Scout, coraggio!
“Bambini vestiti da cretini, guidati da cretini vestiti da bambini”. Questa sarcastica definizione degli scout ha oltre cinquant’anni, ma riesce ancora a cogliere una delle principali ragioni di successo dello scautismo.
Impegnarsi senza prendersi sul serio, educare alla partecipazione con il gioco e offrire ai giovani esperienze di protagonismo, solidarietà e responsabilità. Oggi ci sono oltre 38 milioni di persone che in 216 paesi e territori del mondo si richiamano alle intuizioni educative di Baden Powell. In Italia la principale associazione scout è l’Agesci, con oltre 175.000 associati.
“Ma dove sono?” Si interrogava Adista, storica agenzia del dissenso cattolico, in un articolo del 1975: “La loro formazione sorridente e leale non è scandalo per nessuno. Essere scout ed essere simpatizzante di Lotta Continua, non è lo stesso che essere scout e aver simpatia per la sinistra DC. Come fa l’Agesci a tenere insieme queste anime politiche diverse?”
Quesiti che ci si potrebbe porre ancora oggi, riscontrando un passato scout in persone dalla appartenenza politica e dalla militanza più disparata e disomogenea. Forse è proprio il pensiero pedagogico di Baden Powell il segreto, capace di accompagnare senza indottrinare e formare senza uniformare diverse generazioni di ‘buoni cittadini’.
In occasione della Route nazionale, 30.000 scout della Branca Rover/Scolte (giovani dai 16 e i 21 anni) si sono incontrati a San Rossore (Pisa) dal 7 al 10 agosto, dopo aver percorso divisi in 456 “Clan di formazione” strade e sentieri in tutte le regioni d’Italia. Il parco naturale di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli è stato invaso per quattro giorni a impatto zero, nonostante le polemiche e il terrore diffuso da alcuni esponenti dell’ambientalimo locale, rendendo la strada che lo attraversa in mezzo ai pini marittimi un continuo corteo di sorrisi, abbracci e folklore. Non solo tanto, inevitabile e sano casino, ma anche centinaia di laboratori e tavole rotonde, veglie e testimonianze, discussioni e momenti di formazione.
Per l’Agesci è il terzo incontro nazionale di questo genere, dopo quello della Mandria (Piemonte, 1975) e dei Piani di Pezza (Abruzzo, 1986). Stando agli organizzatori e ai partecipanti, l’intento non voleva essere quello di contarsi, fomentarsi o peggio lasciarsi strumentalizzare dalla visita di qualche esponente politico assetato di consenso, come è potuto sembrare dall’esterno. Scopo della Route voleva essere piuttosto quello di scommettere sulla capacità dei giovani partecipanti di autodeterminarsi, confrontarsi e scegliere autonomamente e collettivamente su quali priorità basare il proprio impegno sul territorio.
“Ask the boy. Quando siete incerti circa il modo migliore per trattare col ragazzo ai fini della sua formazione, risparmierete tempo, preoccupazioni, pensieri e vista se, invece di studiare trattati di psicologia, consulterete la migliore autorità sull’argomento, ossia il ragazzo stesso.”
Sembra pedagogia libertaria ma è il pensiero di Baden Powell, raccolto dalla Headquarters Gazette dell’ottobre 1922. Così l’Agesci, da anni restia nel prendere posizioni scomode su temi di attualità e debole nel produrre pensiero originale, decide di ripartire da questa trovata pedagogicamente sovversiva. A rivendicare questa scelta, nell’ambito del Consiglio generale di maggio 2014, è Marilina Laforgia, presidente del Comitato nazionale: “Abbiamo veramente perso lo slancio profetico che pure riconosciamo come nostra peculiarità e, soprattutto, riconosciamo spesso in alcuni tratti della nostra storia? (…) Se è vero che non abbiamo perso il nostro carattere distintivo e peculiare, il cuore del nostro credo pedagogico che è l’ask the boy, allora non possiamo aver perso la capacità profetica, perché la nostra profezia è lì; per essa abbiamo sempre e soltanto attinto alla vicinanza ai ragazzi, alla capacità di domanda e di ascolto vissuta dentro la relazione educativa. Se ce l’abbiamo ancora – e ce l’abbiamo – allora non abbiamo perso lo sguardo profetico”.
