Un’onda verde, trent’anni dopo

Trent’anni dopo la dissoluzione dell’ex Jugoslavia, qual è lo stato dei movimenti sociali nel territorio che ora viene chiamato dei Balcani Occidentali? Le novità ad est di Trieste sono molte. Negli ultimi decenni si è registrato un grande fermento politico, cominciato nel 2009 con le proteste degli studenti croati contro i tagli all’istruzione. Le proteste sono culminate nell’occupazione della facoltà di filosofia a Zagabria, a sua volta preceduta e seguita da occupazioni nell’università di Belgrado nel 2006 e nel 2011. Negli stessi anni i movimenti studenteschi si sono fatti sentire anche in Bosnia-Erzegovina e Kosovo, seppur in misura minore. Nel 2014 le manifestazioni degli studenti hanno inaugurato una stagione di proteste in quella che ora si chiama Nord Macedonia. Il 2014 è stato anche l’anno delle dimostrazioni di massa che hanno infiammato la Bosnia-Erzegovina in quella che è stata ribattezzata la “rivolta sociale”. Cominciate in solidarietà con i lavoratori licenziati delle fabbriche della città di Tuzla, le proteste si sono diffuse in tutto il paese. In breve tempo i cittadini si sono riuniti in assemblee chiamate plena e hanno richiesto le dimissioni dei governi centrali e locali, incolpando il sistema politico bosniaco di essere corrotto, nonché di creare divisioni tra la popolazione e ulteriore disoccupazione in un contesto in cui la crisi economica e politica sembra non avere mai fine.
Nello stesso anno a Belgrado è stata fondata l’iniziativa Ne davimo Beograd (“Non diamo/affondiamo Belgrado”), nata da un gruppo di attivisti, lavoratori e lavoratrici della cultura, architetti e urbanisti. L’idea alla base dell’iniziativa era quella di opporsi alla costruzione di Belgrado sull’acqua, un avveniristico progetto di “riqualificazione urbana” che sta trasformando il volto della capitale serba sostituendo gli edifici e i magazzini dismessi del quartiere di Sava Mala con palazzoni e centri commerciali finanziati dagli Emirati Arabi Uniti. Nonostante intrighi politici, accuse di corruzione e mancato coinvolgimento della cittadinanza nelle scelte urbanistiche, il progetto sta per essere ultimato, cambiando drasticamente l’aspetto – e la vivibilità – della capitale. Capitale che nell’ultima decade è stata sconvolta da altri progetti urbanistici che ne hanno intaccato, alterandolo inesorabilmente, il tessuto urbano e sociale. L’iniziativa Ne davimo Beograd non è la prima nella regione a lottare in nome del diritto alla città: a sua volta si è ispirata ai movimenti contro la privatizzazione dello spazio pubblico attivi a Zagabria dal 2010. Da questi ultimi arriva poi la novità più recente, ovvero l’entrata sulla scena politica locale e nazionale della sinistra antagonista croata.
A giugno del 2021 la coalizione della sinistra ecologista guidata dal partito Možemo – che significa “possiamo”, un chiaro riferimento al partito spagnolo Podemos, al quale Možemo si è ispirato – è riuscita a far eleggere a Zagabria il proprio sindaco, Tomislav Tomaševi. Tomaševi, che vanta un passato da attivista nei movimenti sociali legati al diritto alla città e in difesa dei beni comuni, ha vinto con una maggioranza schiacciante (incassando quasi il 70% delle preferenze al ballottaggio contro il leader della destra nazionalista) e una coalizione che candidava giovani donne e uomini con alle spalle un impegno decennale sul fronte dei diritti civili, della protezione dell’ambiente e delle risorse naturali. Una rete di movimenti, organizzazioni non governative e partiti della sinistra ecologista che è riuscita a formare una coalizione solida in vista delle elezioni comunali del 2021. Nel 2020 Možemo era già riuscita a conquistare sette seggi (su 151) in parlamento. La vittoria di Tomaševi a Zagabria è quindi il risultato di anni di impegno sia nei movimenti che all’interno delle istituzioni, in particolare gli ultimi quattro anni trascorsi tra i banchi dell’opposizione nel consiglio comunale di Zagabria guidato dall’allora sindaco Bandi e, dall’anno scorso, nel parlamento croato.
