Antologia: istruttive esperienze di ieri
L’Ecole Moderne di Célestin ed Élise Freinet, a cui molte e molti di noi fanno riferimento quando pensano al tema scuola e lavoro, era una scuola pensata per le classi popolari, basata su una pedagogia socialista. La tradizione attivista freinettiana in cui ci siamo formate e formati è quindi una pedagogia del lavoro, non per motivi intellettuali o morali ma perché il lavoro è “l’elemento organico” della vita umana, ciò che negli strumenti, nella tecnologia, produce gli artefatti e i manufatti che umanizzano il mondo. Il potere nascosto che modifica incessantemente il mondo è quello del lavoro quotidiano, dei suo strumenti, delle sue condizioni e attualità: conoscerlo, conoscere il rapporto tra le parole e il lavoro, tra gli strumenti e le azioni in cui ci impegniamo, sarebbe davvero un’esperienza culturale fondamentale, la costruzione di un sapere d’emancipazione collettiva. Il materialismo scolastico o pedagogico di Freinet non era solo un’intuizione pratica (porta in aula un nuovo strumento e cambieranno le azioni e le relazioni) ma un metodo: ci si educa assieme nel mondo e attraverso il mondo lavorando assieme, scontando la gioia, la pena, la necessità, la fantasia dell’agire produttivo nel contesto comune. Gli atelier manuali e gli atelier intellettuali e artistici avevano nella scuola moderna lo stesso valore e la classe diventava una cooperativa: nel realizzare opere a cui è riconosciuto un valore anche economico (segno oggettivo di valore pubblico) si va alla ricerca delle conoscenze necessarie, ciascuno in modo e misura differente ma con l’aiuto reciproco. Anche durante i lavori individuali si ha sempre presente che stiamo condividendo uno spazio e una vita comuni della cui cura, manutenzione e armonia si è collettivamente responsabili. Questo andirivieni tra individuo e collettivo nel lavoro, nella creazione, nello studio e nell’amministrazione dell’ambiente avviene tramite un’istituzione fondamentale, il Consiglio di cooperativa, luogo in cui si prendono le decisioni e si stabiliscono le regole collettive.
Per Fernand Oury e i praticanti della pedagogia istituzionale che “facevano” Freinet nei quartieri popolari urbani il tema del lavoro si complicò: i bambini sotto proletari o proletari delle banlieue non conoscevano i lavori artigianali o rurali, non avevano la natura e la vita comunitaria del paese come campi di interesse e di misura delle proprie abilità. La questione del desiderio come possibilità di “catturare” il bambino nel lavoro di apprendimento e di creazione anche dentro la scuola caserma della moltitudine urbana e in vista di un prossimo futuro da garzoni o operai sfruttati divenne centrale. Nella classe cooperativa la pedagogia istituzionale sperimentò istituzioni che integrano alla pedagogia del lavoro una pedagogia del desiderio, prevedendo spazi e tempi di parola per trattare simbolicamente, cioè per riconoscere e nominare, anche i vissuti emotivi e inconsci dei soggetti. Lo scopo era riuscire a vivere e lavorare assieme rispettando ciascuno e ricavando margini di libertà per tutti in situazioni in cui la limitazione delle risorse, di spazio e tempo, gli obiettivi produttivi prefissati, le relazioni gerarchiche e di potere potevano generare ansie, tensioni, difficoltà personali e di gruppo. Mettersi al lavoro senza subire o esercitare violenza, potendo prendere parola ed essere riconosciuti nelle differenze, preservando margini di iniziativa e di libertà nei limiti comuni, esercitando responsabilità operative e di gestione sperimentando l’implicazione tra potere e libertà nella definizione di ruoli e statuti dentro una comunità attiva divennero i temi della ricerca pedagogica e dell’azione educativa e didattica di maestre e maestri. La legge per cui si applica nelle scuole il Pcto non parla questa lingua e sottintende altri mezzi e altri fini. È la neo lingua delle “soft skills” e delle “competenze emotive” o “competenze chiave europee”: è un discorso che agisce al contrario di come parla. La formazione al lavoro per un futuro di pace e di uguaglianza in cui aumentino l’intelligenza collettiva e le capacità di cura dei bisogni comuni in ciascuno comunità non ha bisogno dei Pcto come sono fatti, delle simulazioni di impresa, della ossessione valutativa, delle menzogne sulla sicurezza. Ha bisogno che negli istituti professionali e nei centri di formazione professionale si investa per ambienti, materiali, strutture, istituzioni; per la formazione e la retribuzione di chi ci lavora; per un pensiero di qualità sul rapporto tra arte, conoscenza e lavoro. Ha bisogno che si faccia sul serio quello che si dice, fin dalla scuola dell’infanzia. La più discussa e controversa delle istituzioni della pedagogia istituzionale è la “moneta interna”, ossia una moneta riconosciuta nella classe o nell’istituto e usata come effettivo denaro per per regolare scambi e attività attività di molteplici tipi.
