In un romanzo di Lao She, il mancato incontro tra Cina e occidente

Nel 1929, dopo un soggiorno di cinque anni a Londra trascorso come lettore presso la School of Oriental Studies, Lao She, una delle voci più importanti e singolari del Novecento cinese, scrive il suo terzo romanzo, I due Ma, padre e figlio (traduzione di Maria Gottardo e Monica Morzenti, Mondadori, 2021), narrando in tono umoristico il mancato incontro fra inglesi e cinesi causato da pregiudizi e incomprensioni storicamente determinate.
I due Ma, Ma Zeren e Ma Wei, padre e figlio, arrivano a Londra per rilevare un negozio di antiquariato lasciato in eredità dal fratello del signor Ma padre. Per intercessione di un missionario che hanno conosciuto in Cina, il reverendo Evans, vengono accolti (dietro congruo pagamento) in casa della vedova Wendell, e l’intercessione è necessaria perché quale famiglia per bene si prenderebbe in casa dei cinesi? Sui cinesi infatti girano voci terribili: mangiano i topi, avvelenano la gente, contrabbandano oppio, si macchiano di crimini efferati. Il fatto è che in Inghilterra, per via dei recenti fatti storici, fra cui la ribellione dei Boxer, i cinesi sono percepiti come il “pericolo giallo”, li si teme e disprezza perché, sostiene Lao She, nel XX secolo l’essere umano viene giudicato in base alla nazione a cui appartiene, i cittadini di nazioni forti sono esseri umani, quelli di nazioni deboli – come era la Cina al tempo – men che umani, cani!
L’ambientamento dei due Ma a Londra si rivela dunque difficile e umiliante, ma nel confronto emergono anche le specificità cinesi che sono di ostacolo tanto alla comprensione reciproca che all’evoluzione in positivo della Cina. Il signor Ma è il prototipo di una Cina vecchia, non ha mai usato il cervello, vive delle sue convenzioni per le quali lo scopo della vita è fare il funzionario e disprezza dunque il commercio. Incapace di fare alcunché, nutre però grande rispetto per la faccia – altro atavismo cinese – una volta salvata la faccia, niente più conta, nemmeno la realtà. Lao She nota come a questo si accompagni la più spudorata “sfacciataggine” perché per salvare la faccia era poi pronto a umiliarsi chiedendo soldi in prestito da sperperare in banchetti per salvare le apparenze. Questo circolo vizioso del carattere nazionale portava alla mancanza di senso della realtà e al diffuso atteggiamento del tirare a campare, entrambi deleteri per un futuro riscatto del paese. Il giovane Ma, Ma Wei, rappresenta invece una Cina che rifiuta il mondo ossificato del mandarinato confuciano, vorrebbe studiare, emanciparsi, fare qualcosa dell’esperienza a Londra, ma resta invischiato nell’ottusità del padre a cui però deve rispetto, nella gestione del negozio che gli dà da vivere ma gli porta via tempo per studiare e nell’amore per la figlia della vedova Wendell che lo disprezza in quanto cinese. Ma Wei “sapeva analizzare le cose con lucidità, ma quel che gli mancava era la determinazione”.
Nessuna di queste due Cine è destinata al successo e traspare nel libro il desiderio di Lao She di svegliare i suoi concittadini mostrando quei difetti che impediscono di dare una svolta alla loro storia. Il suo intento è anche quello di trasmettere quanto ha capito dell’Inghilterra e degli inglesi, non da xenofobo ma da attento e acuto osservatore. Non ultimo raccontare Londra, città che ha molto amato e che descrive con partecipazione e ammirazione, dai giardini alle strade, dai tipi di nebbia alla gente, dal Natale alla città modello di Welwyn. Ed è in queste descrizioni che la sua lingua eccelle e lascia stupiti per la maturità, visto che non solo scrive il libro a trent’anni, ma scrivendolo crea la nuova lingua, il baihua, frutto della rivoluzione letteraria e culturale del Movimento del 4 maggio, che rifiutava la lingua classica stereotipata, il wenyan, per sostituirla con la lingua parlata da tutti, accessibile e nutrita di novità lessicali e grammaticali venute dall’esterno. Una nuova lingua per nuovi significati. E anche se Lao She non era stato parte attiva di quel movimento, ne condivideva però gli ideali e soprattutto le pratiche. Non è un caso che i dialoghi siano molto efficaci, le descrizioni della città e della natura poetiche senza essere auliche e i ritratti dei personaggi fulminanti, come nel caso della moglie del reverendo Evans.
La verve di Lao She si riassume molto bene nell’episodio del carattere ricamato dalla signora Wandell su un cappellino: il signor Ma aveva scritto il carattere “bello”, ma la signora l’aveva ricamato a rovescio e separando le parti da cui era composto, per cui il risultato involontario erano tre caratteri che significavano “gran cornuto”. E così una lode si trasformava in un insulto: “diavoli stranieri” e “musi gialli” non erano fatti per capirsi.
La parabola di Lao She ha un esito tragico: attaccato e picchiato dalle Guardie rosse durante la Rivoluzione culturale, si suicida annegandosi in un lago nella parte occidentale di Pechino. Una vittima illustre di un periodo nel quale non si riconosceva, lui mancese (aveva infatti lo sguardo eccentrico di un non–Han), cristiano (si era battezzato nel 1922), a suo agio all’estero, internazionalmente noto, cosmopolita, non era mai stato marxista e se aveva simpatizzato e sostenuto la rivoluzione, non si sapeva orientare nella lotta politica successiva.
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