Gli effetti dell’espansione del tempo-schermo

Nel 1913 Thomas Edison era convinto che i libri sarebbero stati presto resi obsoleti dai documentari e dichiarò che i film avrebbero cambiato la didattica. La storia delle tecnologie a scuola è piena di abbagli: a partire da film, radio, tv, documentari fino alle tecnologie digitali, molte innovazioni didattiche sono passate attraverso un uso intelligente degli oggetti, ma non si trattava necessariamente dell’ultima scoperta tecnologica. C’è un oggetto elettronico che cattura sempre più tempo, identico ovunque: tutti i dispositivi hanno uno schermo. Mentre gli opinionisti si dividono tra fautori e detrattori di queste tecnologie, gli studi scientifici dimostrano che una sovraesposizione agli schermi nell’età dello sviluppo compromette capacità quali la memoria, l’attenzione, la concentrazione, l’autocontrollo, l’emotività, l’autostima, il sonno e soprattutto il linguaggio; gli schermi favoriscono comportamenti sedentari, disturbi alimentari, aumentano l’aggressività e le probabilità di insuccessi scolastici.
Su una persona in età di sviluppo, il tempo-schermo prolungato altera la formazione neuronale e gli schemi cognitivi che si stanno formando. Con tempo-schermo (screen time o temps écran) – si intende il tempo di esposizione a tutti tipi di schermi: tv, dvd, pc, tablet, smartphone, playstation, eccetera…
Due sono le motivazioni ben radicate con cui in famiglia si legittima l’uso di schermi. In primo luogo lo schermo è un buon baby-sitter che riduce conflitti in famiglia: si ottiene una quiete che non si può ottenere con altri mezzi; se il tempo è scarso, si riduce il tempo da perdere per educare. In secondo luogo lo schermo rende più intelligenti i bambini perché i contenuti che si propongono sono sempre intelligenti, magari adatti a un’età superiore. Persino molti insegnanti sono convinti che la sola visione di un film permetta un apprendimento veloce e applaudono l’uso delle Lim. Uno studio ha mostrato che un gruppo di tre amici che ha visto lo stesso film, lo ricorda meglio se dopo la visione ne parla insieme, e lo ricorda meglio se ne discute di persona piuttosto che tramite la chat o uno schermo. La capacità di rielaborare e la capacità di ricordare sono capacità cooperative, sociali e non individuali, che si sviluppano tramite il dialogo.
Al giorno d’oggi si inizia a guardare schermi prima dello sviluppo del linguaggio e persino prima che il cervello riesca a distinguere i colori. Negli ultimi anni a scuola stiamo notando un aumento forte di problematiche legate al linguaggio, all’interazione, all’aggressività. Nei servizi sanitari francesi dal 2005 hanno registrato un aumento esponenziale di patologie legate a linguaggio e le hanno messe in relazione con l’uso di schermi: Anne-Lise Ducanda e Sabine Duflo hanno definito “autismo virtuale” le disfunzioni causate dall’esposizione agli schermi, perché presentano sintomi simili agli spettri di autismo. Se si interrompe il tempo-schermo questi sintomi miracolosamente scompaiono. Per questo Daniel Marcelli, presidente della Société Française de Psychiatrie ha parlato su “Le Monde” (30 aprile 2018) di evidenze cliniche che caratterizzano l’esposizione precoce e eccessiva agli schermi in tutte le sue forme (Epee). Le dottoresse preferiscono però parlare di autismo virtuale per sottolineare la vicinanza sintomatologica con l’autismo, differenziandone però la causa.
Gli schermi stimolano l’attenzione involontaria. Un neonato nei primi mesi deve sviluppare almeno tre competenze essenziali: un linguaggio per comunicare, la capacità di relazioni sociali e la capacità di afferrare oggetti. Nessuna macchina può sostituire l’essere umano perché non media, non guarda e non si prende cura. Il neonato cerca lo sguardo del suo genitore e lo interroga costantemente con le sue espressioni e i suoi gesti. I genitori mediano con i loro rimandi di emozioni, gesti e parole, dando un senso al mondo in cui cresce il bambino.
