Di come si debba rimandare il fair play
traduzione di Edoarda Masi
Questo saggio è stato pubblicato la prima volta sulla rivista “Mangyuan”, n. 1, 10 gennaio 1926, e successivamente in Fen (Tomba, 1927). È stato raccolto in La falsa libertà (Einaudi 1968), l’antologia di scritti di Lu Xun curata da Edoarda Masi, riproposta nel 2006 dalla casa editrice Quodlibet, che ringraziamo per averci permesso di ripubblicarlo.
1. Premessa
Nel numero 57 di “Yusi” il signor Lin Yutang tratta del “fair play”, affermando che questo spirito è rarissimo in Cina e che dobbiamo fare ogni sforzo per incoraggiarlo. Aggiunge che il senso del “fair play” è racchiuso nell’espressione: non “battere il cane caduto in acqua”. Io non so l’inglese, perciò non mi è chiaro il significato letterale dell’espressione. Ma se questo spirito è espresso pienamente dalla frase: non “battere il cane caduto in acqua”, credo vi sia da fare qualche osservazione. Se nel titolo non ho scritto addirittura: “battere il cane caduto in acqua”, è per non urtare l’occhio e per non rivestirmi il capo di “false antenne”1.In una parola: non è certo che un “cane caduto in acqua” non vada battuto, o che addirittura non sia doveroso batterlo
2. Di come i “cani caduti in acqua” siano di tre specie, e distinzione generale di quelli che vanno battuti
I saggisti d’oggi mettono sullo stesso piano “battere la tigre morta” e “battere il cane caduto in acqua”, considerando espressione di vigliaccheria entrambe le cose. Secondo me, quanti “battono la tigre morta” per atteggiarsi a coraggiosi sono ridicoli; forse saranno vigliacchi, ma è una vigliaccheria che fa tenerezza. Quanto invece a “battere il cane caduto in acqua”, non è così semplice. Bisogna vedere di che cane si tratta, e come è caduto in acqua. Grosso modo, può esser caduto per tre motivi: 1) ha messo il piede in fallo ed è caduto da sé; 2) vi è stato gettato da altri; 3) ve l’hai gettato tu stesso. Nei primi due casi mettersi per di più a batterlo, oltre che privo di senso, è pure una vigliaccheria. Ma se hai lottato con un cane e di tua mano l’hai battuto fino a gettarlo in acqua, è ancora poco continuare a malmenarlo nell’acqua con un bastone di bambù: non ha niente che vedere coi due casi precedenti. Ho sentito che un pugile leale in nessun caso colpisce più l’avversario a terra, e basterebbe questo a servirci da esempio. Ma io credo che vada aggiunta una condizione, e cioè che l’avversario sia anch’egli un combattente leale e, una volta sconfitto, si vergogni e non si rialzi; oppure torni alla rivincita apertamente e coraggiosamente. Se è così, nulla da dire. Ma se si tratta di un cane, questo esempio non vale: non si può mettere sullo stesso piano di un avversario del genere perché, qualunque sia il suo modo di ringhiare, è sempre privo di ogni “principio morale”. E poi, il cane sa nuotare, senza dubbio tornerà ad arrampicarsi a riva e, se non stai attento, prima si scuoterà tendendosi e schizzandoti gocce sul corpo e sul viso, poi se ne andrà con la coda fra le gambe. Ma non cambierà carattere. Gli ingenui, prendendo la sua caduta in acqua per un lavaggio, credono che si pentirà e smetterà di mordere: questo è un errore particolarmente grave. Insomma, se si tratta di cani che mordono, credo vadano inclusi comunque fra quelli da battere, tanto a riva che nell’acqua.
