“Stati Popolari”: Cosa imparare dai braccianti della Florida in lotta
Quando sono venuta a conoscenza della convocazione degli Stati Popolari da parte di Aboubakar Soumahoro, il sindacalista USB ivoriano, ho pensato che fosse un’idea bellissima.
Poi, mi sono chiesta se Abou conoscesse il lavoro della Coalition of Immokalee Workers.
In occasione della rivolta degli invisibili del 21 maggio scorso avevo avuto la sensazione
che ci fosse qualcosa di raffazzonato in quell’iniziativa. In mezzo all’emergenza permanente della fase 2 e 3, con condizioni economiche in declino per (quasi) tutti, gli invisibili, pensavo, rischiano solo di rimanere tali. Contestualmente, lo sciopero dei braccianti del 21 maggio chiedeva ai consumatori di non comprare per quel giorno frutta e verdura, un boicottaggio dunque per portare attenzione sugli esclusi dal Decreto Rilancio. Ma che impatto ha avuto? Quanto se n’è parlato? Purtroppo, molto poco.
Eppure, mi ripetevo, non esiste protesta più sacrosanta; come per le migliaia di morti nel Mediterraneo, e la questione dei porti chiusi, perché non si riesce a scuotere l’opinione pubblica?
Abou insieme ad una trentina di altri braccianti ha protestato anche davanti alla prefettura di Foggia, annunciando altri scioperi e al momento in cui scrivo, dopo aver incontrato il premier Conte a Villa Pamphili, mancano soltanto pochi giorni agli Stati Popolari invocati proprio in risposta di quelli Generali tenutisi nel parco che si affaccia sulla Città Eterna dallo stesso Soumahoro. Istruito, eloquente, Abou è la voce degli oppressi, il loro leader.
Bene. Cioè, benino.
Abbiamo dunque bisogno di un leader. Carismatico, uomo, simbolo del Sud del Mondo, ma anche espressione di volontà e rivendicazioni assai diverse come quelle che saranno in piazza il 5 luglio—nelle parole di Abou, “i lavoratori della terra, i rider, i lavoratori manuali e cognitivi, i lavoratori della cultura e dell’informazione, i titolari di partita Iva, i pensionati, i disoccupati, i senza casa, gli studenti, i lavoratori della scuola e dell’università, i ricercatori, le nuove generazioni, i movimenti per la tutela e la salvaguardia dell’ambiente, i movimenti antirazzista ed antisessista, il movimento Lgbt (…).”
I braccianti della Florida
Quando abitavo negli Stati Uniti, ho avuto il privilegio diprender parte alle lotte della Coalition of Immokalee Workers, un’organizzazione di braccianti con base ad Immokalee, nel Sudovest della Florida, operante in diversi stati e oramai conosciuta in tutto il Paese. Come nel caso italiano, anche nell’agribusiness statunitense esiste il caporalato, e soprattutto,esiste un sistema di sfruttamento che ha profonde radici storico-sociali. Com’è noto, nel Sud degli Stati Uniti la manodopera era un tempo composta da schiavi neri. Dopo l’abolizione della schiavitù con il Tredicesimo Emendamento (1865), fatto questo meno conosciuto, in Florida come altrove continuò lo sfruttamento della manodopera nei campi, nelle foreste e nelle miniere in virtù del noleggio dei detenuti (“convict-leasesystem”), per lo più afroamericani che lavoravano in condizioni disumane, facilmente sostituibili quando crepavano. Fino alla sua abolizione nel 1923, questo sistema assicurò una forza-lavoro gratuita ai grandi latifondisti della Florida edell’Alabama. All’inizio del Novecento, il modello di coltivazione estensiva si impose e con esso la vendita di ingenti quantitativi di frutta e verdura nei mercati urbani e l’uso della refrigerazione, nonché la necessità di una manodopera itinerante composta di lavoratori che si spostassero con il raccolto. C’erano adesso anche bianchi poveri, afroamericani, a fianco dei nativi americani prima e degli immigrati (specie dal Messico edall’America Centrale) in seguito. Negli anni Trent,\a il settore agricolo fu escluso dal New Deal proprio a causa delle pressioni della lobby degli agricoltori che puntavano a tenere la manodopera precaria e sostituibile, motivo per cui tuttora i braccianti negli Stati Uniti non hanno diritto a sedersi al tavolo delle trattative come fanno i sindacati nazionali. Nel 1942, quando gli uomini erano oltreoceano a combattere, venne stabilito il Bracero Program, un sistema di importazione di “braccia” per l’appunto (in spagnolo “brazos”) dal Messico per sopperire alla scarsità di manodopera autoctona. Nel 1960, fecero infatti scandalo le condizioni dei lavoratori migranti esposte nel documentario della CBS a cura di Ed Murrow, Harvest of Shame. Il Bracero Program fu finalmente chiuso nel 1964 perché incoraggiava un sistema di sfruttamento. Il fallimento del programma, già sessant’anni fa, avrebbe dovuto insegnare, tra le altre cose, che legare il lavoro alla necessità estemporanea e trattare le persone come metonimie—la parte per il tutto—osservazione ripresa anche da Soumahoro nel suo appello per lo sciopero (“nelle campagne mancano i diritti non le braccia”), non porta a soluzioni socialmente vantaggiose né auspicabili. Trattare gli esseri umani come macchine, e non come soggetti sociali con desideri, aspirazioni e progetti di vita è sempre controproducente oltre ad essere eticamente dubbio.