Una mossa rischiosa e ambigua come lo è o lo sarebbe avere nelle scuole istituzioni in cui la componente studentesca abbia parola effettivamente istituente.
Riportiamo qui di seguito le pagine 154-158 di Tecniche e istituzioni nella classe cooperativa (Emme edizioni 1978) di Aïda Vasquez e Fernand Oury, dedicate alla cooperativa scolastica, di allora e di oggi. (Federica Lucchesini).
Le due parole di cui abbiamo bisogno ora: “cooperativa” e “scolastica”, così difficili da associare?
Un comodo palliativo
Più della miseria endemica della scuola, la stupidità dei regolamenti amministrativi proibisce praticamente al maestro di procurarsi ciò di cui ha bisogno nel momento in cui ne ha bisogno. La cooperativa diventa allora un palliativo indispensabile, comodo. Persino troppo comodo. E un certo tipo di incoraggiamento ufficiale ci sembra sospetto: lo sfruttamento delle possibilità finanziarie dell’ambiente da parte dei bambini è forse un’attività educativa? Non è significativo che gli orari, molto opportunamente, rimandino queste attività cooperative alla fine della settimana: dopo il lavoro serio? Sarebbe meglio parlare di cooperative extrascolastiche: in che momento, in una classe normale, gli scolari e il maestro hanno bisogno di organizzare un’azione collettiva per una realizzazione comune?
Parodie d’istituzioni adulte
Quando da bambino ha imparato a memoria: “La Repubblica, governo del popolo da parte del popolo, è una forma superiore di organizzazione sociale”, non è sorprendente che il maestro di buona volontà per poco che abbia letto Dewey o altri, organizzi assemblee, elezioni, piccoli parlamenti, riunioni d’ufficio, ecc. Sovrapposte artificiosamente ad una vita scolastica immutata, queste parodie di istituzioni adulte divertono per un po’ i bambini e i pedagogisti, prima di scomparire senza lasciare tracce.
Autentica o derisoria…
La stessa azione, la stessa istituzione sono autentiche o derisorie a seconda che si inseriscano o meno in una doppia realtà: da una parte la realtà degli adulti in un luogo e in un momento storico determinato, d’altra parte la realtà vissuta dai bambini in un dato momento della loro evoluzione. In questo modo per un bambino del 1969 non è più irreale immaginarsi cosmonauta di quanto per un boy-scout di 10 anni sia ridicolo collezionare decorazioni.
Per cooperativa scolastica intendiamo una cooperazione…
Operare, lavorare insieme in vista di una produzione comune riconosciuta socia mente suscettibile di essere scambiata o venduta.
…permanente…
La cooperativa non s’inserisce più o meno armonicamente nella vita della classe: è la classe sessa perché le attività scelte rientrano…
… nel quadrò scolastico legale…
Alle elementari le tecniche Freinet sono una soluzione, poiché garantiscono l’insegnamento fondamentale:
LEGGERE – SCRIVERE – FAR DI CONTO.
La nostra esperienza di classi pratiche (14-16 anni) – la nostra esperienza di lavori cooperativi con gli adulti ci invita a credere che è possibile trovare delle soluzioni nelle scuole medie e superiori.
…dei lavori complessi
che richiedono creatività, iniziativa personale e collettiva, ma anche spirito di rinuncia e impegno…
e non dei giochi o dei compiti meccanici
di basso livello, dei lavori da schiavi che possono essere solo imposti.
L’opera comune sottintende dunque:
- un margine importante di libertà e di iniziativa;
- un’organizzazione precisa spesso complicata;
- un potere accettato, riconosciuto, efficace.
Le forme organizzative e il potere, in ogni momento adeguati alle necessità e agli obiettivi che li giustificano, possono essere rimessi in discussione dal gruppo, che si esprime tramite le istituzioni a loro volta create da questo gruppo.
L’autogestione appare un’ideale che non pretendiamo di raggiungere, ma al quale ci avvicineremo se non perdiamo in dissertazioni filosofiche su questo argomento.
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