3. Di come sia specialmente indispensabile buttare in acqua i cagnolini pechinesi, e poi bastonarli
I doghetti, detti anche pechinesi, vengono chiamati nel sud cani stranieri occidentali, ma pare siano invece una razza speciale cinese. Nei concorsi internazionali ottengono spesso medaglie d’oro, e fra le fotografie di cani sull’Enciclopedia Britannica ve ne sono molte dei nostri pechinesi. Anche questa è una gloria nazionale. Ma, cani e gatti non sono nemici? Essi invece, benché cani, sembrano gatti: moderati, in accordo con tutti, pronti al compromesso, con l’espressione dell’equilibrio e della rettitudine, ostentano con distacco che nessun altro è immune dalla demagogia e soltanto loro mostrano la faccia della “dottrina del mezzo”. Ecco perché sono tanto amati dai ricchi, dagli eunuchi, dalle signore e signorine, e la loro razza continua ininterrotta. Il loro compito consiste nell’essere ingrassati dai ricchi grazie all’aspetto elegante e, quando le signore cinesi e straniere camminano per strada, di correr loro dietro un passetto dopo l’altro, legati al collo da una sottile catenina. Questi, vanno prima cacciati in acqua, e poi battuti. Se cadono in acqua da soli, niente impedisce ugualmente di batterli. Certo, se vuoi esser proprio scrupoloso, non è indispensabile che tu li batta: ma non bisogna neppure compiangerli. Se si risparmiano i cagnolini pechinesi, non si possono più battere altri cani che, se pure in tutto e per tutto dalla parte dei ricchi e dei potenti, conservano infine qualche rassomiglianza coi lupi, mantengono una natura selvatica, e non arrivano al conformismo dei primi. Quanto sopra è una digressione, senza grande rapporto con l’argomento principale.
4. Di come non “battere il cane caduto in acqua” rechi danno ai posteri
Insomma, se si debba battere o meno il cane caduto in acqua, dipende in primo luogo dal suo comportamento dopo che si sarà arrampicato a riva. La natura del cane non è suscettibile di molti cambiamenti; anche se fra diecimila anni sarà forse differente, oggi sto parlando di oggi. Se ti sembra che una volta caduto in acqua faccia pena, sono fin troppi gli animali nocivi all’uomo che fanno pena: perfino i microbi del colera hanno un aspetto mite e innocuo, benché si riproducano molto rapidamente. Eppure i medici non acconsentirebbero a risparmiarli. Oggi i burocrati e i gentiluomini di tipo cinese e straniero dànno dei rossi e dei comunisti a tutti quelli che nuocciono ai loro interessi. Prima della fondazione della repubblica era leggermente diverso, li assegnavano al partito di Kang Youwei, poi al partito dei riformatori. Arrivarono a presentare denunce segrete: naturalmente per preservare i propri onori e privilegi; ma anche con lo scopo di “tingersi di rosso il berretto col sangue umano”2, come allora si diceva. Infine scoppiò la rivoluzione, e tutto il mucchio dei gentiluomini boriosi, di colpo tentennanti come cani senza tana, presero il codino e se lo ripiegarono sulla testa. I rivoluzionari portavano uno spirito nuovo, estremamente “civile” – quello spirito per il quale i gentiluomini avevano concepito l’avversione più profonda. Essi dicevano: “La riforma vale per tutti”, non battiamo i cani caduti in acqua, lasciamoli arrampicare a riva. Ed essi si arrampicarono, restarono sdraiati fino alla metà del 1913, al tempo della seconda rivoluzione, quando rispuntarono fuori ad aiutare Yuan Shikai a suppliziare tanti rivoluzionari. E di nuovo la Cina di giorno in giorno è affondata nelle tenebre, fino a oggi. Non sono solo vecchi resti del passato, ce ne sono tanti anche giovani. E perché quei martiri sono stati generosi, sono stati umani verso i perfidi e li hanno lasciati moltiplicare, i giovani con le idee chiare dovranno spendere tanto più di energia e di vite per combattere i piani delle tenebre. Qiu Jin fu uccisa da questi delatori; dopo la rivoluzione, per un po’ venne chiamata “eroina”, ma ora non si sente quasi più nominare. Quando scoppiò la rivoluzione, si recò al suo paese un governatore militare, che era pure un suo compagno: Wang Jinfa. Egli arrestò chi aveva tramato per la sua morte e raccolse le prove della denuncia, per vendicarla. Eppure alla fine lasciò libero il responsabile, adducendo a giustificazione che ormai la repubblica era stata fondata, e tutti dovevano essere prosciolti dalle vecchie colpe. Ma dopo la sconfitta della seconda rivoluzione, Wang Jinfa venne fucilato dagli emissari di Yuan Shikai, e chi deteneva il potere era quel responsabile dell’uccisione di Qiu Jin da lui stesso liberato. Questi ora “è morto tranquillo nel suo letto”, ma coloro che continuano a dominare lì sono gente della stessa specie: perciò il paese natale di Qiu Jin resta quello che è, un anno dopo l’altro, senza mai nessun progresso. Da questo punto di vista, è davvero un caso felice che la signorina Yang Yinyu e il signor Chen Xiying siano cresciuti in una città che può dirsi modello in Cina3.
