Sono sempre più arrabbiata

Intervista con Alex Kane, Traduzione di Giovanni Pillonca
Pubblichiamo l’intervista di Alex Kane ad Amira Hass, uscita sulla Newsletter di Jewish Currents, con il titolo “Amira is Still Angry”, il 18 aprile scorso. Jewish Currents, che ringraziamo per aver concesso la liberatoria, è una rivista con cartaceo trimestrale e una sua pagina in rete – https://jewishcurrents.org/ – continuamente aggiornata su un ampio raggio di argomenti e problemi e con un suo approfondimento permanente sul capitolo Israele/Palestina. Non si è lontani dal vero a definire questa pubblicazione come il principale forum di informazione e discussione dell’ebraismo progressista americano sulle principali problematiche che interessano l’ebraismo oggi (G.P.)
Ebrea israeliana, Amira Hass ha vissuto a Gaza dal 1993 al 1997 e da allora nella città di Ramallah in Cisgiordania. È l’autrice del libro Drinking the Sea at Gaza: Days and Nights in a Land Under Siege e ha scritto innumerevoli denunce sul governo militare di Israele e sul suo progetto di insediamento. Negli ultimi mesi, Hass ha spiegato perché la moschea di Al-Aqsa è così importante per i palestinesi, ha riferito dell’uccisione da parte dell’esercito israeliano di una donna palestinese di 61 anni a Jenin ed ha denunciato la riluttanza dell’Autorità palestinese a proteggere i palestinesi dagli attacchi dei coloni. Mentre il governo israeliano di estrema destra espande gli insediamenti, intensifica la violenza militare contro i palestinesi e tenta di frenare il potere del sistema giudiziario, volevo sentire da Hass come vede questi sviluppi nella politica israeliana e palestinese (A.K.).
Cosa pensi delle proteste israeliane contro il progetto di revisione legislativa? Pensi che ci sia la possibilità che queste proteste possano avere un impatto sulla consapevolezza generale riguardo all’occupazione militare israeliana?
La proposta di revisione è davvero allarmante e spaventosa. Influirà negativamente su molti settori della società israeliana: lavoratori, donne, comunità LGBTQ, anziani. E ridurrà la libertà di espressione e la libertà di organizzazione. Le decine di migliaia di ebrei israeliani che protestano hanno tutte le ragioni per opporsi, poiché sanno per certo che la loro vita agiata in una democrazia ebraica liberale economicamente fiorente per gli ebrei è in pericolo.
Sottolineo la frase “democrazia per gli ebrei”: è stupefacente vedere come la grande maggioranza dei manifestanti non veda l’evidente legame e continuità tra la dittatura militare israeliana sui palestinesi nei territori occupati, che esiste da quasi sei decenni, e gli elementi fondamentali della revisione legislativa. Per metà della popolazione che vive tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo – i palestinesi – lo Stato non è mai stato democratico. Inoltre, importanti figure tra coloro che manifestano sono tra quelli che hanno modellato e mantenuto questa dittatura militare e ora temono che l’indebolimento dell’attuale sistema giudiziario li esporrà a cause legali all’estero.Cause che avevano precedentemente evitato perché il mondo pensava che tutto fosse supervisionato e monitorato dall’autorità indipendente dei tribunali israeliani.
Ma, come donna di sinistra, credo nel potenziale educativo e radicalizzante delle proteste civili e credo che il nostro ruolo sociale e politico come militanti di sinistra sia quello di contribuire a questo processo con la nostra partecipazione critica e diversa. La radicalizzazione può avvenire sia nel discorso che nell’attivismo. Ad esempio, durante le cosiddette manifestazioni di Balfour (la residenza di Netanyahu) nel 2020 e nel 2021 [che portarono alla caduta del suo governo, senza la quali non si spiega la straordinaria partecipazione a quelle attualmente in corso, ndt], alcuni attivisti di sinistra sono riusciti a coinvolgere alcuni dei principali manifestanti ad essere attivi nel movimento contro l’occupazione, ad esempio accompagnando regolarmente i contadini palestinesi per proteggerli dalla violenza dei coloni. Nelle manifestazioni di oggi, gli attivisti Mizrahi di sinistra del Collettivo civico Mizrahi hanno pubblicato una piattaforma che denuncia la proposta revisione legislativa neoliberista e autoritaria e allo stesso tempo rivela i difetti intrinseci del “vecchio regime”. In tutte le città, la sinistra forma un blocco a sé stante, portando la bandiera palestinese e scandendo slogan come “non c’è democrazia con l’occupazione”. Così si ha la possibilità di essere ascoltati dagli altri, di essere presi in considerazione dai leader emergenti. Inoltre, la natura del think tank di destra Kohelet Policy Forum, finanziato da miliardari ebrei americani e fortemente sostenuto dalla lobby dei coloni, è stata smascherata, condannata e ridicolizzata durante le proteste, che hanno accentuato e riproposto vecchi concetti di base di Israele come società dello stato sociale.
