I borghesi, i banlieusard e l’università
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Ripubblichiamo un articolo de Gli asini uscito sul numero Giugno-Agosto – 27-28|2015.
Nicolas Jounin è un sociologo francese rigoroso e intelligente; qualche anno fa, per una ricerca sul settore edile a Parigi (Chantier interdit au public. Enquête parmi les travailleurs du bâtiment, La Découverte, 2009), lavorò per un anno in vari cantieri, descrivendo le discriminazioni e le umiliazioni subite dai lavoratori stranieri e la precarizzazione operata dalle agenzie di lavoro temporaneo. In seguito ha raccontato, con altri, le lunghe lotte degli operai edili sans papiers (Aa.Vv., On bosse ici, on reste ici! La grève des sans papiers: une aventure inédite, La Découverte 2011).
In un nuovo libro, pubblicato ancora da La Découverte (Voyage de classes. Des étudiants de Seine-Saint-Denis enquêtent dans les beaux quartiers, 2014), racconta di una “esperienza pedagogica”: un corso al primo anno di sociologia all’Université Paris 8-Saint Denis, per il quale – per tre anni – Jounin ha proposto alle studentesse e agli studenti, per lo più residenti in quartieri periferici e figli o nipoti di immigrati, di uscire dalla banlieue, di percorrere mezz’ora di metropolitana e di imparare in pratica cosa vuol dire sociologia andando a fare ricerca nei quartieri più ricchi di Francia, nell’ottavo arrondissement, attorno agli Champs- Élisées: i luoghi del potere politico ed economico, dell’alta borghesia, delle boutique del lusso, dei turisti danarosi (ma anche delle lavoratrici domestiche immigrate).
Un testo leggibile in molti modi: un’etnografia urbana, cioè la descrizione di un quartiere, di chi lo abita, ci lavora o lo usa; un’analisi sociologica della grande borghesia parigina o, meglio e di più, delle disparità sociali, culturali, economiche, politiche, tra questa e i giovani studenti provenienti da classi popolari e spesso con un altro colore della pelle; un manuale pratico di ricerca sociale (come si osserva, come si costruisce un questionario, come si conduce un’intervista, come ci si relaziona ai soggetti che si intende studiare, ecc.); una riflessione su cosa può e deve fare, a livello didattico, un professore di una Università pubblica, soprattutto nel campo delle scienze sociali. Un libro ancor più utile dopo gli attentati di gennaio a Parigi, come resoconto e riflessione sulle disparità tra classi sociali e tra razze – Jounin non esita a usare questo termine, in quanto, dice, la razza è costruita proprio in funzione delle disuguaglianze che contribuisce a creare e mantenere – nella società francese di questi anni.
La novità, in parte provocatoria, di Voyage de classes sta in una curiosa inversione: gli scienziati sociali – almeno quelli che usano metodologie etnografiche e quelli più “impegnati” – studiano solitamente i poveri, i marginali, gli sfruttati, le vittime. Qui, al contrario, si studiano i ricchi e i potenti, i borghesi, cosa probabilmente più difficile. E a farlo sono un centinaio di studentesse e studenti provenienti dalla banlieue, sotto la guida di un giovane professore (anche se poi, si può obiettare a Jounin, i giovani banlieusard sono in qualche modo oggetto delle riflessioni del libro quasi quanto i borghesi).
Vengono quindi alla luce da un lato le disparità economiche (il reddito medio annuale degli abitanti dell’ottavo arrondissement è di 82.000 euro, quello dei residenti a Saint-Denis di 16.000) e, dall’altro, le differenze sociali. Jounin è molto attento ai modi in cui i giovani ricercatori e i ricchi intervistati si relazionano gli uni con gli altri; descrive la timidezza (e le intimidazioni), l’insolenza, la percezione di malessere, disagio e illegittimità, i richiami (impliciti ed espliciti) all’ordine di classe che gli studenti subiscono nei ricchi negozi, ristoranti, hotel, caffè del quartiere: “la distanza sociale è difficile da misurare, ma la si prova”. In un confronto critico con la riflessione di Bourdieu sul “dominio simbolico”, Jounin insiste molto sul termine umiliazione: lo faceva nel suo precedente libro, descrivendo i rapporti tra operai edili francesi e immigrati e lo fa qui, ragionando sulle umiliazioni cui sono esposte le studentesse e gli studenti di banlieue nelle loro interazioni con i ricchi borghesi – ad esempio durante le interviste in profondità, che lo portano a interrogarsi, infine, su quanto sia giusto e utile esporre gli studenti a questo tipo di esperienze (mi è tornato in mente l’articolo “Classi pericolose a Bologna”, Lo straniero ottobre 2009, in cui Fulvia Antonelli racconta quello che successe quando accompagnò un gruppo di studenti di un Istituto professionale per l’industria di Bologna – di origini magrebine e sospesi dalle lezioni per due settimane – a iscriversi nella centrale biblioteca Sala Borsa).
Comprendere e percorrere le disuguaglianze sociali, enormemente cresciute negli ultimi decenni, è uno degli obiettivi del libro; ma è anche quello di farlo assieme agli studenti. Jounin riflette sul ruolo dell’Università: da un lato, denuncia i pesanti tagli cui è sottoposta anche in Francia (ferme restando le differenze: il budget per studente dell’École normale supérieure di Parigi – una dalle Grandes Écoles in cui si forma la classe dirigente – è di 60.000 euro, quello di Paris 8 di 6.000; nel mezzo Science Po, 15.000); dall’altro lato, propone una pratica pedagogica per cui il sapere non è un dato oggettivo che il docente trasmette, ma qualcosa che va costruito con gli studenti, ad esempio facendo ricerca assieme. Una riflessione forse scontata per i lettori degli Asini, ma teniamo presente che è davvero raro, almeno nell’Università italiana, leggere o ascoltare riflessioni sensate sia sulla didattica delle lezioni universitarie sia sul significato stesso dell’insegnamento superiore. Sicuramente Jounin rappresenta, partendo dalla banlieue, un’università parigina diversa da quella dell’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, Sottomissione, il cui protagonista è un professore di letteratura francese alla Sorbona, stanco e annoiato, che intrattiene un rapporto con le sue studentesse molto diverso da quello che emerge invece, e per fortuna, dalle pagine di questo libro. Rifondiamo l’Università a partire dalla banlieue e dai suoi studenti, ci sembra dire Jounin.