L’attenzione involontaria (la vigilanza) si differenzia dall’attenzione volontaria perché si attiva con stimoli esterni: è un sistema bottom-up, dalla periferia verso la coscienza. L’orientamento volontario dell’attenzione è invece un sistema top-down che si sviluppa progressivamente, sviluppando delle funzioni esecutive ed è una capacità acquisita in cui il soggetto orienta il suo sguardo e la sua attenzione su un oggetto; questa attenzione secondaria volontaria coinvolge la parte del lobo frontale ed è quella più umana, quella di recente sviluppo nel nostro sviluppo filogenetico.
Duflo spiega bene come il tempo-schermo prolungato sia un ritardatore potente di sviluppo di competenze cognitive e relazionali. Gli schermi rubano ai nostri bambini il tempo di apprendimento: “Gli schermi, se utilizzati come fonte primaria di stimolazione e occupazione del bambino, ostacolano il naturale processo di scambio e di scoperta, perché creano un processo di quasi dipendenza catturando fortemente l’attenzione dei bambini piccoli (effetto diretto) e rubando il tempo necessario per gli scambi umani e la scoperta senso-motoria del mondo (effetto indiretto).” Spitzer insiste molto sul mancato sviluppo dei neuroni che ne deriva e, per questo, non esita a paragonare l’esposizione di neonati agli schermi alla chiusura di un bambino in una cantina buia priva di stimoli. Brodeur parla di schermi come di mostro chronofago, Stiegler di strage degli innocenti. Sono pazzi che usano metafore troppo forti o il pericolo oggi è sottovalutato?
Il tempo-schermo produce ulteriori circoli viziosi. In primo luogo limita il sonno: dopo cena non è infatti un’attività calmante per il cervello del bambino perché stimola emozionalmente e diffonde una luce che inibisce la melatonina, ormone che regola il sonno. Inoltre brevi immagini paurose di telegiornali, pubblicità o trailer possono intensificare gli incubi notturni. Nella società della stanchezza, gli adulti non perdono tempo per addormentare e lasciano fino a tarda sera bambini e bambine davanti ai loro device apparentemente calmanti. In realtà però il sonno si riduce, la stanchezza aumenta; il giorno seguente sarà più difficile svolgere altre attività che non siano attività sedentarie di tempo-schermo. Il secondo circolo vizioso è quello tra tempo-schermo e obesità. Disturbi del sonno e obesità sono due patologie sociali che compromettono a loro volta la totalità delle funzioni dell’organismo, soprattutto in età evolutiva.
Gli effetti peggiori si hanno in età prescolare, perché si pregiudicano i prerequisiti linguistici. A dodici mesi inizia la fase del pointing, che consiste nell’indicare con il dito un oggetto per condividere l’attenzione e per scambiare emozioni e informazioni. Il bambino interiorizza la comprensione (linguaggio in entrata), inizia a immagazzinare informazioni che poi esploderanno con l’espressione orale (linguaggio in uscita). Il pointing serve tuttavia anche a instaurare una relazione con gli occhi, un triangolo: io, tu, esso. Il pointing è prerequisito (che evidenzia disposizioni cooperative) della comunicazione umana. Nel pointing si sviluppa infatti il contatto visivo della comunicazione. La comunicazione infatti sarà la sintesi dell’elemento verbale, dell’espressione del viso, del tono, della postura, della situazione, cioè degli aspetti maggioritari e fondamentali della comunicazione. Il tempo-schermo compromette lo sviluppo di questi prerequisiti linguistici.
L’indebolimento del potere della parola è il risultato peggiore del tempo-schermo. Dal momento che non si ritiene importante perdere tempo per educare e si delega agli schermi, le nuove generazioni imparano a esprimersi con un linguaggio semplice, strutture sintattiche brevi, prevalenza di periodi con sole principali. Un linguaggio iconoclastico che deve appoggiarsi sempre a immagini ma meno capace di evocare immagini. Stiamo forse passando da una attenzione basata sulla parola scritta a una attenzione superficiale di sole immagini? Quali sono le conseguenze cognitive di questa accelerazione della vita quotidiana di cui gli schermi non sono che amplificatori? È possibile che persino “le parole siano diventate troppo lente per la velocità del mondo tardo moderno” come suggerisce Hartmund Rosa?
