Covid-19 affonda l’economia globale e le vecchie ricette non bastano più
La recessione Covid-19 non è nei manuali universitari di economia. Non era prevista. Nemmeno quando i cinesi hanno chiuso città e regioni con milioni di abitanti in Occidente è scattato l’allarme, si è pensato che fosse il solito incidente capitato a un paese troppo grande che correva troppo veloce e comunque tanto lontano da noi. In pochi giorni, invece, il virus sconosciuto ha abbattuto l’economia mondiale, ha abbattuto i mercati, ha messo in crisi i governi del pianeta, ha messo in ginocchio i sistemi sanitari, ha indotto un clima di paura tra centinaia di milioni di persone interessate questa volta molto di più a tutelare la propria vita, la propria famiglia e non solo il portafoglio.
La globalizzazione ha enfatizzato e diffuso la crisi. Tutto sta crollando: compagnie aeree, turismo, finanza, auto, consumi. Le banche rischiano di nuovo di riempirsi di prestiti inesigibili, insolvenze, fallimenti. Un allarme che spaventa il sistema creditizio italiano, reduce da un faticoso percorso di risanamento peraltro non ancora concluso. Le banche d’affari internazionali lanciano previsioni sulla profondità della prossima crisi. Goldman Sachs si attende un crollo del Pil americano del 5% in tre mesi. Per il nostro Paese l’orizzonte è minaccioso, molto dipenderà da quanto durerà l’emergenza attuale che ha bloccato per prime le regioni più ricche e industrializzate del Nord. Morgan Stanley ipotizza nel 2020 un crollo del Pil italiano del 5,7%. Oxford economics contiene il calo al 3%. Ci aspetta un’altra recessione, dura, profonda, che le politiche monetarie tradizionali non sembrano in grado di contrastare, con le banche centrali che prendono decisioni inadeguate, incerte o contradditorie come ha fatto la Bce, prima provocando un disastro per le parole leggere della presidente Christine Lagarde e poi correndo ai ripari con un piano da 750 miliardi di sostegno ai paesi europei.
Un esempio eclatante di un sistema che balbetta è l’azione della Federal Reserve, la banca centrale americana. Ha azzerato il costo del denaro e deciso un piano di acquisti di titoli pubblici per 700 miliardi di dollari. Una mossa sollecitata da Trump che teme la caduta dell’economia, dopo lo sviluppo dei suoi primi tre anni di mandato alla Casa Bianca, proprio nell’anno delle elezioni presidenziali. Nessun presidente resta a Washington se l’economia va in recessione, questa è una delle poche regole sicure che vale per la politica americana. In altri tempi la mossa della Fed avrebbe rimesso le cose, rassicurato il sistema economico e i cittadini. Invece non c’è stata una vera svolta. Solo un brodino, per ora. Tra gli Stati Uniti e l’Europa i listini hanno perso tra il 25 e il 30% della loro capitalizzazione. Si insinua la paura, emerge il terrore di fallimenti e bancarotte, di stop alle produzioni e licenziamenti di massa.
La Cina annuncia di aver sconfitto il Covid-19, ma la sua produzione industriale, secondo gli ultimi dati, è crollata del 13%. Molte industrie europee, legate alle forniture di Pechino, temono interruzioni o ritardi, si fermano per prudenza aspettando che la situazione si normalizzi, ma chissà quando ripartiranno.
Nel dibattito politico negli Stati Uniti si parla di concedere al segretario al Tesoro i poteri straordinari utilizzati dalle amministrazioni di George Bush e di Barack Obama per la nazionalizzazione propedeutica al salvataggio di banche e case automobilistiche nel 2008. Trump promette un assegno gratuito a tutte le famiglie, miliardi di aiuti alle imprese. Torna la vecchia suggestione della “scuola di Chicago” di buttare i soldi dall’elicottero (helicopter money) perché così si rilanciano i consumi. 1000 euro per ogni italiano, si sente dire da noi. E poi quando finiscono? La verità è che la politica, l’economia sono in una fase sconosciuta, affrontano un’emergenza che non riguarda solo i livelli di occupazione o i bilanci, ma l’esistenza o meno di milioni di cittadini. Non basta, dunque, fare di conto, immettere qualche centinaio di miliardi di liquidità nel sistema per fronteggiare il dramma attuale.
C’è qualche cosa di più e di diverso. Dobbiamo interrogarci. Quando sarà tutto finito, quando il Covid-19 si sarà ritirato o sarà stato sconfitto, quando ci troveremo a fare i conti del disastro economico e sociale, quali strumenti, quali armi avremo a disposizione per risollevarci? Mentre infuria la pandemia, non si sa a chi rivolgersi per comprendere se tuteleremo il lavoro, il risparmio, la casa. Il vecchio armamentario delle nostre conoscenze non basta più, è insufficiente davanti al virus che uccide le persone e travolge le economie. Le banche centrali sembrano all’improvviso deboli e impotenti. Le feroci multinazionali che dominano il mondo inducendo mode, consumi, stili di vita guardano preoccupate più alla caduta delle loro azioni che non ai bollettini giornalieri del coronavirus. Gli economisti cercano paragoni con crisi del passato, ma tutto sembra modesto rispetto alla scossa che stiamo vivendo. E’ diversa dal 1929, più dura del 1987, addirittura più grave del 2008. Non ci sono facili vie di uscita. Non c’è nemmeno un leader mondiale, un Paese di riferimento, di guida per gli altri. Neanche gli Stati Uniti possono svolgere questo ruolo e il premio Nobel Joseph Stiglitz scrive che Donald Trump, dopo aver distrutto la cooperazione internazionale con dazi ricatti minacce, è totalmente inadatto a guidare una coalizione internazionale contro il Covid-19 e i suoi effetti.
La pandemia passeggia sui mercati azionari e dei capitali mostrando la fragilità di un sistema che si difende e prospera solo quando può generare profitti, guadagni e diseguaglianze. Con il diffondersi del coronavirus, crescono i timori per una crisi finanziaria che potrebbe investire duramente l’Eurozona. E, tuttavia, non tutti sembrano ancora coscienti della gravità della situazione. Nell’area dell’euro c’è chi ancora resta fedelissimo al Patto di Stabilità, alla sacralità del 3% del rapporto deficit/Pil. Le conseguenze della recessione Covid-19 forse spazzeranno via vecchie ricette economiche e politiche, ma quelle nuove ancora non si vedono.