I tre sanpietrini, la lanterna e la vecchia scarpa

Traduzione di Maria Luisa Mazzini
Questa “favola” di Fernand Deligny è tratta dal libro I ragazzi hanno le orecchie (emme edizioni, 1976). Dell’autore, per le nostre edizioni è appena uscito I vagabondi efficaci.
La lanterna ha il suo caratterino: vivace, leggera, sempre pronta ad attaccarsi a chi la vuole portare.
La scarpa ha capito. Non esiste altro alla fine della strada se non un’altra strada eppure la smania la spinge ad arrivare alla fine. Ma alla fine di cosa? Alla sua, di fine.
I sanpietrini sono quadrati, solidi, e pazienti. Sono anche capaci di ogni dedizione. Ma quando montano in collera, la cosa fa rumore nella storia di Francia.
Una squadra di cantonieri ripara lo stradone.
Più di mille sanpietrini sono ammucchiati sulla scarpata.
Tre sanpietrini sono posati sull’erba a pochi metri dal gran mucchio. Gli operai li hanno presi via per metterci sopra la gamella del caffè e in mezzo ai tre sanpietrini scoppietta un fuoco di ramaglia secca.
I tre sanpietrini che circondano il fuoco dicono ai mille del gran mucchio:
– Com’è che va la strada?
– Svolta e passa, liscia e spianata.
– E bucata, sprofondata dove manchiamo noi. Lei ha un buco, noi un mucchio. Voi tre. Come va il fuoco?
– Il fuoco va e tira e fuma e ci scalda e ci annerisce una faccia su sei.
I sanpietrini del mucchio dicono alla gamella:
– Allora, zia, come procede il sugo?
Gli operai si sono piazzati a cinque passi l’uno dall’altro e si passano, uno per uno, i mille sanpietrini del gran mucchio. Alle sei, smettono di lavorare, tirano su la borsa e la schiscetta, inforcano la bici e sentono, sotto le ruote, che il lavoro della giornata è come quello della giornata di ieri, liscio e piatto, leggermente bombato in mezzeria.
Nel mucchio rimangono duecentodiciassette sanpietrini più i tre porta-gamella. Prima di domani mezzogiorno, tutto sarà finito, messo in opera.
Il caposquadra, prima di lasciare il cantiere, ha acceso la piccola lanterna attaccata al cartello dove è scritto:
“Attenzione… lavori in corso”.
I duecento sanpietrini guardano chi viene, passa, scompare lungo lo stradone. Alle sette devono passare Joseph, Antoine Daru, Constant Manou e Lucien Million, quattro scolari che, finita la scuola, hanno tre chilometri per tornare a casa.
All’ora di sera, il fuocherello tra i sanpietrini fuma ancora, sul pelo dell’erba. Lucien Million si ferma:
– Se avessi delle castagne, se avessi delle patate, se avessi un petardo…
Si siede sui calcagni:
– Fuocherello che covi e fumi tra le rocce, sei la semente di un vulcano.
I tre sanpietrini hanno una tale voglia di risentirlo ripetere e spiegare che Lucien Million, sentendoli attenti come scolari nel giorno del tema in classe, prende un tono da maestro:
– Il nostro globo porta nei fianchi dei nuclei di materia incandescente che, di fessura in fessura, risale alla superficie del suolo che gonfia prima di gettare fuori sotto forma di lava. Nei momenti di riposo, il vulcano fuma. Voi fumate?
E corre a raggiungere gli altri.
I tre sanpietrini fumano. Quelli del mucchio bisbigliano:
– Cosa vi ha detto Lucien Million?
Ma i tre sanpietrini – cinque facce grigie, una annerita – rimangono muti come sassi.
Le mattine di questo mese, Lucien Million deve partire all’alba se vuole arrivare per l’ora della scuola. Ha sentito tossicchiare la nonna, si è alzato, ha sbattuto un ginocchio contro lo sgabello dimenticato la sera prima in mezzo alla cucina. È senza forse il primo, di tutto il villaggio, a uscire di casa. Ma Lucien Million non guarda la luce nuova. È assonnato, appesantito come se avesse mangiato, durante la notte, il suo coltrone rosso, come se le piume scompigliate fossero una palla molle nella pancia.
Per strada, lo raggiungono i tre compagni.
Passano davanti alla piccola lanterna ancora illuminata.
Lucien la guarda e le dice:
– Se tu mollassi, piccola lanterna, il filo di ferro che ti porta e ti sostiene, saresti una luce sganciata da tutto.
Saresti stella.
E corre a raggiungere gli altri.
