogestito Arvultura ha fornito la base logistica e l’aiuto di tanti militanti; come BVE abbiamo ricevuto la chiamata delle Brigate di solidarietà attiva (BSA) che ci offrivano il loro aiuto dal sud delle Marche e dall’Abruzzo e numerose donazioni di materiali e risorse da amici e solidali di Ancona: Priorità alla Scuola, Casa delle Culture, Altra Idea di Città. Si sono attivate, con tutte le loro capacità, quelle reti della sinistra diffusa che non trovano più voce e rappresentanza politica in nessun posto. Sono arrivate decine di volontari da Toscana, Emilia-Romagna, Umbria, Lazio, persino un gruppo di Greenpeace da Roma ha mandato attivisti ed un furgone per dieci giorni.
Abbiamo deciso da subito di formare un coordinamento autonomo e autogestito dei volontari presso lo spazio del centro sociale, unica struttura disponibile per tutti noi. Il primo giorno abbiamo organizzato 200 volontari, i successivi circa 50 al giorno fino a un totale di 600 persone coinvolte e più di 200 abitazioni che hanno ricevuto aiuto. Con il passare dei giorni l’entità dei danni si è resa evidente e con essa l’enorme generosità della città e dei volontari e delle volontarie di ogni tipologia e credo. Naturalmente si sono attivati la Caritas e il mondo cattolico, molto forti e radicati sul territorio, che però hanno scelto di saldarsi con la giunta di Fratelli d’Italia in una stretta collaborazione “istituzionale” che ha avuto come primo effetto quello di salvare la faccia ai politici screditati dalla loro evidente incapacità a reagire. L’impressione diffusa è infatti che la risposta istituzionale sia stata lenta, goffa e insufficiente. Il sindaco Olivetti e le persone più in vista della sua giunta non si sono mai visti nelle strade alluvionate, barricati nel centro operativo della protezione civile con evidente imbarazzo. Sono riapparsi soltanto per le elezioni del 25 settembre: davanti ai seggi con il petto gonfio, li potevi vedere gongolare per il successo elettorale mentre lungo il fiume Misa volontari e vigili del fuoco ancora cercavano i dispersi. Il territorio ha ricevuto anche una visita lampo di Mario Draghi in elicottero, una toccata e fuga del presidente della regione Acquaroli e persino la ridicola sfilata nel centro cittadino di alcune candidate a Miss Italia accompagnate dalla locale assessora al Welfare, che ovviamente non ha mai preso neanche una pala in mano.
Ci sono state alcune proteste sporadiche a Senigallia e soprattuto una forte protesta di giovani volontari e studenti contro la Regione Marche durante lo “Sciopero per il Clima” del 23 settembre indetto da Fridays For Future. In quella occasione più di dieci sacchi di fango sono arrivati fino al capoluogo di regione e sono stati lanciati contro il palazzo. Parapiglia con la digos, minacce di denunce e un coro di approvazione di tanti cittadini stanchi di subire l’incompetenza e l’arroganza di chi governa. Come spesso accade dopo i disastri, la voglia di normalità è tanta e si cerca di dimenticare. Il fango però a Senigallia è ancora ovunque come un’ombra. Nell’entroterra la situazione è ancora più triste, con i campi pieni di plastica e migliaia di arbusti piegati sotto la terra rinsecchita. A ogni pioggia troppo abbondante scattano nuovamente le allerte, migliaia di persone fanno fatica a dormire.
Dopo i lavori pesanti di pulizia e svuotamento dall’acqua di questi primi giorni sono adesso necessari interventi di pulizia leggeri ma lunghi, si ragiona di come dare sostegno alle famiglie sfollate e si riflette quale aiuto popolare può essere dato ad alcune imprese “socialmente responsabili” che hanno subito danni ma vorrebbero difendere l’occupazione.
Il coordinamento autonomo di volontari continua a organizzare attività e a monitorare il territorio. Emblematico il caso di Khalid, un operaio agricolo sulla trentina originario del Bangladesh, che per una settimana ha svuotato quasi da solo la casa alluvionata dove vorrebbe vivere con la moglie e la figlia di tre anni. Un pomeriggio infatti arriva alle Brigate Volontarie una chiamata da una giovane alluvionata del Pianello di Ostra che chiede l’assistenza di almeno quattro volontari per aiutare un uomo solo in una situazione difficile. Quando ci rechiamo sul posto troviamo una scena assurda: una casa completamente travolta dal fango, auto distrutte, mobili e suppellettili ovunque ancora due settimane dopo l’evento e un uomo che quasi da solo cerca di rimediare al disastro. Capiamo subito che qualcosa non torna. Il padrone di casa aveva addirittura riscosso l’affitto di 250 euro la settimana prima su una casa alluvionata e voleva ancora sfruttare il lavoro dei volontari per rimettere dentro l’inquilino. Una brutale e post-moderna mezzadria. Ci rifiutiamo di assecondare questo gioco e convinciamo Khalid ad accettare una sistemazione di emergenza, a cui ha diritto, dai servizi sociali che intanto abbiamo avvertito. Poi avrà diritto anche al CAS, il contributo per la sistemazione autonoma che abbiamo imparato a conoscere durante i terremoti degli ultimi anni. La sua storia mostra come sia necessario riportare il welfare a contatto con il terreno, allargare l’azione solidale con un’ottica verso la giustizia sociale, ma sentiamo che ci mancano le forze e le dimensioni del disastro ci superano da ogni lato.
Nonostante questo, il piccolo gruppo delle BVE ha dato la disponibilità per un primo progetto di assistenza diretta alla popolazione in collaborazione con una raccolta fondi popolare chiamata #amollomanonmollo che già nel 2014 aveva raccolto una grandissima generosità dei senigalliesi. I volontari del coordinamento autonomo si sono sforzati infatti di costruire una mappatura delle necessità e delle fragilità in modo da indirizzare l’aiuto dove serve di più rispetto al grado di precarietà sociale ed economica degli alluvionati.
Bisogna capire se le centinaia di giovani che per una settimana sono apparsi nelle strade con il sorriso sulle labbra e la forza nelle mani saranno capaci di fare la scelta di un impegno più duraturo. La loro presenza o assenza infatti è quello che marca la possibilità di lottare per un futuro, non addirittura migliore, ma per un futuro almeno. Questa crisi climatica che ha colpito una “normale” provincia italiana è avvenuta in un momento di grandissima difficoltà per le forze che cercano di mettere al centro dell’agenda politica la giustizia climatica. Neanche questa tempesta ha infatti impedito che alle elezioni politiche del 25 settembre Fratelli d’Italia, il partito più negazionista climatico del nostro Paese, facesse un pieno di voti in tutti i comuni della regione, tranne che a Pesaro, Senigallia, Jesi e Ancona. Anche nei piccoli paesi dell’entroterra alluvionati, la destra ha fatto il pieno di consensi. Sarà un compito davvero difficile quello di chi vuole costruire allo stesso tempo una alternativa al capitalismo e una rete di difesa territoriale dagli effetti e dalle ingiustizie del cambiamento climatico. È necessario che si intensifichi la collaborazione tra i tanti esempi virtuosi che esistono in Italia ma che ancora non riescono ad organizzarsi in una forza materiale all’altezza delle terribili sfide che vediamo arrivare non solo dalle nuvole.