Nonostante il lavoro della United Farm Workers di Cesar Chávez e dell’instancabile Dolores Huerta (concentrato però nel Sudovest del Paese), la situazione nei campi della Floridarimane negli anni ancorata ad un sistema di sfruttamento dei braccianti che continuano ad essere tra i lavoratori più poveri e con meno diritti. La CIW infatti sgomina, in collaborazione con la FBI, ben otto casi di vera e propria schiavitù moderna.
E nel 2020 i braccianti sono ritenuti lavoratori “essenziali,”eppure restano non protetti dalle istituzioni e falcidiati da un virus che impone la pratica del distanziamento sociale e dell’igiene in condizioni lavorative (si pensi solo al trasporto in autobus da e verso i campi) che li espongono costantemente al rischio di contagio. Nel Paese dove la solidarietà sociale non è faccenda di Stato, l’allarme, lanciato già il 3 aprile in un petizione lanciata dalla CIW e pubblicata dal New York Timesintitolato “Cosa succede se i 2.5 milioni di braccianti si ammalano?” resta inascoltato, ignorato dal Trumpianogovernatore della Florida, Ron De Sanctis.
La Coalition of Immokalee Workers come modello
La CIW nasce nei primi anni Novanta dall’esperienza di un gruppo di lavoratori provenienti dal Messico, Guatemala, Haititra cui Lucas Benitez e da una coppia di idealisti sognatori che in quei Paesi erano andati a studiare per capire come cambiare il Mondo: Laura Germino e Greg Asbed.
Prendendo spunto dalle forme organizzative haitiane e guatemalteche, la CIW adotta un modello di leadership orizzontale. Il motto è: Presa di Coscienza + Impegno= Cambiamento. I risultati sono stupefacenti. Coinvolge i braccianti, spesso migranti irregolari, dà loro un motivo per combattere, fornisce strumenti conoscitivi, sviluppa unacoscienza di classe. Ma coinvolge anche giovani, ambientalisti, studenti, creando la Student/Farmworker Alliance, un’organizzazione che ha formato generazioni di giovani attivisti negli Stati Uniti, grazie agli Encuetros annuali a Immokalee e partecipazione attiva alle campagne della CIW. Nasce l’Alliance for Fair Food, a cui col tempo hanno aderito personalità quali Zack de la Roca e il chitarrista Tom Morello dei Rage Against the Machine, così come componenti della famiglia Kennedy, numerosi ONG e gruppi religiosi—la Presbyterian Church (U.S.A), la Unitarian Church e via via altrechiese. Tra i suoi sostenitori, c’è lo stesso Bernie Sanders, che visitò la comunità di Immokalee nel 2007 e se ne fece portavocecome senatore indipendente del Vermont prima e come candidato alla Presidenza poi nel 2016 e nel 2020.
Una strategia comunicativa vincente
Soprattutto, la CIW ha saputo sfruttare una situazione di oggettiva assenza di diritti—nello specifico, l’impossibilità di creare un sindacato vero e proprio—a proprio vantaggio, e lo ha fatto grazie ad una brillante ed efficace strategia comunicativa.
