Sembrare va quasi bene come essere, a volte
di John Ashbery
a cura di damiano abeni e Moira Egan
John Ashbery è scomparso il 3 settembre 2017. Aveva compiuto 90 anni il 28 luglio. Del suo ultimo libro, Commotion of the Birds (Ecco 2016), Ben Lerner ha detto: “La scrittura di John Ashbery ha sempre trattato in modo profondo del tempo (quale poesia non ne tratta?), ma le poesie più recenti affrontano il tema della tarda età – ‘la vita è una storia breve breve’; ‘i saldi pantagruelici sono finiti’; ‘ne abbiamo avuto tutti / a sufficienza, in gioventù’ – in modi alquanto variati. La magnifica Strepito degli uccelli guarda all’indietro dalla ‘luce vivida dell’oggi’ a secoli di innovazione e tradizione artistica, risultando allo stesso tempo una parodia dei periodi accademici e artistici ma anche uno stupendo distillato degli stessi. Penso che la si possa classificare tra le sue poesie migliori, ma cosa importano le classifiche: se, a quasi novant’anni, Ashbery guarda all’indietro, lo fa perché si trova più avanti di noi”. Abbiamo scelto un verso del “title-poem” della sua più recente raccolta come titolo a questa minima silloge. In questa riga, leggerezza e pesantezza sono perfettamente bilanciate in purissimo stile ashberiano. John ci consente di sorridere, godendoci la beffarda ironia di “quasi” e “a volte”, e allo stesso tempo ci incupisce facendoci pensare alla nostra era narcisistica di fakeness e gratificazione istantanea insinuando in noi l’idea che forse, forse forse, ci stia dicendo che la “Civiltà” Occidentale è condannata. E qualsiasi interpretazione scegliamo, avremo allo stesso tempo ragione e torto, come succede quando si cade nella magnifica ragnatela di Ashbery. Strepito degli uccelli è apparsa su “Le parole e le cose” in occasione del novantesimo compleanno di Ashbery. Le altre poesie vengono da Shadow Train (1981), raccolta che – se non per Paradossi e Ossimori, già apparsa per Luca Sossella Editore nel 2008 – è praticamente sconosciuta in Italia.
Strepito di uccelli
Scorriamo rapidi attraverso il diciassettesimo secolo.
L’ultima parte è ok, molto più moderna
della prima. Adesso c’è la Commedia della Restaurazione.
Webster e Shakespeare e Corneille erano ok
per il loro tempo ma non moderni abbastanza,
per quanto un passo avanti rispetto al sedicesimo secolo
di Enrico VIII, Lasso e Petrus Christus, che, paradossalmente
sembrano più moderni dei loro immediati successori,
Tyndale, Moroni e Luca Marenzio tra gli altri.
Spesso è questione di sembrare piuttosto che essere moderni.
Sembrare va quasi bene come essere, a volte,
e ogni tanto va altrettanto bene. Che possa essere anche meglio
è questione che sarebbe opportuno lasciare ai filosofi
e ad altri della loro schiatta, che sanno le cose
in un modo che per gli altri è impossibile, anche se le cose
sono quasi le stesse cose che sappiamo noi.
Sappiamo, ad esempio, che Carissimi ha influenzato Charpentier,
ha misurato le proposizioni attaccandogli in coda un loop
che riporta le cose all’inizio, solo un po’
più in alto. Il loop è italiano,
importato alla corte di Francia e dapprima disprezzato,
poi accettato senza alcuna menzione della sua
origine, come i francesi sono avvezzi a fare.
Può essere che alcuni lo riconoscano
nella sua nuova veste – che può essere rimandata
a un altro secolo, quando gli storici sosterranno
che tutto è accaduto normalmente, come risultato della storia.
(Il barocco ha un modo tutto suo di rovinarci addosso,
quando pensavamo di averlo chiuso per bene nell’armadio.
Il classico lo ignora, o lo tollera blandamente.
Ha altro per la testa, di minor rilevanza,
si viene a sapere). Nondimeno, facciamo bene a crescerci insieme,
pregustando impazienti il modernismo, quando
tutto andrà per il meglio, chissà come e perché.
Fino ad allora è meglio abbandonare i nostri gusti
a qualsiasi cosa ci sembri adatta a loro: questa scarpa,
quella cinghia, un giorno giungeranno a sembrarci utili
quando la presenza pensosa del modernismo si sarà installata
dappertutto, come le planimetrie scartate di un progetto architettoni
Paradossi e ossimori
Questa poesia si occupa del linguaggio a un livello alquanto piano.
Guardala che ti parla. Guardi da una finestra
o affetti irrequietezza. La sai ma non la sai.
