Il padre materno. Il romanzo di Franzoso
La copertina è perfetta per introdurci alla lettura de Gli Invincibili: sullo sfondo di un cielo azzurro appena nuvoloso, compare un bambino che indossa una corazza-giocattolo e per arma brandisce poco più di un esile fuscello; ma ha lo sguardo limpido e fiero di un coraggioso guerriero. Così l’immagine ci comunica subito il miscuglio di fragilità e di forza che è la cifra basilare di questa inconsueta storia.
Gli ‘invincibili’ sono un padre e un figlio, che accompagniamo passo passo durante gli anni della prima infanzia. Un percorso tutt’altro che trionfalistico o scontato; piuttosto il trepido travaglio di chi si confronta con l’evento al tempo stesso straordinario e banale della crescita di un bambino; soprattutto se a impegnarsi in tale impresa è un padre.
Mi sono accostata al libro di Marco Franzoso con legittima curiosità. Egli infatti tratta sul piano letterario un argomento che da tempo mi sta molto a cuore: quello dei nuovi padri, e particolarmente dei padri materni; cioè di quegli uomini della modernità che per desiderio o per necessità svolgono le funzioni di accudimento primario, che la tradizione voleva riservate alle mamme o comunque alle donne.
Se però io mi sono interessata al modo in cui i maschi si impegnano, si alternano, si sostituiscono alle loro compagne nelle cure genitoriali, qui il protagonista se la deve cavare da solo, con l’aiuto sporadico dei nonni, perché la mamma se ne è andata poco dopo la nascita del bambino. Non c’è dunque alcuna scelta più o meno ideologica, ma uno stato di perentoria necessità, che richiede l’immersione nella concretissima materia delle pappe, dei pannolini maleodoranti, dei pianti notturni e delle febbri; ma anche -per fortuna- dei primi sorrisi, delle prime parole, in un miscuglio di angosce e meraviglie.
Proprio quello che succede alle mamme di tutti i tempi, amorose e imperfette, troppe volte lasciate sole (materialmente o psicologicamente), che imparano proprio dai loro piccoli di cosa hanno bisogno e come si fa.
Mi piace dire che durante la lettura anche io mi sono scoperta spesso a sorridere. Non perché sia una cronaca sempre lieta, anzi ci troviamo in un groviglio di emozioni contrastanti, di momenti talora dolcissimi, talora drammatici e anche angosciosi; ma sempre con una nota di tenerezza e di umorismo gentile. Il sorriso è per altro autorizzato dalla struttura narrativa, che si apre e si chiude sul primo giorno di scuola; rassicurandoci dunque circa il lieto fine di tutte le difficoltà, le paure, i malanni che costellano la piccola vita.
Inevitabilmente, il lettore si chiede quanto ci sia di autobiografico all’origine della vicenda; ma qui, per fortuna, la mia posizione di psicoanalista mi aiuta nello stendere questa atipica recensione; poiché ciò che per me conta è l’assoluta autenticità delle emozioni evocate dalla narrazione, al di qua della oggettività dei fatti o della cronaca. Noto ad esempio che non ci sono accenti di polemica, competizione, astio nei confronti della donna moglie e madre fuggitiva. Tutt’al più c’è un senso di doloroso stupore:
“… ci stendiamo insieme fianco a fianco … una specie di presente originario composto di contatto e calore. Mi convinco di farlo per lui, perché senta costante la presenza fisica del padre. In realtà lo faccio per me, perché il contatto col suo piccolo corpo mi permette di recuperare le forze e di dare un senso alle cose. … Si addormenta guardandomi. … Ecco cosa si sta perdendo, mi dico pensando a mia moglie.”
In questo delicato e struggente pensiero del dormiveglia trovo conferma di uno degli assunti basilari della psicoanalisi a proposito delle contorte polemiche su come debba essere la coppia genitoriale per garantire ai figli una crescita armoniosa, complesso di edipo compreso. Ciò che conta non sono le configurazioni familiari concrete, fenomeniche -famiglie tradizionali, mono-genitoriali, alternative …- ma il modo in cui ciascun genitore è disposto a mettere in gioco nel rapporto con i figli la sua più autentica umanità. Non è solo il genere sessuale anagrafico di chi si prende cura dei bambini nelle varie tappe evolutive a consentire i processi di identificazione e di differenziazione; quanto che nella mente del padre -o più spesso della madre- ‘single’ ci sia la presenza psicologica dell’altro genitore. Coniugare la presenza e l’assenza, il maschile e il femminile è la garanzia che anche nella dimensione psicologica del piccolo si attivi quella ‘triangolazione’ che consente di conoscere l’uguale e il diverso e poi di costituire la propria identità. Tanto più, come insegna ancora l’esperienza psicoanalitica, che ciò di cui un bambino si giova non è un genitore perfetto, ma ‘sufficientemente buono’, consapevole di poter sbagliare, ma che non si sottrae al rapporto.
E’ il senso di responsabilità del diventare padre che rende adulto il nostro protagonista/’io narrante’: “… smetto di fumare …per la prima volta penso alla morte … Ora è diverso … non posso permettermi di morire prima di lui.”
Insomma, Marco Franzoso ha il merito di consentirci uno sguardo inconsueto nell’intimità della relazione tra un padre e un figlio senza retorica e senza esibizione.
Viviamo così episodi struggenti, come quando il piccolo si va a nascondere dentro l’anta dell’armadio che conserva -intatto- il guardaroba della mamma fuggitiva; ed altri tragicomici, quale la terribile impresa della minestra di verdure, la “melma” dell’omogeneizzato, che il piccolo sputa mentre impugna gagliardamente un würstel scaduto. Ci sono momenti buffi e lieti, come quando pranza con ai piedi le pinne, promessa di una futura vacanza in Grecia; ed anche notazioni maliziose, a proposito delle manovre di avvicinamento delle mamme al giardinetto, che concupiscono questo uomo raro che sa stare dietro al figlio. Non manca neppure l’oramai rituale incontro con la psicologa dell’asilo, che gli parla di ‘introiezione dell’oggetto buono’ e di ‘identificazione proiettiva’, che interpreta i disegni del bambino e poi glieli fà fare a pezzi con le forbici. “Mi chiedo in quale orizzonte delle più recenti scoperte psicologiche si situi ciò a cui ho appena assistito. Mi sembra che non abbia senso”, commenta l’autore. (L’ho pensato anch’io).
Verranno poi altre età, altri problemi al momento dell’adolescenza e dell’ingresso nell’età adulta. Al papà che l’ha saputo così bene accudire e proteggere al momento delle prime minestrine, dei primi passi, del primo giorno di scuola, toccherà cimentarsi nelle nuove imprese di accompagnarlo a studiare, a scegliere, a riconoscere il senso del divieto e del limite … Gli facciamo i nostri migliori auguri.