Anche se la maggioranza dei manifestanti non vede la contraddizione tra uno stato ebraico e la democrazia, e probabilmente non la vedrà per molti anni, la loro determinazione a fermare la nuova legislazione serve indirettamente una causa più grande della conservazione della loro vita agiata. I palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde non saranno risparmiati dalle modifiche legislative. Al contrario, sono i primi e immediati obiettivi di questa proposta di legge. È un tentativo sfrontato di garantire il dominio dell’estrema destra per molti anni, i cui fautori apertamente sostengono la ripetizione del 1948 e l’espulsione di massa dei palestinesi come “soluzione”. Il successo nell’approvazione di questa legislazione li incoraggerà a portare avanti i loro piani anti-palestinesi.
Questo nuovo governo israeliano rappresenta una rottura radicale rispetto ai governi passati?
La risposta è sì e no allo stesso tempo. Ovviamente, per le ragioni che ho menzionato, la maggior parte dei manifestanti la vede come una rottura radicale, mentre noi di sinistra, e certamente i palestinesi, vediamo come la logica del nazionalismo ebraico, della superiorità e del militarismo si stia estendendo ancora di più lungo linee pre-esistenti. Ma possiamo dire questo di tanti regimi: il fascismo non ha estremizzato alcune componenti basilari del capitalismo? La Russia sovietica non ha perpetuato alcuni tratti della Russia zarista? C’è una differenza tra un sistema imperfetto – anche un sistema molto, molto imperfetto – che ha ancora meccanismi per proteggere le persone che sono “altri” (mi astengo dall’usare il termine “minoranza”, specialmente quando si tratta di palestinesi) e un sistema che non riconosce nemmeno che essi hanno diritti.
In Cisgiordania c’è stato un aumento degli attacchi violenti contro gli israeliani rispetto agli anni precedenti. Come lo si spiega?
Nutro delle riserve rispetto a questa domanda. Quando il nostro punto di partenza è il discorso sulla violenza palestinese, è come se accettassimo che l’occupazione sia la norma, e che gli scomodi palestinesi siano giunti ad interferire con essa. La responsabilità della violenza è quindi addossata ai palestinesi. Ma su base permanente, Israele continua a confiscare la terra, a demolire le case dei palestinesi, a irrompere nelle case, a intromettersi nell’attività economica, a proibire la costruzione e lo sviluppo, a isolare Gaza e a scollegarla dal resto del mondo, e a impedire la libertà di movimento dei palestinesi – tutte azioni molto violente e sistemiche portate avanti dallo Stato. Non hai iniziato chiedendomi se c’è un picco nella violenza burocratica israeliana contro i palestinesi. Quindi diciamo in primo luogo che Israele continua con questa situazione anormale di dominare ogni aspetto della vita palestinese. Alcuni palestinesi poi esprimono la loro disperazione imbracciando le armi in forme diverse. Alcuni prendono le armi solo all’interno delle loro città quando l’esercito israeliano invade. Alcuni compiono attacchi di lupi solitari contro gli israeliani. Sì, c’è un aumento, ma riflette un aumento della disperazione della gente.
Allo stesso tempo, è importante notare che rispetto alla portata della violenza israeliana contro i palestinesi, pochissimi palestinesi ricorrono all’uso delle armi e all’uccisione di civili israeliani. Tuttavia, c’è un grande sostegno per i gruppi armati perché le persone sentono che riflettono i loro sentimenti di rabbia e il desiderio di vendicarsi. Coloro che affermano che questo libererà la Palestina stanno ingannando se stessi e gli altri, ma tutti gli altri modi di lotta sono totalmente falliti: lotta popolare disarmata, diplomazia e azioni legali.
Il mese scorso, la Knesset ha approvato una legge che abroga parti della legge del 2005 che vietava agli israeliani di vivere in quattro insediamenti della Cisgiordania settentrionale. Ciò ha causato una disputa diplomatica con gli Stati Uniti, perché l’ex primo ministro israeliano Ariel Sharon aveva promesso all’amministrazione Bush che Israele avrebbe abbandonato questi insediamenti, e ora il governo sta tornando su quell’impegno. Qual è il significato di questo sviluppo?