La lanterna fa come Lucien le ha detto, si stacca e cade, spenta, difilata sui tre sanpietrini seriosi e silenziosi.
Durante la giornata, gli operai si passano i duecentodiciassette sanpietrini che sono messi in opera. La strada è finita, spianata e completa.
I tre, nell’erba, non si sono mossi. È l’una. Gli operai, tolti i cavalletti, sono andati via più presto del solito.
I tre sanpietrini si dicono:
– Siamo una piccola montagna con il fuoco dentro, un piccolo vulcano.
Più di diecimila sanpietrini che fanno la strada che svolta e dà su un’altra strada si appoggiano l’uno contro l’altro; sembra che dormano.
I tre parlano a bassa voce a causa della lanterna sdraiata lì vicino: che riflette, che riflette fino a parlare ad alta voce:
– Staccata dal filo di ferro che mi tiene e mi porta, se ci si mette il vento e il fuoco del cielo, eccomi stella tra le stelle.
Chi ride? Non i sanpietrini, non il vento.
Chi ride? Chi ghigna sempre più forte? Una vecchia idiota che adesso dice:
– Se fossi ancora rasente al piede che ha finito per consumarmi la suola, ti farei io da vento, bellezza, e le scintille dei chiodi che ho perduto contro i sassi delle strade ti darebbero fuoco alla candela. Allora bambola, ti sei sganciata? Siamo a terra? E quei tre là, quei fannulloni di sanpietrini, si mettono anche in mezzo all’erba per far inciampare la gente, non gli basta la strada?
La vecchia scarpa che si trascina da sola, con la suola scollata, la stringa perduta, si è piazzata in faccia ai sanpietrini.
I sanpietrini sono seccati. La conoscono da troppo tempo.
La piccola lanterna è triste e avvilita.
Alle sette ecco gli scolari. Lucien Million più indietro degli altri. Si ferma, vede la scarpa vecchia che sbadiglia in punta:
– Minchia, se fossi una sardina me ne andrei ratta come il vento. Nelle profondità sottomarine vivono mostri che non risalgono mai dal fondo degli abissi e hanno sempre le fauci spalancate. Il mostro mette fuori la testa, e psh… e psh… e psh…
E Lucien sbatte i sandali sotto il naso della scarpa che rimane a suola aperta e brontola solo:
– Non saranno due granelli di polvere a darmi lo sternuto. Quello che vi ha nei piedi è tutto giusto?
– Ma certo, dicono i sandali, dice quello che sa e sa quello che dice. È terzo in tutto e primo in geografia.
Allora stella. vulcano e mostro marino immobili nell’erba della scarpata si misero ad aspettare la notte per riflettere più freschi ai mille modi di realizzare il loro destino.
Un seme su una pietra del selciato seme rimane e secca e muore. Messo in terra, sarebbe potuto diventare terra. Ma un sanpietrino sale in cima alla montagna e lassù viene innaffiato dalla neve, cosa potrà diventare?
Aver scarpinato tutta la vita lungo le strade, convinti di sapere dove portano le strade, e adesso, deve arrivare uno scolaro a dire a noi una cosa tanto ovvia, insegnare a noi perché prendevamo gusto alla rugiada o all’acqua delle gore. Ingrandite milioni di volte l’acqua contenuta in un’orma di ruote, e vedrete quale specie di balena diventa lo scarpone che andrà a lasciarci sopra la sua impronta.
Mentre fanno queste riflessioni, la terra gira. Eccoli tutti e tre, sanpietrini, scarpa e lanterna nella luce dell’alba.
C’è anche Lucien Million. Quando vede lo stradone, la mattina, lucido e lungo, lungo, gli sembra di intraprendere una lotta interminabile con un viscido boa, che snoda una curva via l’altra, e la cui minuscola testa dagli occhi fissi diventa quella del maestro che aspetta, sull’uscio dell’aula, quelli che arrivano in ritardo.
Sanpietrini attenti.
Scarpa beante.
Lanterna ansiosa.
Lucien trova il suo piccolo cantiere tutto zuppo e fresco nell’erba che scintilla come cento sciabole.
– Mostro marino, vulcano spento, stella caduta, il primo che passa non ci vedrà che un mucchietto di mondezza. Bottiglia vuota, vetri rotti, ciarpame, stracci…
Cosa dici? dice la lanterna.
Cosa dici, Lucien Million?
– Niente. Si vede che venite da lontano.
– Noi siamo sul piede di partenza.
Lucien Million. sul piede di partenza, e contiamo su di te perché ci metta sulla buona strada. Montagne, mare o cielo, tu ci devi dire dove fare i primi passi. Contiamo su di te, Lucien Million.
