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Umile rimostranza sull’arte del romanzo: R. L. Stevenson contro Henry James

disegno di Armin Greder tratto da "Noi e loro" (Else edizioni 2019)
23 Ottobre 2019
Robert Louis Stevenson

(disegno di Armin Greder tratto da Noi e loro, Else edizioni 2019)

Quale è l’oggetto, quale il metodo di un’arte, e quale l’origine del suo potere? Tutto il segreto è che nessun’arte “compete con la vita”. L’unico metodo seguito dall’uomo, sia che mediti o che crei, è quello di socchiudere gli occhi davanti al bagliore e alla confusione della realtà. Le arti come l’aritmetica e la geometria distolgono gli occhi dalla rozza, colorata e mobile natura che si stende ai loro piedi, e guardano invece a una certa immaginata astrazione. La geometria ci parlerà di un circolo, cosa mai vista nella natura; interrogata intorno a un circolo verde o a un circolo di ferro, essa si metterà la mano sulla bocca. Così con le arti. La pittura, paragonando miseramente la luce del sole con la biacca d’argento, rinuncia alla verità del colore, come già aveva rinunciato al rilievo e al movimento; e invece di gareggiare con la natura, combina un sitema di tinte armoniose. Similmente la letteratura, soprattutto nel suo aspetto più tipico, quello narrativo, sfugge alla sfida diretta e persegue invece uno scopo indipendente e creativo. Se pure imita in qualche modo, imita non la vita ma il linguaggio: non i fatti del destino dell’uomo, ma l’enfasi e gli abbassamenti di tono con cui ne parla l’attore umano. La vera arte che trattò direttamente con la vita fu quella dei primi uomini che raccontarono le loro storie intorno al selvaggio fuoco da carnpo. La nostra arte si preoccupa ed è tenuta a preoccuparsi non tanto di renderle le storie vere quanto di renderle tipiche, non tanto di afferrare i tratti di ogni episodio, quanto di dirigerli tutti verso un fine comune. Poiché al dilagare di impressioni, tutte efficaci ma tutte distinte, che offre la vita, essa sostituisce una certa serie artificiale di impressioni, tutte invero rappresentate molto debolmente, ma tutte miranti allo stesso effetto, tutte rivelanti le stesse idee, tutte accordantesi insieme come note armoniose in musica o come tinte ben graduate in un buon quadro. Il romanzo ben scritto echeggia e riecheggia attraverso tutti i suoi capitoli, attraverso tutte le sue frasi, il solo pensiero che domina il suo spirito creativo; a esso deve convergere ogni avvenimento e ogni personaggio; lo stile deve essere alla sua altezza; e se vi è in qualche punto una parola che sembri non conformarvisi, bisognerà toglierla perché il libro sia piu forte, piu chiaro, e (stavo per dire) più completo. La vita è mostruosa, infinita, illogica, rude e dolorosa; un’opera d’arte è, al confronto, semplice, finita, contenuta, razionale, scorrevole e svirilizzata. La vita si impone con l’energia bruta, inarticolata come il tuono; l’arte colpisce l’orecchio, attraverso i ben piu forti rumori dell’ esperienza, come un suono creato artificialmente da un sapiente musicista. Una proposizione geometrica non compete con la vita; e una proposizione di geometria è un parallelo buono e luminoso per un’opera d’arte. Sono ambedue ragionevoli, ambedue infedeli al fatto materiale, ambedue sono inerenti alla natura e nessuna delle due la rappresenta. Il romanzo, che è opera d’arte, esiste non per le sue rassomiglianze con la vita, che sono forzate e materiali, come una scarpa deve pur sempre essere di pelle, ma per la sua incommensurabile diversità dalla vita, diversità che è intenzionale ed espressiva, ed è insieme metodo e il senso dell’opera…

La vita dell’uomo non è il soggetto dei romanzi, bensi, l’inesauribile deposito dal quale i soggetti devono essere scelti; loro nome è legione; e ad ogni nuovo soggetto – poiché anche su questo punto devo divergere per quanto è vasto il cielo dalle opinioni del signor James – il vero artista varierà il suo metodo e cambierà il suo punto d’attacco. Ciò che in un caso era un gran pregio, diventerà un altro caso; ciò che formava la sostanza di un libro difficile può nel prossimo libro essere cosa futile e noiosa. Prima ciascun romanzo, poi ogni categoria di romanzi, esistono per se stessi. Prenderò come esempio, tre categorie pnncipali, ben distinte fra di loro: primo, il romanzo di avventura, che corrisponde ad alcune tendenze nell’uomo quasi sensuali e del tutto illogiche; secondo, il romanzo psicologico che risponde al nostro interesse intellettuale per le debolezze e per i moventi complessi e incostanti dell’uomo; e terzo, il romanzo drammatico, che tratta la stessa materia del teatro serio, e risponde alla nostra natura emotiva e al nostro giudizio morale.

