INTELLIGENZA ARTIFICIALE O STUPIDITÀ NATURALE? (Seconda Parte)

Di Intelligenza artificiale si parla ovunque. Ma non è facile districarsi nell’informazione mainstream – omologata nell’esaltarne le “magnifiche sorti e progressive” – e tracciare un percorso critico che ne metta in luce le problematiche, intrecciate a molteplici ambiti sociali.
Nel numero precedente abbiamo “smontato” la retorica intorno all’Intelligenza artificiale osservandola da diversi punti di vista: le origini storiche, i limiti tecnici, l’uso discriminatorio nei confronti degli immigrati, delle minoranze, delle donne, la riproduzione di pregiudizi legati all’orientamento sessuale, i risultati controversi del suo prodotto più recente e più discusso: la ChatGPT.
In questo numero continuiamo l’indagine, occupandoci innanzitutto degli errori dell’IA e della pretesa di poterli correggere. In realtà non si tratta di veri e propri errori, ma di risposte che derivano dalla riproduzione di pregiudizi sociali di cui la rete è piena, e che corrispondono a precise visioni del mondo: per quanto detestabili, non saranno strumenti “artificiali” a debellarle dal mondo reale; al contrario, la struttura degli strumenti di IA è destinata a rinforzarle.
Può la “pedagogia hacker” contrastare questa evoluzione socialmente pericolosa? L’interrogativo è urgente, anche in considerazione del fatto che la scuola sarà uno dei principali luoghi di sperimentazione della “transizione digitale”. Il Piano Scuola 4.0 avrà probabilmente un grande impatto sul piano educativo, ma la sua elaborazione è stata sottratta al dibattito pubblico, come è avvenuto per tutti gli altri strumenti legati al PNRR. Tuttavia l’analisi di questo testo non basta a guidarci nella lettura del presente. Per comprendere le implicazioni del Piano e i suoi presupposti ideologici dobbiamo guardare più lontano, tornare a leggere il dibattito che fu all’origine della ricerca sulla cibernetica tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta: questa storia non ha inizio oggi, e non riusciremmo a comprenderla senza rintracciarne le radici. Una conoscenza necessaria per l’azione, come quella messa in campo da centinaia di collettivi e attivisti che si sono dati appuntamento qualche settimana fa a Bologna per discutere sulle possibilità di usare la tecnologia mettendola al servizio delle comunità.