Israele è un regime di Apartheid
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L’apartheid di Israele contro i palestinesi: sistema crudele di dominio e crimine contro l’umanità, è il titolo del rapporto pubblicato da Amnesty International il 12 febbraio scorso 2022. Il documento è il risultato di una ricerca durata dal giugno 2017 al novembre 2021, fondata su decenni di inchieste, analisi, approfondimenti e verifiche rigorose effettuate tanto da Amnesty quanto da altre organizzazioni umanitarie in Israele, nei Territori occupati, a Gaza e a Gerusalemme Est. Il verdetto di Amnesty, infatti, giunge dopo la legal opinion dell’avvocato israeliano Michael Sfard per conto di Yesh Din – The Occupation of the West Bank and the Crime of Apartheid: A Legal Opinion – del 9 luglio 2020; il rapporto di B’tselem – A Regime of Jewish Supremacy from the Jordan River to the Meditherranean Sea: This is apartheid – del 12 gennaio 2021, e il pronunciamento di Human Rights Watch: A Threshold Crossed: Israeli Authorities and the Crimes of Apartheid and Persecution del 27 aprile 2021.
Il dato centrale dei documenti citati – l’apartheid – è stato confermato direttamente un mese dopo da due ulteriori fatti: la riconferma, il 10 marzo, da parte della Knesseth della “Legge sulla nazionalità e l’ingresso in Israele”, promulgata Il 31 luglio 2003, che vieta la concessione di qualsiasi tipo di residenza o status di cittadinanza ai palestinesi dei Territori occupati (Opt) sposati con cittadini israeliani; e il rapporto presentato il 22 marzo al Human Rights Council delle Nazioni unite da Michael Lynk, dal 2016 Relatore speciale Onu sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi.
Si tratta di una denuncia che i palestinesi avanzavano, inascoltati, da più di due decenni. In tutti questi anni, ulteriori ricerche condotte da organizzazioni per i diritti umani, israeliane e internazionali, hanno contribuito alla raccolta di una mole impressionante di documenti e testimonianze, citate in nota nel rapporto di Amnesty, che confermano senza ombra di dubbio che lo Stato di Israele è colpevole delle accuse che gli vengono mosse e che il sistema messo in piedi all’indomani della guerra del 1948, rafforzato ed esteso dopo la conquista della Cisgiordania nel 1967, è un sistema di apartheid così come viene definito dai principali trattati internazionali che vietano e/o criminalizzano esplicitamente l’apartheid: in particolare la Convenzione sull’Apartheid e lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Tali trattati, come ci ricorda anche Lynk, sono molto precisi nello specificare le caratteristiche del crimine contro l’umanità dell’apartheid, che è commesso, secondo lo Statuto di Roma, quando “un atto disumano o atroce è perpetrato nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione e dominio sistematici da parte di un gruppo razziale su qualsiasi altro gruppo o gruppi, con l’intenzione di mantenere quel sistema”. È importante sottolineare che è indispensabile, perché si dia apartheid, che sia provato l’intento specifico di mantenere un regime o sistema di crudele controllo discriminatorio di uno o più gruppi razziali da parte di un altro gruppo.
A proposito del termine “gruppo razziale”, il rapporto precisa: “Qualsiasi tentativo di categorizzazione razziale è sgradevole e complicato […]. Ai fini della presente relazione, consideriamo la moderna concezione della razza nel diritto penale internazionale come primariamente soggettiva, dipendente dalla percezione dei gruppi ma soprattutto da quella dei presunti colpevoli. La domanda principale che si pone qui è se Israele, nella sua legge e pratica, e singoli politici e funzionari israeliani, nelle loro azioni volte a mantenere il dominio, considerino e trattino ebrei israeliani e palestinesi come gruppi razziali separati. Questo rapporto dimostra che ebrei israeliani e palestinesi si identificano come gruppi diversi e, soprattutto, che le leggi israeliane percepiscono e trattano i palestinesi come un gruppo separato e inferiore”.
Il rapporto, di 280 pagine, copre il periodo che va dal 1922 al 2021 e si articola in sette capitoli. I primi tre comprendono un riepilogo generale e una descrizione dell’ambito e della metodologia della ricerca. Il quarto capitolo è dedicato al crimine di apartheid nella legislazione internazionale; il quinto entra nel vivo dell’argomentazione poiché esamina il fenomeno dell’oppressione e del dominio degli israeliani sui palestinesi e la sua intenzionalità; le forme di questo dominio da parte degli israeliani sui palestinesi attraverso il mantenimento e l’accentuazione della loro frammentazione: i palestinesi in Israele, Territori occupati, a Gaza, a Gerusalemme Est e i rifugiati fuori dallo Stato di Israele, le forme di segregazione e di controllo attraverso negazioni di status e nazionalità; restrizioni alle libertà di movimento; uso del governo militare; restrizioni del diritto alla partecipazione politica; requisizione di terre e proprietà e assegnazione discriminatoria a insediamenti ebraici di terre palestinesi confiscate. Si esamina anche la discriminazione nella pianificazione urbana e nel sistema di lottizzazione e la suddivisione discriminatoria delle risorse e dei servizi in Israele.