5. Di come le persone decadute dal potere non possano confrontarsi a “cani caduti in acqua”
“Non curarsi delle offese”4 è misericordia, “occhio per occhio, dente per dente” è giustizia. Ma in Cina si va troppo contro i principi: non si battono i cani caduti in acqua e da quei cani ci si lascia mordere. Così gli ingenui devono a se stessi le pene che sopportano. “Lealtà e stupidità portano lo stesso nome”, dice il proverbio: forse è un po’ troppo crudele, ma a guardar bene non si tratta di un incitamento al male, bensì di un epigramma che generalizza molte amare esperienze. Due sono all’incirca le ragioni principali per cui non si batte il cane caduto in acqua: la mancanza di forza; le false analogie. Niente da dire nel primo caso. Nel secondo, si commettono due sbagli gravi: primo, si considerano a torto gli uomini decaduti come cani nell’acqua; secondo, fra gli uomini decaduti non si distinguono i buoni dai cattivi e si considerano tutti alla stessa stregua. Col risultato che le colpe restano impunite. Per limitarci al presente: data l’incertezza della situazione politica, che è come una ruota che va su e giù, i malvagi poggiano su un sostegno instabile e si lasciano andare senza riguardo a nulla; finché mettono un piede in fallo e tutt’a un tratto chiedono pietà. E gli ingenui, che li conoscono di persona o ne sono stati morsi, li considerano “cani caduti in acqua” e non solo non li battono, ma arrivano al punto di compiangerli, quasi fosse stata ristabilita la giustizia, e ora toccasse a loro d’esser magnanimi. Non sanno che quelli non sono mai realmente caduti in acqua: già da un pezzo era pronta la tana e il cibo ammucchiato, nelle concessioni straniere. Anche se qualche volta sembrano feriti, non lo sono affatto; tutt’al più si fingono zoppi per suscitare la compassione e scappare tranquillamente a nascondersi. Ma il giorno dopo ricominciano a mordere gli ingenui e a “lanciare pietre in fondo al pozzo”5 capaci di tutto. Di ciò sono in parte causa proprio gli ingenui che non “battono i cani caduti in acqua”. Lo dirò crudamente: si scavano da sé la fossa, e non hanno ragione ad adirarsi col cielo e a prendersela con gli altri.
