I razzismi: uguali e diversi

Non credo di essere un ottimista nel valutare lo stato del mondo. So bene che il razzismo è tutt’altro che scomparso, che la discriminazione, l’odio, sopravvivono persino in assenza dell’oggetto dell’odio e della discriminazione. Quando, decenni fa, ho cominciato a studiare le migrazioni interne ed estere, e le paure che suscitano negli italiani, mi sono accorto dell’esistenza di forme di razzismo nuove, a danno dei nuovi arrivati. Mi illudevo però che almeno alcune forme storiche di razzismo non fossero più riproponibili identiche, con gli stessi insulti e gli stessi slogan, se non altro per ipocrisia, per la memoria degli orrori del passato. Sembra che avessi torto. A Torino, la città Medaglia d’oro per la Resistenza, la città di Primo Levi, la città dove vivo, sul muro della casa della figlia di una vecchia staffetta partigiana, è comparsa, e ci è stata mostrata in televisione, la scritta “ crepa sporca ebrea”, che sembra tirata fuori dal passato remoto, da un incubo. Il ritorno identico dell’odio per gli ebrei, dell’antisemitismo, si accompagna a un altro fatto, diverso ma ugualmente allarmante: il 15% di un campione rappresentativo di italiani pensa che lo sterminio degli ebrei non ci sia stato o sia stato un episodio minore. Non sappiamo se l’ignoranza della storia faciliti il ritorno degli insulti o se il ritorno degli insulti induca a cancellare la storia. Certo le due cose si sostengono a vicenda. Chi ha dimenticato può tornare a insultare senza essere disturbato dal fumo dei forni crematori.
il 15% di un campione rappresentativo di italiani pensa che lo sterminio degli ebrei non ci sia stato o sia stato un episodio minore.
Il ritorno dell’antisemitismo storico non deve indurci a pensare che quel razzismo sia separabile dagli altri. Che gli altri non abbiano avuto e non possono avere effetti altrettanto tragici. Lo ricorda bene Liliana Segre, finita ad Auschwitz da bambina in quanto ebrea, che raccontando la sua storia oggi, non separa mai il razzismo antiebraico dagli altri razzismi, oggi più diffusi.
L’antisemitismo attuale più diffuso al mondo è probabilmente quello contro gli arabi, che sono numerosi, anche tra gli immigrati. Bernard Lewis, in Semiti e antisemiti, oltre a sostenere che l’aggettivo semitico può essere legittimamente riferito alle due lingue, arabo ed ebraico, non agli esseri umani che le parlano, ci ha anche raccontato l’odio tra gli arabi e gli ebrei. Ma evidentemente il nuovo odio non cancella quelli antichi. Il razzismo è uno solo e si fonda sulla convinzione che esistano culture essenzialmente superiori e culture essenzialmente inferiori, in assoluto; culture separate e ordinabili gerarchicamente per quello che sono essenzialmente, non per alcune manifestazioni valutabili, misurabili. Caso per caso, momento per momento, cambiano le giustificazioni, ma il meccanismo è sempre lo stesso. In passato la schiavitù dei neri in America è stata giustificata con una loro presunta inferiorità biologica. L’antisemitismo nazista veniva giustificato con una ambigua mescolanza di appartenenza religiosa e discendenza biologica. Oggi il razzismo più diffuso si fonda sull’essenzialismo culturale, sull’appartenenza di chi viene discriminato a una cultura essenzialmente diversa e inferiore. Gli elementi costanti del meccanismo della discriminazione sono: 1) l’attribuzione di tutti gli individui che hanno un certo aspetto, una certa religione, una certa provenienza, una certa storia, a una cultura identificabile e separata con certe caratteristiche; 2) la possibilità di classificare quella cultura, e quindi le caratteristiche e gli individui, in ordine gerarchico: superiore o inferiore.
Gli esempi attuali della ripetizione del meccanismo sono ovvi, e sono ovvie le differenze da un comportamento ragionevole. Prendere precauzioni – blocco, quarantena – nei confronti di chi arriva dall’area di una epidemia è una necessità, una misura di buon senso, che è stata accettata, approvata, anche da chi ne è stato colpito. Segregare, insultare, un paese o un aspetto – la Cina, quelli che hanno l’aspetto cinese, sono di origine cinese, anche se non sono stati nella zona dell’epidemia, se non si sono mai mossi – è razzismo.
Attribuire grande importanza ai romanzieri russi tra otto e novecento è critica letteraria, dire che i russi sono grandi scrittori è razzismo.
Segregare, insultare, un paese o un aspetto – la Cina, quelli che hanno l’aspetto cinese, sono di origine cinese, anche se non sono stati nella zona dell’epidemia, se non si sono mai mossi – è razzismo.
Un peggioramento brusco in atto
La concezione gerarchica delle culture non è sempre e ugualmente presente nel tempo. Se si prendono gli Scritti sull’Islam di Giorgio Levi della Vida, si vede che negli anni tra le due guerre si usava il termine “cultura superiore”, come era frequente allora, e che lo stesso autore lo fa notare in uno scritto del 1956, prendendo le distanze da quell’uso. L’esaltazione della identità culturale degli italiani e del loro primato non si è limitata al Gioberti, che non ha sottomesso nessuno, ma ha assunto caratteristiche estreme e grottesche nel fascismo. Nella Repubblica nata dalla Resistenza l’antifascismo ci ha garantito anche dal ritorno di un eccesso di orgoglio nazionalistico.
