La parola di Paolo
In Siria c’era un’oasi di pace che si chiama Deir Mar Musa, la casa di San Mosè l’Abissino, il monastero tra le montagne a nord di Damasco dove Padre Paolo dall’Oglio, con tante altre persone, aveva costruito la sua comunità. E dove si incontravano viandanti di ogni credo. Era una casa aperta in mezzo alle montagne dove si accoglievano pellegrini e si dava assistenza ai rifugiati negli anni Duemila in cui milioni di persone fuggivano dall’Iraq verso la Siria. Da rudere abbandonato era diventata una piccola perla in mezzo alle montagne vicino la città di Maluma. Che è uno dei luoghi dove ancora si parla l’aramaico. E dove ci sono le origini anche della nostra cultura. Paolo aveva scelto di andare lì e da gesuita indomito si era trovato un rifugio nei monti. E soprattutto lavorava incessantemente per il dialogo tra tutte le persone di buona volontà.
Quando la guerra è scoppiata anche in Siria nel 2011 la comunità e Padre Paolo hanno cominciato a rischiare sempre di più. Il regime non li amava, la guerra è spietata con tutti. La comunità si è trasferita in parte nell’area del Kurdistan iracheno che si è sempre distinta per l’accoglienza e la protezione delle minoranze. A Sulaymaniyya da un po’ di anni è nata una piccola perla, incastonata questa volta non in mezzo alle montagne ma nel centro della città vecchia. Il Monastero di Deir Maryam è un luogo aperto, di accoglienza che vive in mezzo alla gente e al dialogo. I padri della comunità portano avanti il lavoro di Mar Musa con la stessa determinazione e forza che li ha visti attraversare le guerre e le tragedie di questi anni.
Il Monastero dal 2014 è diventato un grande centro di accoglienza. Quando Daesh ha cominciato a perseguitare i cristiani, più di 150 famiglie, almeno mille persone, hanno trovato riparo tra le mura di Deir Maryam, la casa di Maria. In molti fuggivano dalla zona di Mosul e dai villaggi cristiani che sono stati rasi al suolo. Non avevano altro luogo dove andare e si sono rifugiati dai monaci che si sono inventati un centro di accoglienza. In poco tempo hanno però trasformato una tragedia in una comunità ricca di persone e di idee. Oggi al monastero ci sono corsi di lingua, di formazione professionale, c’è un centro giovanile con attività di animazione. E si continua a lavorare per il dialogo inter-religioso, fondamentale per la futura convivenza tra minoranze religiose e maggioranza sunnita e sciita.
A Deir Maryam ci sono, come a Mar Musa, ogni giorno ospiti da tutto il mondo. Gli sfollati non sono più accampati ma, dopo la liberazione di Mosul, sono rientrati a casa.
I padri di Deir Maryam hanno provato a ricostruire la fiducia e la speranza di queste persone. Gli hanno dato un tetto e un pasto caldo e poi ascolto, assistenza, formazione professionale per renderli autonomi nella città di accoglienza. Con attenzione ai giovani, che in questi anni sono cresciuti senza casa, spesso senza scuola, odiando i loro vicini di casa che sono diventati i loro persecutori e aguzzini. Cresciuti nell’odio e nell’isolamento è facile diventare portatori di guerra, di una spirale di vendette che non finirà mai. E invece proprio con loro bisogna lavorare. E scegliere di offrire alternative, opportunità, amore per la vita.
A Deir Maryam i padri celebrano la messa come a Mar Musa. In cerchio, in varie lingue, aperti agli ospiti e al dialogo. Attenti agli altri, ai cristiani perseguitati come ai musulmani. Continuando a portare avanti la parola di Padre Paolo che poco prima di essere rapito raccontava: “Ho visto la bruttura dell’assassinio e ho toccato con mano il rischio del crimine terrorista e del radicalismo armato. E tuttavia, sento un amore universale, al di là di ogni appartenenza”. E per questo suo spirito Paolo pensò di poter portare a miti consigli anche l’emiro di Daesh che aveva occupato Raqqa e se ne stava impossessando. Partì da Deir Maryam con la stessa fiducia che portò Francesco dal Saladino. E nonostante tutti gli amici lo mettessero in guardia ha cercato fino all’ultimo il dialogo. Forte del suo arabo dotto e della sua profonda conoscenza dei testi sacri. Ma probabilmente di fronte a sé ha trovato solo un ignorante senza alcuna cultura. Che ha avuto paura di un confronto reale. E così Paolo è scomparso un giorno a Raqqa, in mezzo alla guerra siriana e noi siamo lì che ancora lo aspettiamo. Come i siriani aspettano da 9 anni una luce di pace.
La foto è tratta da Farmacia notturna dei fratelli D’innocenzo (Contrasto 2019).