– D’accordo, d’accordo. Stamattina, ho la cartella piena di libri e quaderni. Ma stasera…
– Stasera?
– Vi porterò il mappamondo che sta sull’angolo destro dell’armadio a scuola. Troverete la vostra strada.
E se ne va.
– Quel ragazzo è un amico, dicono sanpietrini, scarpa e lanterna. Aspettiamo il mappamondo e prepariamoci a farne, di strada…
La terra gira senza che gli alberi, le erbe e le strade se ne accorgano. Il piccolo avvallamento della scarpata dove si sono nascosti tra poco andrà a raggiungere la notte. Lucien Million, come ha promesso, porta il mappamondo nella cartella. È così pesante che gli impedisce di camminare col solito passo? Strascica i sandali, sì.
Alla fine arriva, si siede sui calcagni, butta sulle spalle la cartella floscia. Dice:
– Il nostro globo è rotondo, come potete vedere.
Ecco gli oceani e le zone di grande profondità, ecco Saint-Pierre-et-Miquelon che fu distrutta da un’eruzione vulcanica. Le stelle si trovano all’altezza dei miei occhi. È tutto quello che posso dirvi che riguarda la geografia.
– E noi, dicono i sanpietrini, dove siamo noi per il momento?
– Qui, da qualche parte. Vi lascio il mappamondo per stanotte. Lo riprenderò domattina mentre passo. Devo restituirlo al maestro…
Fa per posare il mappamondo. Pensa:
“Chi lo vedrà? chi lo prenderà” Vede che gli altri aspettano, aspettano.
Delusi?
Allora dice:
– Potremmo fare in altro modo.
La prima tappa sarà a casa mia, dalla nonna.
In partenza. Due sanpietrini nella cartella e il terzo sopra. Il mappamondo sulla spalla e la scarpa sul mappamondo. La lanterna nella mano sinistra.
Fa come dice. Può camminare. Può camminare adagio. Ha tutto il tempo per pensare:
– Alla fine della strada la nonna che cucina e la sala da pranzo dove tutto è preparato.
– E Lucien Million si dice che, forse sarebbe meglio non tornare casa. Vagabondare per lasciar credere ai partenti che tra poco arriveranno. Ma perché, dal momento che non arriveranno mai? Il maestro penserà che Lucien Million ha rubato il mappamondo per comprare le caramelle. I suoi sandali sono abituati. Arrivano a casa. La nonna è andata a prendere il latte.
Quando rientra, vede Lucien Million, spettinato ancora, in piedi accanto alla stufa. Dice:
– Sei l’ultimo?
– No, dice Lucien.
La nonna inciampa nei sanpietrini, vede la scarpa, la lanterna e il mappamondo ammucchiati nella cartella che, per strada, ha detto agli altri:
– Lucien Million dice quello che sa e sa quello che dice. È terzo in tutto e primo in geografia.
Allora aspettano.
La scarpa dice agli altri:
– Siamo in una casa. Se la zuppa fuma mi sistemo sotto il tavolo, tanto è questione di un attimo, se c’è un letto ci fermiamo fino a domattina.
Lucien Million è sempre in piedi accanto alla stufa. Non può deludere quelli che si è portato dietro.
– Quella lì è una balena, quelli lì un vulcano spento e quella là una piccola stella.
– E questo, dice la nonna, indicando il mappamondo, la semente di una terra. Gettiamola ai quattro venti, e forse diverrà grossa, diverrà grossa cento volte come la luna.
– Certo, dice Lucien Million, certo, ma ci vuole il tempo. E per tutto questo tempo, cosa faranno la balena, la stella e il vulcano?
– Tre sanpietrini non guastano nel vialetto del giardino dove il fango è scivoloso… La lanterna sui gradini della cantina per scendere al chiaro davanti a te quando vai a prendere la legna… La scarpa servirà da mangiatoia ai miei piccioni.
– È solo questione di tempo e di pazienza, dice Lucien Million. Io ci ho messo più di dodici anni per diventare lo scolaro che sono.
Avrebbe anche potuto fare a meno di parlare.
Tutto il mucchietto riscaldato dalla luce della lampada aveva ripreso il buon sonno tranquillo delle cose che hanno trovato il loro posto.
Anche Lucien è a letto.
Allora la nonna ha preso il mappamondo. Per gettarlo ai quattro venti?
Oh no.
Per guardare, con gli occhi tutti una ruga dietro gli occhiali, e le mani incrociate sul grembiule, dove si trova Tahiti, l’isola dove avrebbe voluto vivere.
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