Il sesto capitolo, su cui solo abbiamo lo spazio per soffermarci, intitolato “Azioni disumane e atroci (inhuman and inhumane) contro i palestinesi”, è una lista del’orrore toccato in sorte ai palestinesi sotto occupazione: uccisioni illegali e lesioni gravi; negazione di diritti e libertà fondamentali; persecuzione; trasferimenti forzati; detenzione amministrativa e tortura. Il capitolo settimo è dedicato alle conclusioni e alle raccomandazioni.
Atti disumani e atroci: è come se gli estensori del rapporto si fossero resi conto che il solo aggettivo “inhumane” (utilizzato nello Statuto di Roma) non fosse sufficiente a segnalare la gravità degli abusi e la crudeltà di chi tra gli occupanti, di volta in volta, li ha perpetrati – soldati, poliziotti, coloni, rappresentanti dall’amministrazione militare, giudici, carcerieri – e fosse necessario rafforzarlo. Ecco l’elenco di questi atti inhuman and inhumane, quasi tutti compresi nell’elenco dei crimini contro l’umanità dello Statuto di Roma, con l’aggravante che, secondo il diritto internazionale umanitario, i palestinesi nei Territori sono “persone protette” che hanno diritto a una forma speciale di tutela e a un trattamento umano in ogni momento:
Uccisioni arbitrarie
Nei Territori, le forze israeliane hanno compiuto omicidi illegali e perpetrato la pratica pianificata e persistente di sparare con l’obiettivo di uccidere o mutilare i palestinesi in manifestazioni pacifiche. Secondo “B’Tselem”, tra settembre 2000 e febbraio 2017 le forze israeliane hanno ucciso 4.868 palestinesi, inclusi 1.793 bambini, al di fuori del contesto del conflitto armato. Hanno al contempo causato gravi ferite ai palestinesi e danneggiato proprietà palestinesi, nella quasi totale impunità. Dal 1987 nessun soldato dell’esercito israeliano o membro di un’altra forza di sicurezza è stato condannato per aver causato la morte di un palestinese nei Territori. La cultura dell’impunità in relazione alle uccisioni di stato in Israele si colloca all’interno di una più ampia mancanza di responsabilità per la violenza della polizia nel Paese.
Tortura e maltrattamenti
Diffusissimi durante gli arresti e gli interrogatori dei palestinesi sia in Israele sia nei Territori. I palestinesi detenuti, compresi i bambini, hanno denunciato di essere stati torturati o di aver subito violenza da parte delle agenzie di sicurezza, del servizio carcerario o dei militari dell’esercito durante l’arresto, il trasferimento e l’interrogatorio. Rarissime le indagini su queste denunce da parte delle autorità israeliane. Gli interrogatori sotto tortura possono durare settimane, e ai detenuti è regolarmente negato l’accesso a un avvocato. I bambini palestinesi sono tra coloro che subiscono torture e altri maltrattamenti, anche per ottenere “confessioni”. Alla fine di giugno 2020, secondo B’Tselem, almeno 151 bambini erano detenuti nelle carceri israeliane, di cui almeno due in detenzione amministrativa.
Detenzione amministrativa
“Una forma di detenzione in base alla quale gli individui sono detenuti dalle autorità statali senza l’obiettivo di perseguirli in un processo penale. Essa si basa su motivi di sicurezza segreti che l’imputato e l’avvocato non possono esaminare. La detenzione amministrativa viene utilizzata per aggirare la protezione legale e il giusto processo garantiti a tutte le persone private della libertà ai sensi del diritto internazionale, che la consente solo in circostanze eccezionali, e fatte salve rigorose salvaguardie. Tuttavia, l’uso sistematico che ne fa Israele indica che è usata per perseguitare i palestinesi piuttosto che come un atto straordinario e misura preventiva utilizzata in modo selettivo.” Al momento in cui scriviamo, secondo dati dell’Israel Prison Service, 579 persone sono sottoposte a questa misura.