6. Di come oggi non si possa ancora essere gentili
Allora non si deve adottare mai il “fair play”? chiederanno le persone misericordiose. Rispondo subito: naturalmente si deve, ma è ancora presto. Ecco il metodo di “invitare cortesemente a entrare nel vaso”6: anche se gli ingenui non desiderano impiegarlo, io mi fondo sugli argomenti degli altri. I gentiluomini di tipo cinese e straniero non ripetono continuamente che alla Cina, date le sue peculiarità nazionali, non si adattano le forme straniere di uguaglianza, libertà, eccetera? Allora io ritengo che anche il “fair play” sia fra queste. Altrimenti, se uno non usa con te il “fair play” e tu lo usi con lui, alla fine sarai tu a subirne il danno. E non ti sarà più possibile non solo esser gentile, ma neppure non esserlo. Perciò, se volete essere gentili, prima di tutto è meglio che osserviate bene l’avversario; se appena è indegno d’esser trattato con gentilezza, non fate complimenti: solo quando avrete ottenuto da lui il “fair play” potrete usarlo con lui. È legittimo il sospetto che così si promuova una doppia morale. Ma va escluso; se non si fa così, la Cina non può imboccare una strada migliore. Oggi in Cina ci sono tante doppie morali: per i padroni e per i servi, per gli uomini e per le donne la morale non è la stessa, non è stata ancora unificata. Solo al “cane caduto in acqua” usare la stessa benevolenza che all’“uomo caduto in acqua” è troppo intempestivo, troppo prematuro; proprio come, secondo i gentiluomini, è troppo presto in Cina per uguaglianza e libertà, per quanto siano eccellenti. Perciò, se si vuole che lo spirito del “fair play” venga adottato universalmente, ritengo si debba aspettare almeno fino a quando i cosiddetti “cani caduti in acqua” abbiano modi umani. Non si tratta neppure di escluderlo del tutto per ora; solo, come ho detto sopra, bisogna esaminare bene l’avversario. E va fatta una distinzione: la gentilezza va adottata secondo l’avversario, comunque sia caduto in acqua; se è un uomo bisogna aiutarlo, se è un cane non bisogna curarsene, se è un cattivo cane bisogna anche batterlo. In una parola: “Sostieni i tuoi e attacca i nemici”. Ed è tutto. Per ora non dobbiamo dar retta agli aforismi dei gentiluomini dal cuore pieno del proprio interesse e la bocca piena di equità. Neppure l’equità invocata dagli onesti nella Cina di oggi aiuta i buoni, ma finisce per tutelare i malvagi. Infatti, finché sono in auge i malvagi, se quando maltrattano i buoni qualcuno invoca giustizia, non viene ascoltato. Il grido resta un grido, e i buoni continuano a soffrire. Ma per poco che i buoni arrivino una volta a sollevarsi, e i malvagi a cadere in acqua, ecco gli onesti propugnatori della giustizia mettersi a gridare: “Non vi vendicate”, “siate umani”, “non opponete male a male”… E stavolta hanno successo. Il loro non resta un inutile grido: anche i buoni la pensano così, e i malvagi ottengono salvezza. Ma dopo che son salvi, pensano solo d’essersela cavata a buon mercato, non si pentono di certo; quindi, con le tane che si erano costruite e la loro abilità nell’intrigare, in breve tornano potenti e gloriosi come prima, e tali e quali nella malvagità. Allora i sostenitori della giustizia si rimettono a gridare: ma questa volta inascoltati. Tuttavia i “Magnanimi” dell’epoca Han e il “Bosco orientale”7 furono sconfitti proprio per il “troppo odio” e per gli “eccessi”; del che spesso i saggisti li rimproverano. Ma gli avversari non “odiano i buoni come nemici”? Eppure la gente non dice una parola. Se da ora in poi la luce e le tenebre non condurranno una lotta a fondo e gli ingenui scambieranno la condiscendenza verso il male con la benignità e continueranno ad essere indulgenti, il caos attuale sarà senza limiti e senza fine.