Cominciamo dal romanzo d’avventura. Il signor James si riferisce, lodandolo con singolare generosità, a un libretto intorno alla ricerca di un tesoro nascosto; ma lascia cadere, cammin facendo, alcune parole piuttosto sorprendenti. Egli rimpiange in questo libro la mancanza di ciò che chiama “l’immenso lusso” di poter litigare con il suo autore. Il lusso, per quasi tutti noi, è di mettere da parte il nostro giudizio, di venir sommersi dal racconto come da un’ondata, e di svegliarci, e cominciare a distinguere e trovare i difetti solo quando la lettura è finita e il volume messo da parte. Ma ancora più notevole è la ragione messa avanti dal signor James. Secondo lui, non può criticare l’autore “perché”, dice confrontando quel libro a un altro lavoro, “sono stato bambino, ma non sono mai stato a a ricerca di un tesoro sepolto”. Ecco, a dire il vero, un paradosso voluto; poiché se egli non è mai stato alla ricerca di un tesoro sepolto, si può dimostrare che non è mai stato bambino. Non è mai esistito un bambino (all’infuori di padron James) che non sia andato alla ricerca dell’oro, che non sia stato pirata, comandante militare e bandito delle montagne; che non abbia combattuto, e subito un naufragio e la prigione; che non si sia imbrattato di sangue le piccole mani, che non si sia valorosamente rifatto di una battaglia perduta, e non abbia protetto trionfalmente l’innocenza e la bellezza. Il signor James ha protestato in un altro dei suoi saggi con eccellenti ragioni contro una concezione troppo limitata dell’esperienza; per l’artista nato, egli sostiene, “i piu vaghi suggerimenti della vita” vengono trasformati in rivelazioni; e credo che, nella maggioranza dei casi, si dimostri vero il fatto che l’artista scriverà con molto più gusto ed efficacia intorno a quelle cose che ha soltanto desiderato di fare, che non a quelle che ha fatto. II desiderio è un telescopio meraviglioso, e Pisgah il migliore osservatorio. Ora, poiché è pur vero che né il signor James né l’autore dell’opera in questione sono mai stati materialmente alla ricerca dell’oro, è probabile che tutt’e due abbiano ardentemente desiderato e teneramente immaginato i particolari di una tale vita nei giovanili sogni a occhi aperti; e l’autore, contando su questo, e ben consapevole (vile e astuto uomo!) che un tal genere di interesse, essendo stato trattato spesso, trova un pronto accesso e una facile via per giungere alle simpatie del lettore, si è basato dal principio alla fine sulla ricostruzione e sulla rappresentazione particolareggiata di questi sogni giovanili. II carattere è per il ragazzo un libro suggellato; per lui un pirata è una barba, un paio di larghi calzoni e un libero complemento di pistole. L’autore, per amore di esattezza e per essere egli stesso più o meno adulto, ammetteva il carattere nel suo piano di lavoro, ma solo entro certi limiti. Se quelle stesse marionette avessero figurato in una trama di altro genere, sarebbero state mosse con intenti ben diversi; poiché in questo elementare romanzo di avventura, i personaggi devono venir presentati con una sola specie di qualità – quella guerriera e formidabile.

Così, nell’apparire perfidi nell’inganno e fatali nel combattimento, hanno servito al loro fine. Il pericolo è la materia trattata da questo genere di romanzi; la paura è la passione con la quale esso giuoca ozisamente; e i caratteri sono ritratti solo in quanto rendono il senso del pericolo e provocano l’attrazione della paura. Aggiungere altri particolari, essere troppo intelligenti, allarmare la lepre dell’interesse morale, e intellettuale mentre stiamo inseguendo la volpe dell’interesse materiale, non è arricchire ma immiserire il vostro racconto. Il lettore stupido ne sarà soltanto offeso, e il lettore intelligente perderà il gusto della lettura.