Nei decenni scorsi la migrazione interna, per lavoro, da Sud a Nord, degli anni Sessanta e Settanta, e quella internazionale, degli ultimi decenni, hanno prodotto insieme varie forme di razzismo e varie attività di studio, formazione, accoglienza, per fronteggiarle.
La storia della migrazione in Italia, per cercare lavoro qui o per fuggire dalla violenza e dalla persecuzione in patria, è anche una storia di istruzione, di accoglienza, di formazione da parte di organizzazioni non governative e della Pubblica istruzione, di cura da parte del Sistema sanitario nazionale, di assistenza pubblica. Anche la paura degli stranieri, dei migranti, è cambiata molto nel tempo. Chi studiava la migrazione quarant’anni fa cercava le cause dell’avversione, del potenziale conflitto, nella competizione per risorse scarse – i servizi pubblici, la case, il lavoro – o in differenze misurabili. Chi voleva giustificare i timori nei confronti dei migranti citava le percentuali degli stranieri nelle carceri italiane, considerevolmente più alte di quelle degli autoctoni. Chi voleva negare una base reale all’avversione replicava che quelli che delinquono sono in prevalenza maschi e giovani, che gli stranieri non residenti non possono accedere a pene alternative. Ho ripetuto più di una volta gli stessi, argomenti come sto facendo anche ora. Poi l’allarme sembrava essere diminuito.
Se si guarda, a grandi linee, ai decenni passati, si scopre che mai gli allarmi sono stati giustificati. I migranti sono andati di preferenza nelle regioni e nei paesi più prosperi e stabili. In Italia sono andati soprattutto in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte. In Europa soprattutto in Germania, nel Regno Unito, in Francia. E non ne hanno certo ridotto la prosperità e la stabilità. Ma le ideologie e i pregiudizi sopravvivono alle smentite. Una volta Bruno Trentin mi interruppe mentre elencavo le cause sociali dei conflitti coi migranti: “Fai bene a insistere sulle cause reali, ma ricordati che al mondo ci sono tanti di quei razzismi da bastare per due. Si sono manifestati tragicamente in passato, possono tornare a manifestarsi in futuro. Le ideologie possono trasformare un attrito in una guerra. Siate preparati”. È possibile che oggi, dopo un periodo di critica all’eurocentrismo, al primato delle nazioni europee, i nazionalismi siano in ripresa. Che le lotte per l’uguaglianza nei diritti e nelle retribuzioni, per l’apertura ai diversi, per il rispetto delle differenze, siano in regresso. Bisogna prepararsi a far fronte, cercare argomenti basati sulla realtà, alleati e sostegno politico. Gli argomenti contro il razzismo, a sostegno dell’universalismo, non possono essere dati per scontati. Sono importanti e non sono abbastanza diffusi. Non è abbastanza diffusa la consapevolezza delle tragedie della migrazione e delle alternative possibili.
Il dibattito politico italiano è ridotto al conflitto tra interessi e poteri personali mentre le guerre civili, le tragedie, arrivano alle nostre frontiere e richiedono scelte e interventi.
L’accordo con la Libia che comprende bla formazione della sua Guardia costiera in Italia è stato rinnovato – lo ha ricordato di recente Luigi Manconi – malgrado continui l’allarme internazionale per la brutalità dei suoi comportamenti, malgrado i cinquemila profughi morti in mare nel Canale di Sicilia durante il governo Serraj, con cui abbiamo ottimi rapporti. I morti nel Canale di Sicilia, come quelli sul lavoro, che sono migliaia, non generano il lutto e l’allarme che meritano perché non sono morti nostri. Chi non ha altra fonte di informazione che i giornali non ha modo di capire quali siano le alternative praticabili, quali siano le responsabilità dirette del Governo libico nel conflitto che spinge libici e migranti a tentare la fuga in mare. Ma continuare come se niente fosse è crudeltà e cecità insieme.
Il dibattito politico italiano è ridotto al conflitto tra interessi e poteri personali mentre le guerre civili, le tragedie, arrivano alle nostre frontiere e richiedono scelte e interventi. Intanto l’accordo con il Governo Serraj è stato rinnovato. Le attività economiche italiane in Libia proseguono, come è bene che sia. La discontinuità è che oggi nessuno può pensare che il Governo libico di cui siamo alleati stia riducendo davvero la violenza nel paese e trattando i profughi umanamente. La calma apparente non è il risultato dell’attenuazione dei problemi ma della repressione, dell’uso della forza da parte di nostri alleati, addestrati dalla nostra Marina militare.
Non possiamo costruire nulla su questa base. La strada giusta è quella dell’interazione e della formazione, della conoscenza dei nuovi arrivati e dei loro paesi attraverso di loro. Lo sostenevamo trent’anni fa quando abbiamo concluso la ricerca pubblicata in Uguali e diversi. La frontiera tra stranieri e italiani è solo burocratica. La percezione di sé degli stranieri come separati dagli italiani prevale solo quando è imposta direttamente dalle norme, per esempio per il diritto di voto. Oggi, con la ormai lunga storia di integrazione, con i matrimoni misti e i figli che ne discendono, proseguire sulla strada della collaborazione, della scoperta reciproca, non è solo possibile, è naturale. Basta non lasciarsi spaventare da vecchi fantasmi.
La foto è tratta da Farmacia notturna dei fratelli D’innocenzo (Contrasto 2019).