Il cambiamento può effettivamente riflettere la mancanza di rispetto nei confronti di un’intesa con gli Stati Uniti, ma non riflette un cambiamento radicale sul campo. Dal 2005, la terra che è stata evacuata non è stata restituita ai palestinesi. E per tutto il tempo ci sono state delegazioni di coloni che hanno compiuto provocazioni in queste aree, costringendo l’esercito a proteggerle e causando danni ai residenti palestinesi. L’ex insediamento di Homesh si trova su un terreno agricolo privato di palestinesi dei due villaggi vicini. Non sono stati autorizzati a tornare a lavorare le loro terre, nonostante una sentenza dell’Alta Corte che stabilisce invece che dovrebbero esserlo. Inoltre, ai palestinesi non è stato permesso di utilizzare la terra negli altri tre insediamenti evacuati. Sono stati classificati come “Area C”, che è sotto il pieno controllo amministrativo israeliano e non consente ai palestinesi di utilizzare i terreni. Questo segnalava già che l’evacuazione dei quattro insediamenti era solo temporanea, che era reversibile. Se Israele avesse davvero inteso portare a termine l’evacuazione degli insediamenti, non avrebbe impedito agli abitanti dei villaggi palestinesi e all’Autorità palestinese di utilizzare le aree. Ecco perché non sono rimasta molto sorpresa.
La revoca dice che gli accordi internazionali non sono sacri per gli israeliani. Ancora una volta, questo non è nuovo; Israele prende tutto quello che gli fa comodo dagli Accordi di Oslo, e butta via tutto il resto. Il pericolo è che dà più potere ai coloni e a persone come i ministri di estrema destra Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir.
Dal momento che vivi a Ramallah, hai una visione molto da vicino di ciò che sta accadendo in Cisgiordania. Qual è lo stato dell’Autorità palestinese in questo momento?
È patetico e tragico. È importante dire che anche la leadership più pulita, creativa e democratica non sarebbe stata in grado di resistere alla sofisticatissima guerra di logoramento di Israele contro i palestinesi. Non è per la natura dell’Autorità Palestinese che Israele riesce a fare quello che fa. Ma una lotta ha bisogno della fiducia del popolo nella leadership e nelle sue intenzioni, cosa che non esiste. Il corpo politico palestinese è smembrato. L’ANP non permette lo sviluppo di alcun nuovo modo di pensare o di nuove strategie per affrontare Israele. Mahmoud Abbas, il presidente dell’AP, è riuscito a creare un regime molto autoritario in cui lui e un gruppo intorno a lui decidono tutto. Non c’è un parlamento. Le persone hanno sempre più paura di parlare. La magistratura è sotto il controllo di Fatah e degli uomini di Abbas. L’Autorità Palestinese continua il coordinamento della sicurezza con Israele e arresta gli oppositori politici, ma non cerca di proteggere il proprio popolo dalla violenza dei coloni e non rispetta gli accordi con uno dei settori più importanti della società palestinese: gli insegnanti che sono in sciopero da quasi due anni. mesi e mezzo.
I sondaggi mostrano che l’Autorità Palestinese non è rispettata – ed è, anzi, odiata – dalla gente. E poi Israele continua a rubare denaro dalle entrate dell’AP, quindi l’AP non può nemmeno materializzare alcuni dei loro piani e pagare gli stipendi, che è il minimo che le persone si aspettano che facciano. È una situazione davvero disperata.
Passi quasi tutto il tuo tempo a scrivere sull’occupazione. Come fai a mantenere intatta la tua indignazione contro la violenza di routine dell’occupazione? La tua rabbia si attenua mai?
Al contrario, sono sempre più arrabbiata. Continua a farmi impazzire. Ho appena scritto su una famiglia palestinese a Gerusalemme Est che sarà sfrattata a causa di una delle leggi razziste che obbliga il governo israeliano a rilevare edifici che erano di proprietà di ebrei prima del 1948 e passarli ora in mani ebraiche. Allo stesso tempo, non consente ai palestinesi che sono gerosolimitani di riavere le loro proprietà precedenti al 1948 a Gerusalemme ovest. Ad ogni frase che scrivevo, sentivo la mia rabbia crescere. Vivo tra le persone che sono l’obiettivo quotidiano della violenza israeliana, quindi come potrebbe la mia rabbia affievolirsi? Vedo come la mia vita sia comoda e sicura rispetto a quella di ogni palestinese. Tutti i miei amici sono bersaglio di violenze burocratiche e militari. Io ho libertà di movimento e posso andare a Gerusalemme quando voglio, ma alla maggior parte dei miei amici qui in Cisgiordania non è consentito. La città dista circa 15 chilometri. Per non parlare dei miei amici che sono incarcerati a Gaza, tra i due milioni di abitanti di Gaza. Mi fa arrabbiare solo parlarne.