Michael Longley, poesia ed ecologia
Angel Hill, penultima raccolta di Michael Longley (Belfast, 1939), si apre con una poesia – “La lente di ingrandimento”- che è anche una dichiarazione di poetica. La lente gli è stata regalata dalla poeta Fleur Adcock, dedicataria del componimento, perché l’amico possa “esaminare il cuore dei fiori selvatici”. Hanno condiviso la passione per flora e fauna avendo “passato la vita nei campi” china/la testa cercando sul terreno i nidi delle allodole”, affinando la pratica dell’osservazione, arte indispensabile per l’esercizio della poesia.
Poesia che nasce e cresce in stretta connessione, oltre che con il mondo naturale, con l’ambito delle relazioni umane. Essa è, anzi, luogo deputato al dialogo con moglie, figlie e nipoti, amici e colleghi, artisti e non. Una consuetudine sviluppata e mai abbandonata da quando Longley cominciò a scrivere versi, studente di lettere classiche al Trinity College di Dublino, nei primi anni Sessanta.La forma dialogica che caratterizza la poesia di Longley riguarda molto anche compagni e compagne che non ci sono più, con cui la conversazione continua, non essendo stata interrotta dalla morte. Interlocutori con cui il poeta ha continuato “a spezzare il pane”, secondo l’insegnamento di W. H. Auden, il quale sosteneva che “senza la comunione con i morti è impossibile una vita pienamente umana”. Le conversazioni proseguono in questa raccolta, tradotta e a cura di Paolo Febbraro, studioso attento alle cose di Irlanda, che ci aiuta a mettere a fuoco la materia di tanta parte della poesia di Longley.
Ecologista ante litteram – una “Sezione ornitologica” è già presente nella sua prima raccolta e una poesia intitolato “L’ornitologo” in questa – Longley osserva e descrive, anche in forma esplosa, una varietà infinita di fiori e animali selvatici, uccelli, insetti,osservati nei luoghi amati dell’ovest irlandese, e in particolare in quello che da cinquant’anni è il suo speciale locus amoenus, Carrigskeewuan, nella contea di Mayo.
La campagna non è mai stata, per Longley, fuga dal negotium né dall’incendio che divampa. Tutt’altro: essa si impone come metafora della vita proprio nel momento in cui, nella comunità in cui il poeta è cresciuto, fanno irruzione devastanti impulsi di morte. I trent’anni, che i nordirlandesi si trovarono a vivere dall’erompere delle “uncivil wars” dell’Ulster all’Accordo del Venerdì Santo nel 1998, sono qui definiti come gli “anni del disonore”. La poesia non può erigere argini materiali ma, come per Robert Frost, può offrire “una pausa temporanea contro la confusione”. Nella poesia I Sonetti si arriva a definirla addirittura “life-saving”. Di certo lo fu per il fante, nelle trincee delle Fiandre, salvato dal libro dei Sonetti di Shakespeare riposto nel taschino prima dell’assalto. I sonetti fermano il proiettile ma si sbriciolano.
Michael Longley è l’ultimo grande rappresentante, dopo la scomparsa di Séamus Heaney, Brian Friel, Ciaran Carson, Derek Mahon e, solo pochi mesi fa, di Seamus Deane, di un gruppo coeso di poeti e scrittori straordinari, protagonisti di un periodo irripetibile per le arti irlandesi, un revival iniziato alla fine degli anni Sessanta a Belfast, un luogo definito pochi anni prima dal drammaturgo Sam Thompson, come un Sahara o una Siberia dal punto di vista culturale. Sono gli anni in cui, come si ricorda in “Librerie”, escono le prime raccolte di Longley, Heaney, Simmons e Mahon, il periodo delle manifestazioni itineranti tra le quali “Room to Rhyme”, nel 1968, ricordata in questo libro nell’elegia dallo stesso titolo dedicata a Séamus Heaney, il quale, due settimane prima della scomparsa nell’agosto del 2013, volle partecipare ancora con lui a una lettura pubblica a Lisdoonvarna. I poeti amici – Heaney, Muldoon e Mahon – sono di nuovo idealmente riuniti nella poesia Menu: “Ecco i poeti della mia gioventù seduti intorno al fuoco”.