Demolizione di abitazioni
Le leggi e le politiche di pianificazione restrittive e discriminatorie in Israele, Gerusalemme est e Area C della Cisgiordania hanno reso praticamente impossibile per i palestinesi ottenere permessi di costruzione dalle autorità israeliane, lasciando molti di loro senz’altra scelta se non costruire senza permessi, rischiando la demolizione delle abitazioni e il successivo sfollamento forzato. Nel solo Negev dove le autorità israeliane hanno negato il riconoscimento a 35 villaggi beduini ci sono state, tra il 2013 e il 2018, 7.298 demolizioni di cui 6.100 autodemolizioni per evitare di pagare i costi e le multe imposte dall’autorità occupante. A Gerusalemme Est, secondo B’Tselem, tra il 2004 e il 2021 sono state demolite 1.632 strutture, di cui 1.136 abitative, causando l’espulsione di 3.659 palestinesi. Nell’Area C della West Bank, tra il 1 gennaio 2009 e il 12 agosto 2020, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 5.339 strutture per mancanza delle autorizzazioni edilizie producendo un totale di 7.548 senza tetto. Tali demolizioni avvengono in un contesto generale di leggi e politiche discriminatorie, quali ad esempio il rifiuto di collegare le comunità residenti alla rete elettrica e a quella idrica (compresa la rete fognaria); la mancanza di scuole e di centri sanitari che preclude il diritto alla salute e all’istruzione. Vi è poi il fenomeno delle demolizioni punitive: 1.012 (4.548 senzatetto), secondo B’Tselem tra il 2001 e il 2020. Nella striscia di Gaza, secondo dati ONU, nelle operazioni militari del 2014 furono distrutte 37.650 unità abitative con 108.000 senza tetto. In quella del 2021 Israele ha distrutto 2.291 unità abitative e commerciali provocando 113.000 senza tetto.
Negazione di diritti e libertà fondamentali e persecuzione
Tra gli altri atti disumani previsti dallo Statuto di Roma, che possono intenzionalmente causare grande sofferenza o lesioni gravi al corpo o alla salute mentale, figurano la restrizione arbitraria della libertà di movimento e di residenza nelle proprie comunità, la negazione del diritto a una famiglia e all’accesso ai mezzi di sussistenza, all’alloggio, al cibo, all’acqua, ai servizi sanitari essenziali e all’istruzione.
Amnesty International ha quindi concluso che per quanto riguarda la negazione dei diritti umani della popolazione palestinese attraverso anni di deliberate politiche discriminatorie ed escludenti e le dichiarazioni ufficiali israeliane che si riflettono nella pratica, le autorità israeliane hanno commesso il crimine contro l’umanità della persecuzione, o altro atto disumano assimilabile alla “persecuzione”, ai sensi dello Statuto di Roma e alla “negazione dei diritti umani fondamentali” che “impediscono al gruppo o ai gruppi razziali di partecipare alla vita politica, sociale, economica e culturale del Paese e alla creazione deliberata di condizioni che impediscono il loro pieno sviluppo” ai sensi della Convenzione sull’apartheid.
Israele si è spesso difeso e giustificato ricorrendo a ragioni di sicurezza. Tuttavia, non hanno alcuna logica di sicurezza la prolungata e crudele negazione discriminatoria dell’accesso dei palestinesi alle loro terre e proprietà sequestrate in modo violento e discriminatorio; l’effettiva segregazione dei cittadini palestinesi di Israele attraverso leggi discriminatorie sulla pianificazione e l’accesso agli alloggi; la negazione dei loro diritti di rivendicare le loro proprietà e le loro case sequestrate sotto l’autorità di leggi razziste, o di trasferirsi e risiedere dove vogliono, anche in quelle che sono state designate come comunità esclusivamente ebraiche.
Anche altre violazioni dei diritti dei cittadini palestinesi di Israele non hanno alcun legame con la sicurezza. L’interferenza arbitraria e discriminatoria nei diritti dei cittadini palestinesi di Israele di sposarsi ed estendere il diritto di soggiorno ai loro coniugi e figli, in assenza di prove che particolari individui rappresentino una minaccia, non può essere giustificata per motivi di sicurezza. Non vi è alcuna giustificazione di sicurezza per la diversificazione di nazionalità e cittadinanza all’interno di Israele e le limitazioni che ciò impone ai palestinesi nell’esercizio dei loro diritti. La vera ragione di queste violazioni e l’intenzione dell’azione differenziale vanno ricercate altrove. Inoltre, il trattamento differenziato nei territori occupati non può essere tollerato laddove l’intenzione della differenza sia quella di privilegiare i cittadini della potenza occupante a danno duraturo della popolazione occupata.
Le prove di violazioni diffuse, sistematiche e crudeli documentate in questo rapporto portano alla conclusione che l’intenzione è quella di garantire il dominio ebraico israeliano e l’oppressione dei palestinesi in tutte le aree sotto il controllo di Israele e che Israele ha stabilito e mantenuto un regime istituzionalizzato di oppressione e dominio della popolazione palestinese a beneficio degli ebrei israeliani – un sistema di apartheid – ovunque abbia esercitato il controllo sulla vita dei palestinesi dal 1948.
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