Se a Zagabria si sono riusciti a unire movimenti e partiti ecologisti e progressisti dopo circa dieci anni di mobilitazioni, lo stesso non si può dire di Belgrado, dove la lista promossa dall’iniziativa Ne davimo Beograd si è presentata da sola alle amministrative del 2018, non riuscendo a raggiungere il numero di voti necessari a superare la soglia di sbarramento e quindi eleggere almeno un rappresentante in consiglio comunale. Le attività di Ne davimo Beograd sono continuate, così come il tentativo di entrare nelle istituzioni: l’iniziativa sta lavorando per ripresentarsi alle elezioni amministrative di Belgrado che si terranno nel 2022. In Montenegro invece il tema ambientale ha trovato spazio nell’agenda politica dell’Azione di riforma unita, partito social-liberale, progressista e verde che è entrato in parlamento nel 2020 facendosi portavoce anche delle istanze avanzate dagli ambientalisti.
La trasversalità del tema ambientale
Mentre la lotta alla corruzione, la necessità di un ricambio della classe politica e il diritto alla città sono diventati temi di primaria importanza, negli ultimi anni anche la tutela dell’ambiente e l’opposizione allo sfruttamento delle risorse naturali si sono fatti sentire con urgenza. Diverse manifestazioni hanno portato in piazza i cittadini e le cittadine della regione in difesa dell’ambiente, mentre le battaglie ambientaliste in aree periferiche e marginali hanno guadagnato maggiore visibilità. Spesso queste riguardano i fiumi, minacciati dalla costruzione di centrali idro-elettriche lungo il proprio percorso. Gli abitanti lamentano che la costruzione di centrali idroelettriche comporti la canalizzazione e la deviazione del corso dei fiumi, che di conseguenza porterebbe ad una riduzione della loro portata. Inoltre i fiumi rischierebbero di prosciugarsi nel periodo estivo, danneggiando irrimediabilmente la fauna e la flora autoctona. Per finire, in molti casi in Serbia le piccole centrali idroelettriche sono state realizzate senza alcun certificato di conformità alla normativa in materia di tutela dell’ambiente. Un esempio è la campagna guidata dal movimento Difendiamo i fiumi della Stara Planina in Serbia, un’organizzazione informale che in alcuni casi è intervenuta anche con l’azione diretta, rimuovendo gli sbarramenti posti a deviazione di un corso d’acqua.
La questione ambientale nei Balcani occidentali è un tema che è diventato centrale anche nel dibattito pubblico. Di conseguenza, queste istanze negli ultimi anni hanno trovato spazio anche nell’agenda politica dei partiti progressisti emergenti. Quando si è candidato alle elezioni amministrative per la città di Belgrado nel 2018, Ne davimo Beograd è riuscito ad incorporare nel proprio programma elettorale le questioni ambientali e quelle legate allo sviluppo urbano, con particolare attenzione al coinvolgimento della cittadinanza e alla sua richiesta di maggiore partecipazione politica nelle scelte di tipo urbanistico. A Zagabria, Možemo ha messo al centro del proprio programma elettorale la preservazione dei parchi e delle aree verdi della capitale, dopo che la precedente amministrazione le aveva messe a repentaglio. In entrambi i casi, i temi della qualità dell’aria e della preservazione delle risorse ambientali hanno occupato un posto centrale nei programmi elettorali.