Diversamente dai colleghi ed amici che negli anni Settanta da Belfast si trasferirono al sud, nella Repubblica, trovando intollerabile la situazione sul terreno, Longley decise di rimanere nella sua città, impegnandosi per più di un ventennio sul fronte della promozione culturale come direttore dell’Arts Council del Nord Irlanda. Di quegli anni difficili, che coincisero anche con un lungo periodo di silenzio sul fronte creativo, restano poesie memorabili dedicate alle vittime della violenza – dalla sequenza Corone nella raccolta The Echo Gate alla poesia Dusty Bluebells, in questo libro, che ricorda la prima vittima, Patrick Rooney, bambino di nove anni ucciso da un tracciante sparato dalla polizia durante una manifestazione. L’attenzione del poeta nei confronti del travaglio cui la comunità nordirlandese fu esposta trova, forse, la sua espressione più alta in un componimento del ‘94, che molti irlandesi hanno imparato a memoria – Ceasefire – ispirato dall’annuncio, in quello stesso anno, del cessate il fuoco da parte dell’IRA , inizio concreto del processo di pace, che culminerà nell’Accordo del Venerdì Santo 4 anni dopo. Vi si descrive l’incontro di Priamo con Achille, dopo la morte di Ettore. Il vecchio re, che impietosisce Achille ricordandogli il padre, si trova a chiedere il corpo del figlio a chi glielo ha ucciso: “Mi inginocchio e faccio ciò che deve essere fatto/ e bacio la mano di Achille che ha ucciso mio figlio”.
Oltre all’epos omerico, in questa raccolta il poeta sente di dover ritornare alla Prima Guerra Mondiale, sia perché vi partecipò giovanissimo il padre sia perché in essa perirono – oltre ai fanti del cimitero scozzese che dà il titolo alla raccolta – poeti la cui scomparsa alterò corso e sviluppo della poesia inglese, e in primis Edward Thomas, come Longley particolarmente interessato al mondo naturale e oltre a lui, Wilfred Owen, Siegfried Sassoon, Isaac Rosenberg. Longley li rivendica come precursori sul terreno che si troverà a battere e a loro affiancherà idealmente il poeta romantico John Clare, a lungo ingiustamente dimenticato, e ricordato in esergo con i versi tratti da Wood Pictures in Spring: “Questo vecchio cancello che batte sull’albero/forse è l’ingresso nell’eden della primavera” e nella poesia I poeti, che inizia con un verso di Clare: “I poeti amano la natura e amore sono”.
E Longley è anche poeta d’amore. Si può dire che tutta la sua produzione (con Epitalamio, ricordata anche qui nella poesia Memoria, si apre il suo primo libro No Continuing City del 1969) sia animata dall’amore per la sua compagna, Edna Longley, tra le più importanti e ascoltate voci critiche della letteratura irlandese contemporanea e, come si confessa nella sua ultima splendida plaquette, The Candlelight Master (2020), sua prima lettrice.
Nel ritiro di Carrigskeewaun, Longley assolve anche a un altro fondamentale dovere: rivendica il contatto con la storia e la cultura irlandese, riconosce in quei luoghi le tracce delle sepolture del neolitico e i segni lasciati dalla Grande Carestia. Anche qui si stabilisce una connessione con quanti furono vittime anonime e di cui resta labile traccia ancora oggi nei campi abbandonati. Il poeta vi si muove con rispetto attraverso l’uso dei toponimi antichi, dei termini gaelici usati ancora oggi in quei luoghi. Si ricollega infine, lui figlio di genitori inglesi, cresciuto nella comunità protestante e unionista dell’Ulster, direttamente alla grande tradizione letteraria di quella civiltà scomparsa traducendone uno dei componimenti più noti – Il lamento della madre – del grande poeta gaelico del Settecento, Peadar Ó Doirnín – che ben descrive l’incubo della storia d’Irlanda.
Con questo omaggio al poeta gaelico, Longley, figlio di una società composta da comunità che guardano ad altri luoghi come punti di riferimento (la Gran Bretagna, gli unionisti, e la Repubblica d’Irlanda, i cattolici repubblicani), sottoscrive la risposta offerta da Heaney nella poesia Traditions alla domanda del capitano irlandese MacMorris, stereotipo dell’irlandese spaccone, nell’Enrico V di Shakespeare: “Qual è il mio paese?” Si tratta della risposta data da Leopold Bloom al nazionalista fanatico nell’Ulisse di Joyce:
“E saggiamente, anche se molto / più tardi, Bloom l’errante / rispose: “l’Irlanda”, disse Bloom, / “Sono nato qui. L’Irlanda.”
Michael Longley, Angel Hill, a cura di Paolo Febbraro, Elliot, 2021
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