Chi è esposto a schermi in età prescolare avrà più difficoltà a staccarsene perché sviluppa un’abitudine. Il fenomeno è ormai comprovato a livello neurologico. Siamo dipendenti a livello dopaminergico e questo spiega perché trascorriamo mediamente otto ore davanti a uno schermo, guardando 220 volte al giorno lo smartphone, che da solo prende un tempo di quattro ore ed è solo uno dei nove dispositivi posseduti mediamente da una famiglia occidentale. Dopo dieci anni di abitudine ai videogiochi, per un adolescente di oggi anche le relazioni amicali su internet hanno l’aspetto del videogioco. Per questi motivi il cyberbullismo è spesso agito contro le vittime veramente “per scherzo”, senza la consapevolezza emozionale dell’offesa, nell’inconsapevolezza che il potere della parola ha invece per le persone sensibili. Disturbi legati ai videogiochi, disconnessione dalla realtà, ritirata sociale, riduzione dell’autostima, mancanza di amici, gioco d’azzardo on-line sono le questioni odierne insieme alla nomophobia o all’internet addiction, nuove malattie sociali per le quali stanno nascendo dei reparti clinici.
Non avremo da sorprenderci di un futuro in cui bambini e bambine delle classi medie-basse cresceranno in scuole dominate dagli schermi mentre quelli dell’élite benestante prediligeranno scuole senza schermi, con giocattoli di legno e il lusso delle relazioni umane. Già oggi i ricchi sono disposti a pagare delle somme non insignificanti per dei counselor che aiutano i loro figli a deconnettersi.
L’introduzione di schermi a scuola negli Usa ha avuto come contropartita la disponibilità di tempo pubblicitario. Il programma Channel One è stato trasmesso a milioni di giovani nel 40% delle scuole elementari e superiori, dieci minuti al giorno di cui due minuti di pubblicità: potrebbe essere uno scenario futuro? Il tempo-schermo in fondo aiuta l’economia.
Nonostante questo tetro quadro, è molto diffuso l’adagio secondo cui bisogna educare ai media. Si sostiene che viviamo in un mondo in cui i ragazzi passano tantissimo tempo davanti agli schermi e che questo vada preso come dato immodificabile. La soluzione è sempre la stessa: il tempo-schermo non va demonizzato, perché non è la tecnologia in sé che è sbagliata ma il suo uso. Questa ideologia ricorda quanto già successo con il fumo delle sigarette e soprattutto con il cambiamento climatico. Prima si minimizza, poi si invoca la non univocità della scienza, la libertà individuale, infine, quando l’evidenza è incontestabile e irreparabile, si ammette. Personalmente, pur avendo svolto percorsi a scuola con i media (informatica, costruzione di un blog, ecetera), ritengo che la partita oggi consista soprattutto nel quanto si usano. Posto che bisogna educare a usare i media in modo critico, credo che oggi i percorsi più intelligenti consistano nel mostrare quante altre cose si possano fare senza i media digitali. Alla pedagogia del tasto play – additata giustamente da Stefano Laffi – bisogna opporre una pedagogia del tasto off – con Brodeur e le sue campagne. Si tratta di insegnare a sapere fare a meno dei dispositivi, a sapersene distanziare, a giocare senza oggetti, a fantasticare, a toccare la natura. Per esempio insegnare che se un film fa paura si può usare il telecomando e spegnere la tv. Ricordare ai genitori che il cellulare non è legalmente del bambino. Ricordare ai genitori che le età dei videogiochi non sono indicative (come nei giochi tradizionali) ma si tratta di criteri protettivi, che preservano da violenza e pornografia, che, purtroppo, si presentano sempre più spesso nella loro nefasta sessista combinazione.
Gli studi più interessanti hanno evidenziato che se si diminuiscono i tempi di esposizione agli schermi diminuisce anche l’aggressività fisica e verbale, migliorano le relazioni sociali e i rendimenti scolastici. Questi studi hanno ispirato gli esperimenti di Dieci giorni senza schermi condotti nelle scuole di Usa, Canada, Francia: per dieci giorni in una scuola e in famiglia si prova a limitare il più possibile l’uso degli schermi nei vari momenti della giornata, con risultati entusiasmanti per tutti, compresi gli scettici.