Non solo le città e le aree urbane come Zagabria o Belgrado, ma anche le regioni rurali e più periferiche sono al centro delle rivendicazioni dei cittadini. In Serbia negli ultimi anni è aumentato il numero di gruppi locali coinvolti in battaglie riguardanti l’uso e lo sfruttamento delle risorse naturali. Anche se meno visibili nei mass media nazionali e internazionali, questi gruppi godono del supporto della popolazione e sono molto presenti nei social media. Al centro delle polemiche ci sono ad esempio le attività estrattive del colosso minerario Rio Tinto e il suo contestato progetto di estrazione di jadrite dal sottosuolo della Serbia occidentale. Preoccupata per l’impatto ambientale del progetto, che si stima disastroso, la cittadinanza ha organizzato manifestazioni e proteste contro la compagnia anglo-australiana. E ha anche protestato contro le autorità che incentivano la svendita e lo sfruttamento delle risorse naturali della Serbia che avviene quasi esclusivamente per mano di investitori stranieri. Questi ultimi privatizzano aziende precedentemente controllate dallo stato con l’incentivo dei governi locali che, allo scopo di attrarre investitori stranieri, offrono loro condizioni vantaggiose, senza tener conto dei danni ambientali che questi provocano. Nel caso del progetto Belgrado sull’acqua, ad esempio, sono stati gli interessi degli investitori stranieri a definire le politiche di sviluppo urbano della capitale – un processo conosciuto come investor urbanism.
In Bosnia-Erzegovina invece le istanze ambientali faticano a trovare una sponda politica, non essendoci al momento né partiti né liste in grado di farsene carico. Ciononostante, l’attivismo ambientale sta vivendo un momento di espansione. Sono diversi i gruppi che cercano di bloccare la costruzione di mini-centrali idroelettriche lungo i fiumi e che protestano contro le discariche illegali di rifiuti che vengono gettati nei corsi d’acqua, mettendo a repentaglio sia l’ecosistema che la salute degli esseri umani. In un’area dove la consapevolezza ambientale è ancora poco sviluppata, nel 2019 un gruppo di donne del villaggio di Kruščica ha ricevuto l’EuroNatur Award per l’impegno esemplare nel proteggere il patrimonio naturale europeo. Per 500 giorni hanno bloccato il ponte sopra il fiume, impedendo il passaggio di camion e ruspe incaricate di costruire le centrali idroelettriche. Nonostante l’attacco della polizia, le intimidazioni ricevute e la difficoltà di protestare in un’area rurale della Bosnia, la battaglia delle “donne coraggiose di Kruščica”, come sono state battezzate, ha portato loro supporto internazionale e la soddisfazione di vedere il progetto fermato. Le risorse a disposizione di questi movimenti sono però sempre scarse, sia in termini finanziari che umani, anche perché l’attivismo politico nei Balcani occidentali porta con sé il rischio di essere esposti a intimidazioni o messi al centro di campagne diffamatorie.
