Il trucco del reddito di cittadinanza
Il confronto pubblico sul reddito di cittadinanza è diventato sempre più rilevante negli ultimi dieci anni, assumendo una crescente centralità mano a mano che diventavano evidenti gli enormi danni sociali provocati dalla grande crisi del 2008. Contestualmente alla perdita di decine di milioni di posti di lavoro nel cosiddetto Occidente industrializzato, inoltre, si è aperto uno sguardo preoccupato sul futuro dell’occupazione minacciata dai robot, dalle applicazioni tecnologiche, dalle continue innovazioni dei processi che renderebbero inutile il contributo umano. C’è chi parla, di nuovo, di fine del lavoro, di masse enormi di disoccupati che dovranno arrangiarsi per trovare un reddito per vivere.
Così davanti a realtà difficili e a prospettive inquietanti per il futuro del lavoro si sperimentano ipotesi di reddito senza occupazione o strumenti di inclusione che dovrebbero evitare pericolose tensioni sociali, lo sfarinamento della società, la caduta delle istituzioni democratiche travolte da eserciti di neoproletari impoveriti.
In Finlandia, ad esempio, è stato avviato un esperimento su duemila disoccupati tra i 25 e i 58 anni che per due anni riceveranno uno stipendio di 560 euro al mese e lo incasseranno anche se, nel frattempo, dovessero trovare un’occupazione. Nel 2019 le autorità pubbliche verificheranno il comportamento di questi cittadini assistiti: se hanno cambiato stile di vita, se sono diventati più pigri, più felici, più o meno intraprendenti. L’idea di fondo, alla quale forse dovremo abituarci, è quella di ricevere un compenso per non far nulla, di incassare un reddito anche senza lavorare. Chi pagherà, chi finanzierà queste politiche è un quesito a cui nessuno finora ha dato risposte sensate e credibili.
In Italia il reddito di cittadinanza è stato usato soprattutto come elemento di propaganda politica ed elettorale, piuttosto che come argomento per un confronto serio sugli strumenti per fronteggiare la crisi e proteggere le persone in difficoltà. C’è chi come il Movimento 5 stelle immagina il reddito di cittadinanza come un’elargizione di massa per i cittadini al di sotto della soglia di povertà che dovrebbe avere non solo un effetto assistenziale, ma anche redistributivo. Pure Silvio Berlusconi ha la sua ricetta e propone un “reddito di dignità”, come una volta proponeva di regalare dentiere a tutti. Un assegno per tutti e siamo contenti. I critici, invece, mettono in guardia, come al solito, sui costi di un’operazione di questo genere, che potrebbero essere pesantissimi per le casse pubbliche, anche se le stime oscillano moltissimo in relazione alle ipotesi circolate, con risultati parziali.
Ma in un paese come il nostro, in una “repubblica democratica fondata sul lavoro”, la discussione sul reddito di cittadinanza e sulle altre ipotesi di inclusione dovrebbe assumere una dimensione diversa, verrebbe da dire politica e anche etica, soprattutto se questo intervento viene collegato alle politiche contro la povertà.
È stato, ancora una volta, Papa Francesco a dire parole chiare su questo argomento in un importante discorso pronunciato a fine maggio davanti agli operai dell’Ilva di Genova: “L’obiettivo vero da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti. Perché senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti. Un assegno statale mensile non risolve il problema”. Francesco argomenta che “il merito è una parola bella, ma sta diventando una legittimazione etica della diseguaglianza” per cui “il povero è considerato un demeritevole e quindi un colpevole”. L’analisi di Papa Francesco si allarga inoltre alle responsabilità di questo stato di povertà crescente per milioni di cittadini, fino a denunciare l’imprenditore che diventa “speculatore” nel suo agire, nel perseguimento dei suoi interessi, personali o di casta. Nell’epoca del Jobs act e della deriva culturale della sinistra bisogna ascoltare il Vaticano per trovare analisi così dure e giudizi così severi. E questo la dice lunga sulle condizioni disastrose in cui è ridotto il pensiero di sinistra in Italia.
L’associazione tra povertà e reddito di cittadinanza, anziché il lavoro, è decisiva per spiegare come proprio questo strumento di inclusione possa diventare un tranello contro i poveri. C’è un trucco, un’illusione, dietro tutto questo discutere. Il filosofo Raoul Kirchmayr è intervenuto con un saggio esemplare, pubblicato online da “l’Espresso”, in cui spiega come la ricostruzione del nesso povertà-reddito di cittadinanza ha messo “in ombra quello relativo al rapporto tra democrazia e lavoro, che innerva il dettato della nostra Costituzione, il reddito di cittadinanza diventa il sostituto ‘cosmetico’ del diritto al lavoro”.
Sei povero? Sei stato licenziato? Non ce la fai a campare? Bene, allora ti concedo un assegno mensile, però non ti deve venire in mente di contestare questo sistema così generoso da aiutarti. La tua condizione di “colpevole”, perché povero e senza meriti come dice Francesco, non muta e tu resti subalterno, e quelli come te pure, a chi ti concede una mancia mensile per campare.
Kirchmayr offre il senso profondo di questa offerta: “Al povero, che è tale perché escluso dal mercato del lavoro, può essere riconosciuto un diritto al reddito sussidiato solo se si piega a quella logica economica che ha fatto di lui ciò che è, cioè un povero. In questo circolo vizioso, il sostegno pubblico viene vincolato a una pedagogia moralizzatrice, alimentata dalla circolazione a senso unico di opinioni che consolidano, nella percezione collettiva, l’idea secondo la quale la povertà è una colpa”.
E qui, a ben vedere, c’è il trionfo del neoliberismo, proprio nel momento in cui dovrebbe affondare dopo i disastri, di cui porta la paternità, combinati in questi anni. Il povero è povero per colpa sua, il disoccupato non ha un posto perché non meritevole, e perché in fondo le diseguaglianze sono una condizione naturale e non il risultato del mercato, dello sfruttamento, dei manager rapaci delle stock options. Però un capitalismo compassionevole concederà un reddito di cittadinanza ai più bisognosi. Se, naturalmente, continueranno a stare buoni.