In un recente convegno a Parigi, le Assises de l’attention 2020 – Comment protéger notre attention face aux dangers des écrans? svoltosi a febbraio 2020, una dozzina di associazioni hanno evidenziato la posta in gioco. La nostra attenzione è in pericolo, perché catturata dagli schermi sempre più spesso e per più tempo, a beneficio di aziende che guadagnano dalle entrate pubblicitarie e dallo sfruttamento dei dati personali. La rete è progettata per staccarti dal mondo, sarebbe corretto parlare di antisocial network. Si tratta di effetti disastrosi sulla salute, di una minaccia alla convivenza e alla sovranità democratica: la cattura della nostra attenzione rappresenta uno dei più gravi problemi politici per il futuro del pianeta terra. Il convegno non si è fermato alla denuncia ma ha nutrito le relazioni di una rete che non solo ha proposte educative, ma inizia a interrogarsi sulle misure legislative da attuare. Nell’inventario di tali proposte spiccano quelle di vietare posti nelle commissioni pubbliche a chi ha conflitti di interesse (come per esempio consulenti di Microsoft e altri lobbisti). Quella di iniziare a ragionare su un’età legale (15 anni) per il possesso dello smartphone, oggetto tossico. Vietare l’uso di smartphone a minori, genitori, personale educativo in tutti gli edifici scolastici con minori di dieci anni. Parimenti si continuano a sostenere due tipi di campagne che ormai stanno funzionando benissimo e da tanti anni. Una è la campagna Quatre pas pour avancer (quattro passi ma anche quattro no per migliorare). In questa campagna ideata e promossa da Duflo, patrocinata dal Ministero della Famiglia francese, si danno quattro consigli pratici per un’etica familiare. Si chiede agli adulti di essere da modello per i figli e di condividere in casa delle regole:
– evitare il tempo-schermo al mattino
– evitare il tempo-schermo durante i pasti
– evitare il tempo-schermo nella camera di bambini e bambine
– evitare il tempo-schermo dopo cena prima di dormire
Come comunità educante abbiamo l’obbligo morale di mandare a scuola bambini che abbiano dormito, che non abbiano visto schermi al mattino o la sera. Sempre più fonti lamentano che i genitori stanno ricevendo informazioni confuse e imprecise sui presunti vantaggi formativi degli schermi dai mass-media. Lobbisti di multinazionali di media digitali sono infiltrati nelle commissioni ministeriali d’istruzione pubblica ma soprattutto gli schermi sono un ottimo dispositivo per educare una generazione al divertissement (divertimento, intrattenimento, distrazione) cioè a diventare prima consumatori che cittadini. Negli esperimenti di Dieci giorni senza schermi, si svolge una gara ludica per ragionare su quale libertà e quale capacità di padroneggiare gli schermi si sviluppa quando non si è schiavi della tecnologia.
Finalmente anche l’associazione di pediatri italiani ha stilato le sue linee guida. Purtroppo la campagna Dieci giorni senza schermi non esiste ancora in Italia e Quattro passi avanti con gli schermi è poco diffusa. Occorre darsi da fare senza piangere o sottovalutare. In questo senso le nuove generazioni, benché possano avere le sembianze di zombi, sono le vittime di una generazione più anziana che non si è presa cura di loro, ma questo non significa che la differenza tra umano e disumano stia nel succedersi delle generazioni. Così come il passato gronda di disumanità, il futuro riserva nuova umanità. Tra qualche anno il diritto alla non connessione potrebbe diffondersi velocemente.
Riferimenti:
Le associazioni di pediatri statunitensi, canadesi e da ultimi italiani hanno prodotto delle linee guida. Ho tradotto la campagna Quattro passi sul sito www.400colpi.net. I siti delle principali associazioni francesi sono: www.alertecran.org e www.surexpositionecrans.org/; per una analisi dettagliata di oltre mille studi scientifici si rimanda a M. Desmurget, Tv Lobotomie: La vérité scientifique sur les effets de la télévision, Max Milo Editions, 2011 e a La fabrique du crétin digital – Les dangers des écrans pour nos enfants, Seuil 2019; i due libri divulgativi citati sono: S. Duflo, Quand les écrans deviennent neurotoxiques, Marabout 2018 e M. Spitzer, Demenza digitale, come la nuova tecnologia ci rende stupidi, Corbaccio 2013. I contributi più acuti su internet sono i libri di Ippolita. Non si può non segnalare Jacque Brodeur, ispiratore del filosofo Jean Stiegler, che svolge un instancabile e accuratissimo lavoro divulgativo su www.edupax.org.