Ognuno dei Clan di formazione presenti alla Route nazionale ha eletto un suo rappresentante al “Consiglio nazionale RS”, il parlamento che al campo fisso di San Rossore ha lavorato – dividendosi in gruppi tematici e procedendo con il metodo della scrittura collettiva della scuola di Barbiana – alla stesura della “Carta del coraggio”.
Di questo manifesto ricco di analisi, proposte e dichiarazioni di intenti, hanno fatto notizia le parti che si rivolgono senza timori reverenziali allo Stato e alle alte sfere della Chiesa, istituzioni nelle quali questi giovani non rinunciano a credere.
La Carta del coraggio è disponibile online (http://goo.gl/xGnzZf) e raccoglie istanze e punti di vista politicamente ed ecclesialmente poco rappresentati e storicamente minoritari.
L’idea di cambiamento mostrata dai giovani scout nella Carta ha turbato quelli che don Tonino Bello definiva “notai dello status quo”, presenti anche all’interno dell’Agesci. Le proposte avanzate richiedono una radicale inversione di rotta nella gestione del bene comune, in larga parte differente da quella tracciata dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, presente alla cerimonia finale, che persiste impunemente nell’esibire con disinvoltura il suo passato scout, anche grazie alla discutibile e malcelata complicità di parte dei vertici associativi.
Volendo fare un elenco parziale, nel loro documento i giovani chiedono alla politica l’immediata chiusura dei Cie, l’apertura di canali umanitari per garantire accoglienza a chi cerca una vita migliore, la garanzia della cittadinanza per chi nasce in Italia, investimenti sulla scuola, incentivi al consumo critico e all’utilizzo di energie pulite, drastica riduzione delle spese militari, applicazione di pene alternative e agevolazione del reinserimento sociale per i detenuti, accellerazione nel riconoscimento giuridico delle coppie di fatto e delle unioni omosessuali.
Hanno inoltre fatto scalpore, scandalizzando sedicenti cattolici tradizionalisti e preconciliari, le richieste da parte di questi giovani che, sentendosi parte attiva della Chiesa, auspicano da parte della gerarchia l’allargamento del concetto di famiglia a “qualunque nucleo di rapporti basati sull’amore e sul rispetto”, che comprende conviventi, relazioni omosessuali ma anche divorziati risposati. All’istituzione ecclesiastica viene chiesta una “maggiore fiducia” nei laici, un ruolo maggiore delle donne e disponibilità a “mettersi in discussione” e “accogliere e non solo tollerare qualsiasi scelta di vita guidata dall’amore”.
L’elemento di novità non è solo la radicalità di queste e altre rivendicazioni, per altro perfettamente in linea con i principi del Patto associativo e del Regolamento metodologico Agesci, ma il loro nascere da percorsi di conoscenza ed esperienza diretta sul territorio. La Carta del coraggio accompagna a ogni critica una proposta e una dichiarazione di impegno concreto e diretto, autonomo e non meramente assistenziale.
Questo in sintesi il risultato di quella che il sociologo Marco Marzano evidenzia essere “una trama collettiva, un delizioso frutto democratico, non il prodotto dell’intelligenza di uno solo, non l’emanazione del carisma di un eletto, di un duce grande o piccoletto.”
Agli osservatori esterni che in questi mesi hanno avanzato dubbi circa la validità e il senso di un processo dove gli adulti sembrerebbero rinunciare al loro ruolo educativo, rispondono gli “Incaricati e assistente ecclesiastico nazionali alla branca rover e scolte” Elena Bonetti, Sergio Bottiglioni e padre Giovanni Gallo, nell’introduzione ufficiale al documento: “Non si legga la Carta come un mero esercizio di flusso di coscienza dei giovani, libero e decontestualizzato da ogni relazione educativa, pensando ad adulti assenti e neutrali. La Carta del coraggio è invece l’espressione del pensiero autentico dei Rover e delle Scolte, nei contenuti e nei modi con cui è stato scritto e maturato all’interno di un’esperienza educativa svolta nella relazione con gli adulti.”