I lavoratori hanno collettivamente scelto un simbolo, il pomodoro. Poi, si sono rivolti direttamente a coloro che hannooggi il potere di far cambiare le cose: i consumatori. Quindi, hanno chiesto loro un centesimo di dollaro in più per ogni secchio di pomodori raccolti, una cifra altrettanto simbolica, a dimostrare che davvero basta poco per migliorare la condizione dei lavoratori agricoli. Tale aumento del costo al dettaglio si traduce infatti nel raddoppio della paga dei braccianti. Hanno lavorato per creare conoscenza circa la responsabilità sociale della comunità dei consumatori, per esigere trasparenza e scelte etiche nella filiera agricola e alimentare. Sono così riusciti a portare al tavolo delle trattative le multinazionali, incluse le catene dei fast food, quali McDonalds, Burger King, YumBrands, Taco Bell e il colosso Wal-mart; lo hanno fatto esponendo il legame tra sfruttamento (e in alcuni casi di vera e propria schiavitù moderna) e raccolta dei pomodori (leggi, frutta e verdura in genere). Hanno evidenziato le contraddizioni e leipocrisie della grande distribuzione—come nel caso del colosso della catena dei supermercati, Publix, che ha una linea di “prodotti equi e solidali.” Hanno costruito una rete internazionale di alleati, portando avanti le proprie campagne nei campus universitari e mettendo in luce il continuum tra schiavitù e sfruttamento attraverso un innovativo museo itinerante (all’interno di un container che riproduceva le condizioni in cui un gruppo di braccianti si sono trovati a vivere in cattività tra una giornata di lavoro e l’altra). Insomma, hannopuntato sul potere decisionale dei consumatori e su un lavoro capillare di presa di coscienza delle condizioni lavorative dei braccianti da parte della cittadinanza. C’è voluto del tempo, ma le Cose stanno cambiando.
Anche nei campi d’America la manodopera è oramai quasi esclusivamente composta da immigrati. Eppure, la battaglia portata avanti dalla Coalizione of Immokalee Workers ha per anni evitato il “frame” dell’immigrazione, proprio perché troppo controverso. Si è concentrata sui fatti—sfruttamento e sicurezza sul luogo di lavoro, condizioni lavorative e abitative, diritti umani. Ha organizzato centinaia di dimostrazioni pratiche con studenti o congregazioni.
Prova ad alzare questo secchio pieno di pomodori? Un secchiodi pomodori raccolti vale 50 centesimi. Ecco, pensa di doverlo fare per 50 volte in un giorno per guadagnare una cifra decente.
In questo modo, la CIW è riuscita ad ottenere un cambiamento importante nel settore agricolo: i coltivatori che hanno firmato il Fair Food Code of Conduct sono tenuti, per esempio, a consentire il monitoraggio delle condizioni lavorative e sanitarie nei campi (inclusi quello sui troppi frequenti abusi sessuali ai danni delle lavoratrici) e ad usare un sistema di rilevamento elettronico delle ore effettivamente lavorate cosicché corrispondano ad un salario equo.
Hanno anche usato (con successo) l’arma del boicottaggio, ma solo nei confronti di Taco Bell—con la campagna del 2011 “Boycott the Bell,” appoggiata tra gli altri anche da Ricky Martin con il suo “People for Children.”
Anche gli intellettuali hanno fatto la loro parte. Il movimento Fair Food è cresciuto negli Stati Uniti perché giornalisti e scrittori come Raj Patel, Tom Philpott e Eric Schlosser o editori come Katrina Van Heuvel (The Nation) si sono mobilitati a sostegno della CIW.
Sì se puede
A Villa Pamphili, Abou ha anche presentato a Conte la bella idea della patente del cibo. È notizia di ieri (30 giugno) che Slow Food Piemonte aderisce all’appello “Per una stagione di dignità,” un importante passo nella direzione giusta. Anche in Italia serve un movimento allargato che imponga trasparenza nella filiera agricola e alimentare. Ma è possibile pensare di scuotere le coscienze parlando di diritti umani dopo la normalizzazione delle migliaia di morti nel Mediterraneo?
Per me, conoscere il lavoro fatto dalla Coalition of ImmokaleeWorkers ha significato vedere come un’agguerrita minoranza sia in grado di mobilitare e cambiare davvero le Cose.
Per far ciò, in Italia come altrove, occorre internazionalizzare le lotte, condividere pratiche e conoscenze. L’emergenza del COVID-19 ci ha fatto sperimentare cosa significhi non fare tesoro delle esperienze degli altri Paesi, e Paesi come gli Stati Uniti e il Brasile ne stanno scontando le conseguenze.
Eppure, se Trump si avvia ad una probabile vittoria per un secondo mandato nonostante la gestione suicida dell’emergenza del virus, lo deve anche alla mancata internazionalizzazione delle lotte progressiste. A differenza del populismo e dei nuovi fascismi, come ha fatto notare di recente Naomi Klein, il fronte progressista sta pagando il lento venir meno di uno spazio (anche fisico) per la condivisione di tali conoscenze e pratiche: quello che per qualche anno ha rappresentato il World Social Forum.
Per questo, nonostante siamo oggi tutti connessi e social e in teoria mai così vicini virtualmente, penso che Abou non conoscala CIW, ed è un vero peccato.