In Germania: attacchi contro gli ebrei critici del sionismo

In un articolo apparso il 4 aprile scorso sulla rivista online +972 magazine la corrispondente dalla Germania, Heibh Jamal riferisce delle nefaste conseguenze derivanti dalla risoluzione approvata dal Bundestag nel 2019 che dichiara antisemita il movimento BDS (Boycott, Divestment, Sanctions, un movimento che promuove la libertà, la giustizia e l’uguaglianza per i palestinesi) e di conseguenza anche chiunque lo sostenga. La risoluzione era giustificata dall’aumento degli episodi di antisemitismo e dai timori generati dal flusso crescente di immigrati provenienti dai paesi musulmani. Ma era anche la diretta conseguenza del voto con cui, l’anno prima, il Bundestag aveva dichiarato “l’esistenza di Israele come parte dell’interesse nazionale della Germania”. La risoluzione nasce anche da una discutibile interpretazione della definizione di antisemitismo data dall’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance) nel 2016, che offre il destro a applicazioni strumentali autorizzando la destra a definire antisemita chiunque critichi le politiche di Israele. È per questa ragione che nel 2021 un gruppo di studiosi nei campi della storia dell’Olocausto, degli studi ebraici e degli studi sul Medio Oriente hanno stilato la Jerusalem Declaration on Antisemitism, firmata da più di 350 personalità del mondo della cultura internazionale tra i quali Abraham Yehoshua e Carlo Ginzburg. “Quali che siano le intenzioni dei suoi sostenitori – si dice nel preambolo della Dichiarazione di Gerusalemme – la definizione di antisemitismo data dall’IHRA “offusca la differenza tra discorsi antisemiti e legittime critiche a Israele e al sionismo. Ciò causa confusione, mentre delegittima le voci dei palestinesi e di altri, compresi gli ebrei, che hanno opinioni aspramente critiche nei confronti di Israele e del sionismo. Niente di tutto questo aiuta a combattere l’antisemitismo”.
Sulla situazione venutasi a creare in Germania, in seguito alla risoluzione, avevano già riferito lo scorso anno sia Peter Beinart su Jewish Currents, sia Avraham Burg, ex Presidente del Parlamento israeliano, su Haaretz, prendendo spunto entrambi da una conferenza organizzata a Berlino dall’Einstein Forum, intitolata “Hijacking Memory: The Holocaust and the New Right” (Il sequestro della memoria: l’Olocausto e la nuova destra). La conferenza era incentrata sull’analisi del fenomeno dell’appropriazione indebita, se non del vero e proprio sequestro, del processo di espiazione tedesco da parte della destra filoisraeliana. L’articolo di Beinart segnalava come la memoria dell’Olocausto, in Germania, venisse usata come arma per far tacere chi criticava Israele. La risoluzione del Bundestag, infatti, equipara il boicottaggio di Israele ai boicottaggi nazisti degli ebrei, ignorando il fatto, sosteneva Beinart, “che i gruppi della società civile palestinese hanno creato il movimento BDS perché vogliono la ‘piena uguaglianza’ con gli ebrei mentre i nazisti boicottavano gli ebrei perché volevano esattamente il contrario”. Il meccanismo messo in moto dalla risoluzione e l’estrema puntigliosità con cui le istituzioni pubbliche ne hanno assicurato l’applicazione nel corso degli ultimi tre anni, oltre a colpire i movimenti palestinesi, adesso – è questo il paradossale sviluppo della faccenda – finisce per rivolgersi anche verso gli stessi ebrei che avanzano critiche verso lo Stato di Israele, come dimostra Heibh Jamal nel suo articolo.
Jamal riporta la testimonianza di Wieland Hoban, compositore e traduttore accademico che è anche presidente di Jüdische Stimme, un’organizzazione ebraica antisionista, il quale ha accertato una decisa e preoccupante impennata nel numero di ebrei presi di mira perché fortemente critici della posizione categoricamente filo-israeliana della Germania. “Mentre i tedeschi e le istituzioni statali sono a proprio agio nel diffamare e calunniare i palestinesi, sostiene Hoban, si sta arrivando al punto in cui abbiamo dei non ebrei che affibbiano ad altri ebrei l’infamante accusa di essere antisemiti!. Si tratta di un nuovo imprevisto sviluppo cui si è arrivati negli ultimi due anni”.
