Giovani e lavoro, una situazione intollerabile
La situazione dei giovani (in senso lato, fino ai 35) in Italia è pessima per quel che riguarda il lavoro. “Gli asini” potrebbero prendere le considerazioni pubblicate sul n. 26 della vecchia serie (aprile–maggio 2015) e ripubblicarle integralmente sul numero 1 della nuova serie, cambiando solo i riferimenti statistici (http://bit.ly/istat-dic-2016), aggiornati al febbraio 2017. Tutto è fermo: il numero degli inattivi è diminuito di circa 300mila; il tasso di disoccupazione è salito di 0,3 punti percentuali. Cioè chi ha cercato lavoro non lo ha trovato. Bisogna aggiungere però che sono passati altri due anni e che perciò in realtà la situazione è peggiorata. Non solo perché l’età media di quelli che lavorano in Italia continua a crescere per pure ragioni demografiche: quelli che hanno 49 anni sono un po’ di meno di quelli che ne hanno 50 e il solo passare del tempo alza l’età media. Due anni di più in una situazione intollerabile rendono più probabile il crollo.
La percentuale dei giovani che non studiano e non lavorano continua a essere la più alta tra i Paesi già industriali, il 25%; la percentuale di quelli che cercano lavoro ma non lo trovano è tornata vicino al 40%; la percentuale di quelli che vanno all’Università è un po’ risalita, ma resta bassa: e l’Università non garantisce un lavoro adeguato alle capacità, anche se aumenta la probabilità di trovarne uno purchessia.
Non si è realizzata nessuna delle due sperate vie di uscita proposte due anni fa. Non c’è stata, che io sappia, nessuna nuova iniziativa sociale per attrezzarsi, organizzarsi, per fare i lavori indispensabili a difesa dell’ambiente o degli esclusi. Certo non c’è stata una rivolta politica generale. I lavoretti sono considerati sempre più la norma. Non sono una scelta, sono un fatto; per i più un fatto sgradevole. La società regge perché, malgrado i tagli, ci sono ancora le pensioni dell’Inps che fanno sopravvivere buona parte dei vecchi e perché c’è, anche se è in difficoltà per i tagli, il Sistema sanitario nazionale. I giovani sono esclusi non perché siano svogliati o incapaci ma perché il mondo e le scelte politiche di fatto li escludono. Gli asini vengono bastonati perché sono asini, non perché non abbiano voglia di lavorare, anche se ci saranno davvero asini testardi e recalcitranti come vuole la favola. Speriamo! Chi ha un lavoro, in particolare pubblico, deve mantenerlo fino a tarda età, anche se è logoro; chi non lo ha non impara, non fa esperienza e resta fuori.
Ci sono emergenze nuove, commentate dai più come se fossero l’opposto di quello che sono. Non c’è una emergenza immigrati, come si sente dire. C’è una emergenza profughi e morti in mare. L’immigrazione economica è diminuita di molto e non basta a compensare il saldo naturale negativo, cioè il fatto che ogni anno i morti già residenti in Italia sono più dei nati. Perciò la popolazione residente (cittadini italiani + stranieri residenti) diminuisce, malgrado il saldo migratorio (immigrati – emigrati) positivo di più di 130mila persone. Le ondate di nuovi residenti da 650mila l’anno appartengono all’epoca della sanatoria Bossi-Fini, quando il tasso di occupazione degli stranieri era 10 punti più alto di quello degli italiani. Ora è ancora più alto di quello degli italiani ma solo di qualche punto. Nel 2015 l’attesa di vita alla nascita in Italia è diminuita di qualche mese sia per gli uomini che per le donne. Quest’anno non sappiamo ancora. Ma non bisogna dimenticare che prima di morire ci si ammala. Ci sono le malattie degenerative; i non autonomi; gli smemorati; i logori; i vecchi contadini e operai col mal di schiena. E che anche i giovani si ammalano. Anche prima dei Tso violenti e delle polemiche che li accompagnano, qualcuno non ci sta con la testa, o col corpo. I migranti sono più sani dei locali perché i malati non si muovono o, se si muovono, muoiono per strada.
C’è un degrado culturale che ci travolge. Pensate alle polemiche e agli scontri di piazza dei tassisti. Non mi pare sia stato ricordato da molti che il minor prezzo degli autisti di Uber è dovuto al fatto che sono pagati pochissimo, al livello di Foodora, e con la benzina e l’usura del mezzo a loro carico, e la possibilità di essere sconnessi, cioè licenziati. Loro sono falsi autonomi e veri dipendenti, come quelli dei call center e di Foodora, e si ribelleranno, come hanno fatto in America. Perché non c’è un sindacato, un movimento, che cerchi di proteggerli? I tassisti invece sono autonomi veri. Nondimeno hanno delle ragioni. Le licenze le hanno pagate, in origine, ai Comuni; e pagano le tasse in Italia. I profitti di Uber vanno in America e le tasse nello spazio virtuale. Vari tassisti fanno il saluto romano; e questo è male. Ma vogliamo spingerli proprio tutti a fare quel saluto?