Ti manca, la manchi, le manchi, ti manca. Vi mancate a vicenda.
La poesia è triste perché vuole essere tua, e non può.
Cos’è un livello piano? È quella cosa e altre,
e ne mette in gioco un sistema. Gioco?
Beh, di fatto, sì, ma io ritengo che il gioco sia
una più profonda cosa esterna, un modello di ruolo sognato,
come nella ripartizione della grazia queste lunghe giornate agostane
senza dimostrazione. A finale aperto. E prima che te ne accorga
si perde nel vapore e nel cicaleccio della macchina da scrivere.
È stata giocata un’altra volta. Penso tu esista solo
per tormentarmi a farlo, al tuo livello, e poi tu non ci sei
o hai adottato un atteggiamento diverso. E la poesia
mi ha deposto dolcemente accanto a te. La poesia è te.
Americani sbronzi
Ho visto il riflesso nello specchio
e non conta, o non abbastanza
da fare differenza, costruendosi
dall’antica luce media di una cittadina universitaria,
e dopo, quando la corsa sull’autobus
mi ha svuotato la tasca dei suoi pochi centesimi
lo si è visto che discuteva oltre il vetro appannato,
con un padrone invisibile. E se non puoi possedere
neanche questo? Perché pare che tutti
gli attimi siano come questo: smilzi, deludenti
come pappa d’avena, sempre più consunti ogni volta che torni loro.
Finché un giorno non strappi la tela dalla cornice
e te la porti a casa. Pensi che l’assertività
data-da-dio in te abbia trionfato
sullo spinoso scenario: questi oggetti sono reali come carne,
come lacrime. Siamo tutti insudiciati da questo desiderio,
[all’ultimo momento, l’ultimo.
Scritta al buio
Dirlo cinque, sei, sette volte al giorno,
dirlo come fosse una favola ignota a tutti,
dirlo come una profezia avveratasi da poco,
come ieri pomeriggio, così recente che ancora non sembra
sia successo… Tutti questi, e altri, erano aspetti
che il nostro amore assumeva per assomigliare a una religione di stato,
alla sapienza politica. Un gran peccato che le due mani
allacciate tra di noi ci manchino nella loro concretezza,
che abbiamo bisogno di slogan per trasformare tutto in stendardi
d’autunno che sventolano, nel fremito di bronzee foglie di rovere, in una superficie
intensa e inquisitoria come quella del mare. Noi restavamo a casa.
Bevevamo vino da tavola, giallo e poi viola, color assenzio,
colore del rumore d’onde che spazzano una spiaggia piatta
più su di prima, prendendosi maggiori libertà in nome
della libertà. Ma non dovrebbe. Non vedi come possono esserci
eccezioni, anche a questo, questo firmamento, questa misericordia che è casa?
Vita notturna
Pensavo fossi tu ma non ne ero sicuro.
Così difficile. Lavorare con la gente, vuoi piacere
a tutti e che tutti siano contenti, ma intralciano
le loro stesse predilezioni, è come un masso
che blocca la bocca di un antro. E quando dici: dai,
comportiamoci da individui inebriati dalla nostra separazione, ma legati
insieme per i capelli, come rami, allora è ok
scendere di notte in giardino a fumare sigarette
se non che niente si preoccupa degli ostacoli, della gravità
che devi vincere per raggiungere questo stadio obiettivamente
scialbo nella catena di allucinazioni che portano alla tua libertà,
e questa è solo un’altra allucinazione? Eppure mi piace come
sono raccolti i tuoi capelli, è importante, il profumo rauco
che si libera dalla tua voce, quando ho parlato troppo
al telefono, rivolto al traffico del mio balcone
di nuovo, lanciato lontano sul ghiaccio sottile non appena comincia a sorridere.
Treno ombra
Violenza: con che naturalezza è venuta
e con che naturalezza ti ha preso con sé
a volere ciò che nondimeno non volevi.
È finita, se non vediamo il vero in quel significato.
Volere è essere migliori di prima. Desiderare
il proibito è permesso. Ma desiderarlo
e non volerlo è biascicarne il nome come uno straccio.
A quel fine, la banana fa uno shake sul picciolo,
ma la fragola è liquida e fresca, nota
arrotondata sulla scala discendente, fotografia
di uno che sorride a un funerale. I piumaggi
dello scacciamosche dinastico incombono quotidianamente
sulle nostre teste, alti perfino come nubi. Chi può dire
cosa vuol dire, o se protegge? Eppure è palese
che la storia si limita a stiracchiare l’oggi nel guignol privato di ciascuno.
La violenza sogna. Tu ti sei mezzo addormentato al bancone di lavoro.