Gli ebrei non sionisti sono il bersaglio di una marea di attacchi e di vari livelli di censura a causa della loro solidarietà con la causa palestinese, non soltanto dalla destra più conservatrice, ma anche da alcuni settori della sinistra, in particolare la fazione Antideutsch, che trova uno dei suoi collanti più efficaci nel sostegno incondizionato a Israele e nella profonda avversione nei confronti di chi critica il sionismo.
Pertanto le differenze di opinione politica sul capitolo Israele-Palestina sono scoraggiate, persino minacciate, da un ampio fronte politico. La conseguenza è una situazione contorta in cui lo Stato decide cosa è antisemita e offensivo per gli ebrei – e gli stessi ebrei ne sono spesso il bersaglio. È il caso di Adam Broomberg, un artista ebreo sudafricano che ora vive a Berlino, il quale ha dovuto difendersi da una serie di accuse da parte del commissario per l’antisemitismo di Amburgo, Stefan Hensel, a causa del suo sostegno alla causa palestinese. Broomberg, cresciuto nel Sud Africa dell’apartheid, racconta di aver compreso l’impatto dell’apartheid sin da quando era un adolescente. “A scuola mi dicevano ogni giorno che se l’apartheid fosse finito in Sud Africa, ciò avrebbe significato la fine dell’esistenza dei bianchi. Allo stesso modo, mentre frequentavo una scuola religioso-sionista, mi dicevano che il sionismo avrebbe assicurato la sopravvivenza del popolo ebraico. In entrambi i casi venivano usate le stesse strategie per giustificare il mantenimento dello status quo, ed entrambi questi miti hanno iniziato a crollare per me contemporaneamente. Il mio sostegno alla Palestina non è qualcosa che ho deciso all’improvviso. Ho 52 anni e questa decisione l’ho presa quando avevo 15 anni”.
Dopo la risoluzione del Bundestag, il direttore del Museo Ebraico di Berlino è stato costretto a dimettersi in seguito alla campagna diffamatoria scatenatagli contro dai critici di destra per aver organizzato una mostra sulla storia di Gerusalemme in cui si dedicava troppa attenzione al passato musulmano della città. Nell’aprile del 2021, infine, i funzionari della città di Berlino hanno vietato una marcia di protesta contro la violenza israeliana a Gerusalemme con la motivazione che avrebbe potuto fomentare l’antisemitismo.
Secondo Susan Neiman, una delle organizzatrici della conferenza berlinese, “ciò che è emerso negli ultimi due anni è che il processo di espiazione è andato in tilt”. È andato in tilt perché il governo israeliano, in collaborazione con la destra tedesca, è stato autorizzato a stabilire come i tedeschi debbano espiare il loro passato antisemita e genocidiario. Ma non è solo la memoria ad essere stata dirottata in Germania. Anche il processo di espiazione lo è stato.
Come osserva Avraham Burg, “quando si tratta di questioni correlate alla storia dei rapporti con gli ebrei e alla questione dell’antisemitismo, in Germania il controllo è esercitato dal Consiglio centrale degli ebrei tedeschi che si ritiene rappresenti tutti gli ebrei tedeschi, ma che in realtà ne rappresenta solo una piccola parte. Cosi si arriva alla paradossale situazione attuale in cui l’estrema destra controlla le politiche israeliane, Israele orienta le posizioni del Consiglio Centrale che a sua volta detta legge su alcune delle più delicate discussioni politiche in Germania”. Con la conseguenza che la destra razzista israeliana (definita così da Burg già prima delle ultime elezioni) controlla raggio e portata delle emozioni e dei sentimenti riguardo al proprio passato nei confronti degli ebrei, dell’antisemitismo e di Israele. Come è potuto accadere, si chiede Burg? È accaduto, egli sostiene, “perché Israele ha trasformato l’antisemitismo in una potente arma diplomatica. Qualsiasi critica di Israele è antisemita, tutti gli oppositori sono nemici, ogni nemico è Hitler, ogni anno è il 1938”.
In Germania abbiamo quindi la situazione seguente: il commissario di stato per l’antisemitismo, Michael Blume, che non è ebreo, è autorizzato in tale veste a determinare cosa sia e cosa non sia antisemita. Il risultato della sua nomina, e di quella di molti altri commissari per l’antisemitismo in Germania, è che un cristiano tedesco accusa regolarmente gli ebrei israeliani di antisemitismo per aver espresso le loro convinzioni politiche in cui si critica l’occupazione e le condizioni in cui Israele costringe a vivere i palestinesi.