Ambiente e diritto alla città diventano un tema politico
Da un’attenta analisi si evince che questi movimenti non avanzano soltanto richieste di tutela delle risorse naturali e di salvaguardia dello spazio pubblico, ma veicolano anche il malcontento della popolazione nei confronti di una classe politica considerata corrotta, caratterizzata da derive autoritarie e sempre più incapace di rispondere alle richieste di maggior partecipazione della cittadinanza e di democratizzazione dei processi decisionali. In occasione della “Rivolta ecologista”, manifestazione che si è tenuta in Serbia il 10 aprile 2021, sono state espresse critiche anti-regime e contro lo strapotere – per nulla green – del presidente Aleksander Vucic. Quel giorno migliaia di cittadini serbi sono scesi in piazza per accusare la leadership al potere di svendere le risorse naturali del paese. Qualche giorno dopo la miniera Jama di Bor, che si trova nella Serbia orientale ed è gestita da un’azienda cinese, è stata chiusa con l’intento ufficiale di proteggere l’ambiente. Nonostante il presidente Vucic abbia intenzionalmente ignorato le proteste di piazza, e la ministra dell’ambiente abbia fatto ricorso alla consueta retorica dei “falsi ambientalisti che sono in realtà oppositori politici pagati dall’estero”, l’alta affluenza in piazza e il numero crescente di campagne e gruppi che hanno a cuore i temi ambientali hanno dimostrato come la questione sia diventata centrale e prioritaria nel paese, acquisendo valenza politica. L’opinione pubblica si sta dimostrando sensibile al tema, che risulta fortemente legato allo sviluppo democratico del paese, e si rende strumentale alla delegittimazione del potere senza tuttavia attaccarlo direttamente. Una strategia che a tratti ricorda quella utilizzata negli anni Novanta per far crollare i regimi comunisti nei paesi dell’Europa orientale, dove le associazioni ambientaliste, presenti e tollerate dal sistema, divennero lo strumento dei dissidenti politici per raggruppare l’opposizione e sfidare apertamente l’autocrazia politica, assimilando le rivendicazioni ambientali alla tutela dei diritti umani.
La questione ambientale nei Balcani occidentali è un tema che è diventato centrale anche nel dibattito pubblico.
L’ambiente è infatti una questione che tocca da vicino chi è sceso in piazza, che nella vita di tutti i giorni si trova a dover fare i conti con l’inquinamento dell’aria e dei corsi d’acqua, e ha a che fare con problematiche che derivano da precise scelte politiche e da una gestione corrotta e criminale del bene comune. Una situazione che, vista nel complesso, spiega perché un numero crescente di giovani decida di lasciare la regione in cerca di un futuro migliore altrove.
Quale futuro per i movimenti rosso-verdi dell’ex Jugoslavia?
Come abbiamo visto, la domanda di cambiamento che arriva dai Balcani occidentali negli ultimi anni si è espressa – con più o meno successo – sia nelle piazze che all’interno delle istituzioni, dove per la prima volta ha trovato rappresentanza in Croazia e Montenegro. Altri paesi, come la Bosnia-Erzegovina, non riescono ancora a far convogliare il malcontento popolare in un progetto politico unitario e di lungo termine. Le sfide che attualmente la “sinistra di lotta” diventata ormai “di governo” deve affrontare sono molteplici. A Zagabria, per esempio, riguardano in primis la valutazione dell’ammanco prodotto dall’amministrazione precedente. Inoltre, c’è da rispondere alle aspettative dei cittadini e delle cittadine che hanno riposto la loro fiducia in un gruppo di attivisti e attiviste con anni di esperienza alle spalle, ma per alcuni versi ancora inesperti nella gestione amministrativa del bene comune. Le aspettative della cittadinanza nel coinvolgimento nell’elaborazione delle politiche pubbliche sono inoltre alte. A Belgrado invece i movimenti come Ne davimo Beograd sono impegnati anche nel dare un nuovo significato alla partecipazione politica, non più percepita come esclusivo appannaggio dei partiti politici, ma come attività riguardante ogni persona che abbia a cuore il bene comune. E si trovano a cercare di riempire in modo credibile un vuoto a sinistra, che nella regione fino ad oggi era stato colmato dei partiti social-democratici, in netto calo di consensi alle ultime elezioni politiche.
In tutta la regione questi movimenti e partiti della sinistra rosso-verde riflettono la voglia di cambiamento e di rinnovamento dell’intera regione, soprattutto di quelle generazioni che, anche se hanno vissuto in prima persona la dissoluzione dell’ex Jugoslavia, si ostinano a guardare avanti. Per questo si adoperano per avviare collaborazioni a livello regionale e guardano a Možemo come esempio di successo da seguire.
Questo articolo è disponibile gratuitamente grazie al sostegno dei nostri abbonati e delle nostre abbonate. Per sostenere il nostro progetto editoriale e renderlo ancora più grande, abbonati agli Asini.