7. Del “trattare gli altri secondo i loro stessi principi”8
I cinesi hanno fiducia o nella medicina cinese o nella medicina occidentale: ora nelle città di una certa grandezza ci sono dovunque i due tipi di medici, così ciascuno trova quello che gli conviene. Mi sembra un’ottima cosa. Se si potesse estendere, diminuirebbe certo lo scontento, e forse si raggiungerebbero addirittura prosperità e pace. Per esempio, oggi si saluta comunemente chinando il busto; ma se qualcuno non lo ritiene giusto, può inginocchiarsi, lui solo. Le leggi della repubblica escludono le pene corporali; ma se qualcuno ritiene giusti i supplizi, quando commette qualche colpa, eccezionalmente sia pure bastonato sulle spalle. Oggi si usano scodelle, bacchette e cibi cotti; ma chi desiderasse fare come prima di Sui Renshi, prego, mangi pure carne cruda. E si costruiscano alcune migliaia di capanne col tetto di paglia, per metterci a vivere i distinti gentiluomini, tirati fuori dalle loro grandi case dove guardano con ammirazione a Yao e Shun9. Quelli che si oppongono alla civiltà materiale naturalmente non devono esser costretti ad andare in automobile. Se si fa così, “chiedevano d’esser virtuosi, e hanno ottenuto d’esserlo, che hanno da mormorare?”10. E i nostri orecchi godranno di un po’ di pace e di silenzio. Peccato che nessuno sia disposto a far così: tutti vogliono giudicare gli altri secondo se stessi, perciò al mondo ci sono tanti guai. Il “fair play” specialmente può essere male impiegato, fino a diventare una debolezza e costituire un vantaggio per le forze del male. Per esempio, quando Liu Baizhao11 batté e trascinò via le studentesse della Scuola normale superiore femminile, in “Xiandai pinglun” non vi furono obiezioni. Ma una volta ricostituita la Scuola normale superiore femminile, Chen Xiying nell’incitare le studentesse a occupare i dormitori aggiungeva però: “Se le altre non vogliono andarsene, che fare? Non vorrete comportarvi in modo così sconveniente da prendere con la forza le loro cose e portarle via?”. C’era già stato l’esempio di Liu Baizhao, che aveva battuto e trascinato via le studentesse e prese le loro cose con la forza: perché solo questa volta lo trovava “sconveniente”? Perché aveva fiutato che fra le studentesse della Scuola normale superiore c’era lo spirito della “gentilezza”. Ma questa gentilezza si trasformò in debolezza e fu utilizzata dagli altri per proteggere i seguaci postumi di Zhang Shizhao.
8. Conclusione
Si sospetterà che, con questo, io aizzi la lotta fra correnti vecchie e nuove o fra altre correnti, e renda più profondo l’odio e più violento il conflitto. Oso affermare categoricamente che il veleno degli antiriformatori contro i riformatori non è mai venuto meno, e i metodi impiegati non potrebbero esser più crudeli. Invece i riformatori sono ancora immersi nel sogno, e ne traggono danno: perciò in Cina non c’è riforma. Da ora in poi è necessario mutare condotta e metodi. (29 dicembre 1925)
Note 1. 2 3 4 5 6 7 8 9 10
1 Allusione all’accusa rivolta all’autore da Chen Xiying nel n. 53, 1925, della rivista “Xiandai pinglun”, di mettersi “false antenne” da combattente per piacere al pubblico
2 Il berretto rosso era l’insegna del più alto grado fra i funzionari. Le delazioni erano spesso un modo di rendersi meritevoli e far carriera.
3 Tanto Yang Yinyu che Chen Xiying erano originari del distretto diWuxi nel Jiangsu, definito dallo stesso Chen un distretto modello.
4 Citazione dal Lun yu.
5 Da Han Yu.
6 Da un’antica favola: modo proverbiale per designare una costrizione in forma cortese.
7 “I magnanimi”, Qing liu: letterati ostili alla dinastia negli ultimi anni degli Han. “II bosco orientale”, Donglin: partito dell’ultimo periodo della dinastia Ming. Gli uni e gli altri fallirono nei loro tentativi di opposizione.
8 Citazione da Zhu Xi.
9 Sovrani mitici: qui simboleggiano la semplicità dell’età dell’oro.
10 Citazione dal Lun yu. 11 Alla sua direzione ilministro dell’Istruzione Zhang Shizhao affidò nel 1925 una nuova scuola femminile, installata negli edifici della Scuola normale superiore femminile, disciolta per le tendenze radicali e rivoluzionarie che vi dominavano. Liu Baizhao fece battere e trascinar via le vecchie studentesse.