STORIA, MEMORIA E POTERE
Qual è l’uso pubblico che viene fatto della storia? In che modo le verità storiche, le credenze collettive e le memorie soggettive vengono piegate a fini politici? Come reagiscono le collettività alle violenze e alle discriminazioni subite nel corso del tempo, ingaggiando una battaglia retroattiva con la storia?
Queste domande – ciascuna delle quali ne contiene molte altre – dialogano tra loro e interrogano questioni rilevanti del nostro tempo: la manipolazione dell’opinione pubblica, l’estensione dell’intervento normativo ad ambiti che dovrebbero appartenere esclusivamente alla ricerca e al dibattito pubblico, le minacce alla libertà di pensiero e di parola, le difficoltà delle posizioni minoritarie o dissidenti a costruire un pensiero critico che non ceda alla tentazione di rimuovere il passato o di sfidare le contraddizioni della scienza rifugiandosi nello scetticismo.
In questo numero proviamo a ragionare su tutto questo intrecciando tre filoni: le fake news, le politiche della memoria e la cancel culture.
Le false notizie rappresentano un terreno privilegiato della manipolazione politica. La loro fabbricazione e diffusione hanno assunto forme e dimensioni inedite grazie alle tecnologie digitali e ai social network, ma la loro è una storia antica. Ragionare sul rapporto tra le fake news di ieri e di oggi, sulle analogie e sulle differenze, aiuta a comprendere i meccanismi che ne regolano la ricezione e l’uso sociale. Accanto all’uso manipolatorio dei fatti storici o contemporanei – pianificato o prodotto “spontaneamente” dalle immaginazioni collettive – emerge con sempre maggiore insistenza un ruolo regolatore dei governi e dei parlamenti, che pretendono di governare la memoria collettiva attraverso atti normativi, prescrittivi o sanzionatori. Questa invasione di campo non produce effetti coerenti con gli scopi dichiarati (la memoria è refrattaria agli imperativi) e introduce strumenti di controllo politico sulla ricerca della verità e sull’amministrazione del ricordo. In modo per certi versi paradossale, una dinamica simile si riproduce – a parti rovesciate – nella cancel culture, che proprio alle violenze del potere intende offrire riparazione “dal basso”, rischiando però di cadere in una dinamica analoga individuando in modo prescrittivo (e quindi autoritario) contrapposizioni basate su semplificazioni drastiche (giusto/sbagliato, da conservare/da rimuovere) che nulla hanno a che vedere con lo sviluppo di una conoscenza critica collettiva del passato e della sua eredità.
Parliamo anche di anarchia, perché la vicenda di Alfredo Cospito – oltre al tema cruciale dello stato di diritto – tocca anche quello della criminalizzazione di una cultura politica. L’identificazione tra anarchia e terrorismo, idea cara tanto a esponenti politici dell’area governativa (ma non solo) quanto alla stampa mainstream, è – a ben guardare – un altro capitolo della mistificazione storica usata in modo strumentale per fini politici.
Storia e memoria, in definitiva, rappresentano un terreno di scontro nel discorso pubblico. Questa non è certo una novità. Nuovo è il peso che questo scontro sta assumendo nel definire la fisionomia degli stati democratici che – in forme diverse – stanno progressivamente abbandonando i loro caratteri fondativi.