Il romanzo di caratteri differisce in questo da tutti gli altri: che non richiede alcuna coerenza nella trama, e per questa ragione, come è il caso di Gil Blas, è chiamato qualche volta romanzo di avventura. Si aggira intorno all’umore delle persone rappresentate; queste sono, certamente, incorporate negli avvenimenti, ma non c’è bisogno che gli avvenimenti stessi, essendo tributari, procedano in ordine progressivo; e i personaggi possono venir mostrati staticamente. Come entrano, così possono uscire; devono essere consistenti, ma non c’è bisogno che si sviluppino. Qui il signor James riconoscerà il tono di molti dei suoi lavori: egli tratta, generalmente, statica del personaggio, studiandolo quando è a riposo o soltanto leggermente agitato; e, con l’istinto artistico delicato e giusto che gli è solito, evita quelle passioni più violente le quali deformerebbero gli atteggiamenti che egli ama studiare, e cambierebbero i suoi personaggi sedentari da umoristi della vita ordinaria a forze brute e a semplici tipi di momenti più emozionanti. Invero, nel suo recente L’autore di “Beltraffio”, così giusto nella sua concezione, così agile ed elegante nella fattura, si fa uso della grande passione; come essa non è approfondita. Perfino nell’eroina il lavorio della passione è soppresso; e la grande lotta, la vera tragedia, la scène à faire passa inosservata dietro alla soglia di una porta chiusa a chiave. La dilettevole trovata del giovane visitatore viene introdotta, coscientemente o no, a questo fine: che il signor James, fedele al suo metodo, possa evitare la scena di passione. Ho fiducia che nessun lettore possa sospettarmi di essere colpevole di sottovalutare questo piccolo capolavoro. Voglio semplicemente dire che esso appartiene a una definita categoria di romanzi, e che sarebbe stato concepito e trattato molto diversamente se avesse appartenuto a quell’altra definita categoria, della quale mi accingo a parlare adesso.

Chiamo volentieri il romanzo drammatico con questo nome, perché mi dà la possibilità di indicare, giacché ci sono, un concetto errato, strano e particolarmente inglese. Si dice a volte che il dramma è fatto di avvenimenti. Esso è fatto di passione, che dà all’attore modo di rivelarsi; e quella passione deve crescere progressivamente, o l’attore, mano a mano che il dramma procede, non potrebbe trasportare gli spettatori da un grado più basso e un grado più alto di interesse e di emozione. Una seria e buona opera di teatro deve perciò essere fondata su una delle appassionate cruces della vita, nella quale il dovere e il desiderio vengono a urtarsi nobilmente; e la stessa cosa è vera riguardo a ciò che chiamo, per questa ragione, il romanzo drammatico. Darò come esempio alcuni pregevoli esemplari, tutti dei nostri giorni e del nostro idioma: Rhoda Fleming di Meredith, quel meraviglioso e doloroso libro; Un paio di occhi azzurri di Hardy; e i due libri di Charles Reade, Griffith Gaunt e Il duplice matrimonio, intitolato originariamente Piccole bugie e nato da una commedia di Maquet il collega del grande Dumas. In questo genere di romanzo la porta serrata di L’autore di “Beltraffio” deve essere sfondata; la passione deve apparire sulla scena e pronunciare la sua ultima parola; la passione è l’alfa e l’omega, la trama, il protagonista e il deus ex machina; è tutto insomma. I personaggi possono venire sulla scena in qualsiasi modo, non importa; l’essenziale è che, prima di lasciarla, essi vengano trasfigurati e sollevati al di sopra di loro stessi dalla passione. Si può, volendo, disegnarli minutamente; dipingere un carattere in tutte le sue dimensioni, per vederlo poi struggersi e mutare nella fornace dell’emozione. Ma non c’è affatto quest’obbligo; un bel ritratto non è necessario, e il lettore s’accontenta di tipi astratti, purché siano profondamente e sinceramente commossi. Un romanzo di questo genere può anche essere un grande romanzo, anche se non contiene alcuna figura caratteristica; può essere grande, perché mostra le ansie di un cuore perturbato e l’espressione impersonale della passione; e, trattandosi di un artista di second’ordine, è anche più facile che sia grande quando il fine è stato in tal modo limitato e tutta la forza della mente dello scrittore diretta esclusivamente alla passione. All’abilità che ha un magnifico campo d’azione nel romanzo di carattere, sono sbarrate tutte le porte di questo più solenne teatro. Un movente ricercato, un’ingegnosa evasione dallo scopo finale, una piega verso l’umorismo invece che verso la passione, ci offendono come una cosa non sincera. Tutto dovrebbe essere semplice, tutto diretto al suo fine. Da ciò proviene che, in Rhoda Fleming, la signora Lovel suscita tanto risentimento nel lettore; i suoi moventi sono troppo superficiali, i suoi modi troppo equivoci per l’importanza e la forza di ciò che la circonda. Da ciò la veemente indignazione del lettore quando Balzac, dopo aver incominciato La Duchessa di Langeais con parole di una forte se anche alquanto enfatica passione, rompe l’incanto con il guasto all’orologio dell’eroe. Tali personaggi e tali casi appartengono al romanzo di carattere; sono fuori posto nell’alta compagnia delle passioni; quando le passioni vengono introdotte nell’arte nel loro stadio piu acuto, noi ci aspettiamo di vederle, non eluse e vanamente lottanti come nella vita, ma elevantesi al di sopra delle circostanze e in funzione di destino.

