Non siamo lì per insegnare
Cari Asini,
ho letto con attenzione il “film” sul movimento delle scuole alternative tedesche uscito sul n.10 della rivista. A p.96 Hofmann dice qualcosa che mi ha provocato:
La pedagogia Montessori mette molte tecniche utili a rendere autonomo il bambino, a liberarlo dalle costrizioni dello spazio scolastico tradizionale. Tuttavia qui sono fondamentali la postura, l’atteggiamento della figura pedagogica che si serve di quei materiali e di quelle tecniche. I materiali Montessori in sé possono essere usati in modi diversi, posso servirmene come proposta da fare ai bambini e in tal caso potrò farci un lavoro libero. Ma se invece li utilizzo in un contesto autoritario, con il maestro che dirige e insegna l’uso dei materiali allora assumono tutto un altro significato.
Questa è una critica piuttosto comune che si fa al Montessori, come se la sostanza del lavoro fosse di una finta libertà ed è vero che questo rischio è legato alle figure adulte (ma lo stesso potrà accadere nelle libere scuole di Germania). Esso può originare grossomodo da circostanze diverse: la modalità rigida e molto prescrittiva con cui vengono condotti molti corsi Montessori – se gli adulti imparano così e non vengono allenati alla discussione e al lavoro critico, adotteranno la stessa modalità con i bambini (anche la scuola tradizionale è piena di questi esempi) – oppure là dove i materiali vengono esplorati dai futuri docenti in modo libero per giungere alla modalità più semplice e nitida con cui offrirli ai bambini, non mancano maestri che poi si servono dei materiali in modo rigido e quindi autoritario. Questo accade facilmente da noi dove i docenti arrivano totalmente impreparati al lavoro con i bambini. Insegnare è obbligatorio, saper insegnare è facoltativo diceva De Bartolomeis. Figurati poi l’educare senza insegnare. (Noi non siamo lì per insegnare, diceva la Montessori, alludendo alla condizione passivizzante tanto diffusa).
Le più belle scuole Montessori che ho visto sono quelle che danno ai bambini piccoli o grandi, dal Nido alle medie, l’impressione di una tavola apparecchiata con tanti cibi gustosi diversi tra i quali ognuno trova quello che gli corrisponde, da usare da solo o con qualche compagno per il tempo che vuole, nel modo che vuole, senza voti, né spinte in avanti sui risultati, senza compiti a casa, chiedendo però ai bambini di riordinare loro stessi i materiali usati. L’adulto osserva, prepara l’ambiente, lo adatta alle richieste e ai desideri. Guida, ma resta un po’ nell’ombra, si confonde con i bambini, aiuta solo quando è indispensabile. Non tutte le scuole sono così.
Alcuni degli oggetti a disposizione richiedono un minimo di “presentazione” da parte dell’adulto, soprattutto per rispondere prontamente all’interesse di un bambino che ad esempio comincia a usare le forbici o a dipingere. C’è un modo corretto di usare uno strumento che accorcia la via, non consente l’instaurarsi di abitudini errate: lo si può mostrare direttamente a questo o a quel bambino oppure ci può essere una presentazione indiretta, nel senso che l’adulto esegue l’azione X per sé, seduta ad altezza dei bambini in modo che chi vuole possa vedere ciò che sta facendo. Anche Arno Stern segue una modalità analoga: mostra l’uso del pennello per evitare le sgocciolature che guasterebbero la pittura, ma non dà mai giudizi, non fa commenti, né propone modelli e i disegni non vengono nemmeno portati a casa.
Si può evitare la presentazione iniziale? A volte sì, se l’oggetto parla da solo, a volte no. Ricordo che quando frequentai all’università il corso di microbiologia, il primo giorno ci dettero i microscopi senza alcuna spiegazione e noi provammo a mettere a fuoco con smanettamenti vari, cambio di lenti e così via. Poi venne il professore e ci chiese che cosa avevamo visto: risultò che nessuna delle forme da noi descritte fosse reale, ma solo la conseguenza di un cattivo uso dello strumento, effetti di luce e così via. Ci dette un minimo di spiegazione sull’uso corretto e questo ci permise di intraprendere da subito un percorso interessante di osservazioni scientifiche “dentro” la materia. Non ho più dimenticato questa lezione nel senso che non è necessario tutte le volte reinventare l’acciarino per sentirsi liberi, l’importante che, acquisito l’uso dello strumento, io possa fare le mie ipotesi, le mie indagini, le mie creazioni. Era così che si andava “a bottega” nel Rinascimento per imparare l’arte.
L’esempio del microscopio calza molto bene con il lavoro Montessori ed è una delle ragioni per cui sono così rare le vere scuole che si richiamano a questo nome, perché troppo spesso gli adulti non ce la fanno a realizzare la piena fiducia in ogni bambino, a non intervenire, a non aiutare. Quando lo fanno succedono i miracoli (che invece dovrebbero essere la norma!). Quest’anno un nostro bambino con notevoli difficoltà, dopo sei anni di frequenza nella nostra imperfetta scuola montessoriana, ha cominciato a leggere. I compagni se ne sono accorti prima della maestra ed è stata gran festa per tutti. I tempi lunghi non devono spaventare, solo che non è sempre facile avere la collaborazione piena dei genitori. È un aspetto del resto che anche gli autori tedeschi del vostro dossier sottolineano. Montessori diceva “Segui il bambino, lui sa”. È l’indicazione più ardua da seguire. Ciao,
Grazia