Una lezione esplicita di come l’educazione si può e forse si deve giocare soprattutto da parte dell’educatore nella capacità di mettersi da parte per permettere che l’autenticità dei ragazzi si liberi, favorendo che la verità dei giovani venga scritta e dichiarata, affinché in quella verità si possa “manifestare la bellezza di quello che sono e la bontà di quello che sapranno essere”.
Fuori dall’analisi di quello che è stato un momento, per molti versi riuscito, di vita associativa, provo a passare in rassegna alcuni quesiti irrisolti che, a mio modo di vedere, rispecchiano i punti deboli di un’associazione vasta e variegata come l’Agesci, che mi sento di criticare con l’affetto di chi ne fa parte.
Quanto riescono davvero, i gruppi sul territorio, a uscire dalle sedi e mischiarsi al tessuto della società civile?
Come evitare che tanti politicanti a livello locale e nazionale strumentalizzino lo scautismo o facciano strumentalizzare dai media il loro passato associativo?
Ernesto Balducci scriveva: “Gli oppressori staranno tanto più in pace quanto gli uomini saranno adeguati al mondo, mentre saranno tanto più preoccupati quanto più uomini si interrogheranno sul mondo”, Paulo Freire ricordava agli insegnanti: “Quando stai andando a scuola interrogati su di te, e se pensi ancora di trasformare il mondo. Perché se così non fosse torna a casa: non avresti niente da dire ai tuoi ragazzi.”
Riescono i capi scout a essere testimoni credibili di strade alternative o sono perfettamente integrati nell’attuale idolatrico e pervasivo sistema economico, culturale e sociale? Riusciamo a seminare le giuste domande, quelle che liberano le coscienze rendendole scomode, o più spesso cerchiamo la facile gratificazione data dall’offrire risposte preconfezionate e rassicuranti che tranquillizzino e confortino i ragazzi?
Alex Zanotelli critica alle comunità ecclesiali di non essere, come i cristiani dei primi secoli, “esempi di vita alternativa”. Oggi siamo perfettamente intergrati, pur vivendo in quello che Papa Francesco definisce un sistema di peccato strutturale. Cosa cerchiamo di fare per uscire da queste contraddizioni in parte inevitabili? Ci muoviamo da soli o proviamo a fare rete con altre realtà attive in questa direzione?
Nel Patto associativo si legge: “Ci impegniamo a spenderci particolarmente là dove esistono situazioni di marginalità e sfruttamento”. Quanti gruppi fanno attenzione davvero a privilegiare la presenza di bambini e ragazzi “a rischio” e si impegnano a strutturare prioritariamente percorsi educativi non escludenti?
Quanto sono in grado, i gruppi in zone “di frontiera”, di rispecchiare fedelmente il territorio dove operano? Quale spazio c’è, per i migranti, nelle nostre comunità?
Invitando alla consapevolezza nell’impegno, Mauro Armanino, missionario Sma, ricorda: “Se il tipo di servizio che facciamo e viene proposto ai ragazzi non ci trasforma vuol dire che è un palliativo, utile solo a mantenere tranquilla la nostra coscienza”. Il servizio, fatto sperimentare e proposto come scelta e stile di vita agli scout, come cambia il modo con cui gestiamo tempo e denaro, le scelte di studio e lavoro, le amicizie e le relazioni?
Queste sono alcune delle riflessioni e autocritiche che circolano in Agesci, ma spero possano offrire spunti di riflessione utili per educatori e operatori sociali di altri ambienti che vogliano confrontarsi su pratiche ed esperienze educative e di intervento sociale che mirino a umanizzare il mondo.