Molti degli ebrei israeliani, residenti in Germania, che ora stanno affrontando ripercussioni legali e culturali per le loro critiche a Israele, sentono che l’identità ebraica è distorta in modo tale da essere usata come arma contro di loro. “I veri ebrei non contano – ha detto Hoban –. Siamo solo un significante nella loro narrativa teorica. I tedeschi oggi non credono che gli ebrei abbiano opinioni diverse e siano attori autonomi che non sono interessati ad apparire in questo film tedesco, dove devono recitare una parte a vantaggio del tedeschi”.
Hannah Tzuberi, studiosa di studi ebraici e islamici, ha sostenuto che il processo incompleto dell’Europa di venire a patti con il proprio passato – ciò che i tedeschi chiamano Vergangenheitsbewältigung – ha in qualche modo portato tedeschi ed europei a proiettare la propria colpa per l’Olocausto sui palestinesi. Nell’immaginario europeo del XXI secolo, sostiene Tzuberi, i tedeschi, come pure altri europei, attraverso il loro sostegno a Israele, si sono assolti sia dalla colpa per l’Olocausto sia dagli orrori del loro passato coloniale: ora sono i palestinesi, che resistono alla colonizzazione sionista in Palestina, i nuovi nazisti.
L’arma dell’antisemitismo è praticata contro individui, accademici, giornalisti, professionisti e organizzazioni per i diritti umani che osano sostenere pari diritti nazionali, politici, legali e civili per i palestinesi o fornire rapporti basati su prove delle violazioni dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati. Sorprendente ed eloquente in questo senso la reazione al Rapporto di Amnesty International, “L’apartheid israeliano contro i palestinesi”, pubblicato nel febbraio 2022, da parte della sezione tedesca di Amnesty che non lo ha pubblicizzato sul proprio sito. Invece di lottare contemporaneamente per i diritti umani dei palestinesi e contro l’antisemitismo, la sezione tedesca di Amnesty ha inopinatamente annunciato il suo ritiro dal dibattito sul rapporto, lasciando così il campo aperto a “strumentalizzazioni o interpretazioni errate” – proprio ciò che aveva sperato di contrastare.
In questo modo, secondo Burg, “la Germania gioca un ruolo cardine nel fornire un certificato di conformità kosher alle ingiustizie che lo Stato israeliano perpetra in Israele e nei Territori occupati. Lo Stato tedesco diventa il principale sostenitore e garante di una realtà in cui i palestinesi sono privati di diritti e status nella loro stessa patria. Non esiste nessun altro paese nell’occidente democratico che neghi i diritti naturali di milioni di persone a votare ed essere eletti, a vivere nel proprio paese in virtù del diritto all’autodeterminazione, come fa Israele con il popolo palestinese. Israele è in grado di farlo perché ha goduto sinora del sostegno incrollabile degli Stati Uniti cui si aggiunge ora il puntello incondizionato e decisivo della Germania”. Con le conseguenze immaginabili a livello europeo per quanto riguarda la posizione della stessa Unione che finora si è distinta per la sua assenza per quanto attiene alla difesa dei diritti dei Palestinesi.
A proposito di Europa, la tentazione di usare l’antisemitismo come arma contro chi critica le politiche dello Stato di Israele non è monopolio tedesco. È stato usato strumentalmente dalla nuova leadership laburista di Keir Starmer per ostracizzare la sinistra di Corbyn e insieme a lui molti vecchi militanti ebrei della sinistra laburista, accusati d’essere critici nei confronti delle politiche israeliane. In Italia, l’accusa di antisemitismo per il suo Rapporto su Israele è stata lanciata contro Francesca Albanese, Special Rapporteur delle Nazioni Uniti sui Territori occupati, da Fiamma Nirenstein sull’edizione online de Il giornale il 18 aprile. La stessa Albanese era già stata bersaglio nel luglio dell’anno scorso di un attacco strumentale da parte di Piero Fassino nel corso di un’audizione presso la Commissione esteri della Camera, di cui Fassino era Presidente.
Per Burg, “la lotta contro il vero antisemitismo non è un problema solo per gli ebrei. Si deve creare un’alleanza contro ogni tipo di odio, sia locale che globale. Quando qualcuno odia un turco, odia anche me. Quando fanno del male ai musulmani, fanno del male a me. E quando perseguitano gli immigrati, le donne e i membri della comunità LGBTQ+, anch’io vengo perseguitato. Perché questo è il volto del vero giudaismo, dalla Bibbia a Martin Buber, una civiltà che non ignora mai i suoi obblighi universali verso tutte le persone”.