A questo punto mi posso figurare il signor James che interviene con la sua lucida mente. Su molte delle cose che ho detto si mostrerebbe in apparenza incerto; a molte cose darebbe, se pure un po’ impazientemente, la sua approvazione. Quel che ho detto poteva anche essere vero; ma non era quello che desiderava di dire o di sentir dire. Egli parlava del quadro finito e del suo valore una volta terminato; io, dei pennelli, della tavolozza e della luce del nord. Egli esprimeva le sue vedute nel tono per gli orecchi della buona società; io, con l’enfasi e la tecnicità dello studente inopportuno. Ma l’importante, potrei replicare, non è solo di divertire il pubblico, bensì di offrire consiglio utile allo scrittore giovane. E lo scrittore giovane non sarà aiutato dalle descrizioni geniali di ciò a cui un’arte può giungere nelle sue più alte espressioni, quanto da un’idea sicura di ciò che essa deve essere nelle sue forrne più basse. Quanto di meglio possiamo dirgli è questo: scelga un soggetto, sia di carattere, sia di passione; costruisca accuratarnente la trama in modo che ogni avvenimento valga a illustrare quel motivo principale, e ogni espressione adoperata sia con esso in rapporti di affìnità o di contrasto; eviti una sotto-trama, a meno che, come in Shakespeare, la sotto-trama non sia un rovesciamento o un complemento dell’intrigo principale; non permetta al suo stile di scadere al disotto del livello dell’argomento; colga il giusto tono della conversazione, senza guardare affatto a come gli uomini parlano nei salotti, ma con l’occhio volto al grado di passione che può essere tenuto a esprimere; non permetta né a se stesso durante la narrazione, né ad alcun personaggio nel corso del dialogo, di pronunciare una frase che non faccia direttamente parte della materia del racconto o della discussione del problema di cui si tratta. Non si dolga se questo sistema accorcia il suo libro; meglio cosi, poiché aggiungere del materiale privo di importanza non è un allungare bensì un sotterrare. Non si dia pensiero del dover rinunciare a migliaia di possibilità, così da seguire sempre instancabilmente quell’unica che ha scelto. Non si preoccupi soprattutto se deve rinunciare al tono della conversazione, al particolare piccante delle usanze del giorno, alla riproduzione dell’atmosfera e dell’ambiente. Codesti elementi non sono essenziali; un romanzo può essere eccellente, pur essendone del tutto privo; una passione o un carattere sono tanto più efficacemente riprodotti allorché si innalzano chiari da una circostanza essenziale. Si ricordi, in quest’epoca del particolare, delle epoche della compendiosità, dei grandi libri del passato, dei bravi uomini che vissero prima di Shakespeare e di Balzac. E, in primo luogo, tenga presente che il suo romanzo non è una trascrizione della vita, da giudicarsi per la sua esattezza, ma una semplificazione di qualche lato e aspetto della vita, destinata a riuscire o a fallire per la sua espressiva semplicità. Poiché, seppure ciò che noi notiamo e ammiriamo nei grandi uomini che lavorano su grandi temi è spesso la loro complessità, tuttavia la verità rimane immutata sotto le apparenze: quella semplificazione era il loro metodo, e quella semplicità è il pregio che li fa eccellere.

da Memorie e ritratti (1887), a cura di Arnaldo Frateili e Flaminia Cecchi, Bompiani 1947

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