Sahara occidentale: una terra contesa ancora per molto?

Tra l’ottobre e il dicembre 2020 la “questione del Sahara occidentale” è tornata a farsi sentire. Si tratta di un conflitto “dimenticato” – iniziato nel lontano 1975, ma ancora insoluto – e “congelato” dal 1991, anno della firma del cessate-il-fuoco tra i due belligeranti: l’esercito marocchino e il movimento indipendentista della popolazione autoctona sahrawi. Una controversia che è legata a una zona ricca di risorse naturali e che affonda le sue radici nelle principali fasi della storia contemporanea del secolo scorso: il processo di decolonizzazione dell’Africa, le contrapposizioni internazionali della Guerra fredda, le passioni, le lotte e i patimenti dei movimenti terzomondisti. La più evidente conseguenza del perdurare di questa condizione di irresolutezza è l’assenza di relazioni tra i due “giganti del Maghreb”, il Marocco e l’Algeria (quest’ultima sostenitrice da sempre del “diritto all’autodeterminazione” dei sahrawi). L’inimicizia tra due dei “fratelli maghrebini” impedisce la piena realizzazione dell’Unione del Maghreb arabo, un sicuro volano allo sviluppo dei cinque paesi che ne fanno parte (Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia).
Il territorio in questione (266mila km2 per 500mila abitanti circa) si trova lungo la costa atlantica a sud del Marocco, e di fatto per questo paese è ormai parte integrante del Regno, tant’è che sulle carte geografiche nonché nella narrazione ufficiali marocchine l’espressione “Sahara occidentale” è bandita e sostituita con quella più confacente alla situazione di status quo: “province del Sud”. Uno stato di fatto – con tutto il suo contorno di arido immobilismo – che è stato messo in discussione negli ultimi mesi del 2020. Si sono infatti verificati due avvenimenti, che hanno ridato fuoco alle ceneri: la rottura del cessate-il-fuoco in una zona al confine con la Mauritania e il riconoscimento da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump della sovranità marocchina su questa porzione di deserto. Per comprendere quali siano gli attori e le poste in gioco è necessario fare un passo indietro e ripercorrere brevemente la storia di questo conflitto.
Il recupero di quello che durante la colonizzazione si chiamava “Sahara spagnolo” era parte di un imponente disegno espansionista marocchino, reso pubblico per la prima volta all’indomani dell’indipendenza dalla Francia (1956). Meno di un quinto del “Marocco storico” era stato liberato dai colonizzatori, secondo i nazionalisti marocchini, che reclamavano l’indipendenza anche per tutto il nord-ovest del Sahara: un vasto piano di estensione territoriale, che si rifaceva ai legami che il sultanato aveva avuto nel lontano passato con gli abitanti di quelle regioni. La situazione internazionale sembrò favorire i piani annessionistici marocchini, quando l’Onu richiese espressamente alla Spagna franchista la fine della colonizzazione. Nello stesso periodo, nel 1973, un gruppo di sahrawi costituì il Fronte popolare di liberazione della Seguiet el Hamra e del Rio de Oro (Fronte Polisario): una formazione nazionalista che si opponeva all’occupante spagnolo e rivendicava l’indipendenza totale per quella che considerava la propria patria.
All’inizio degli anni settanta in Marocco dopo due tentativi di colpo di stato militari cui il re sopravvisse quasi per miracolo, il prestigio della monarchia era in pericolo sia all’interno che all’esterno del paese: era necessario ricreare il consenso attorno al sovrano e ai valori della nazione marocchina. Con questo obiettivo, Hassan II organizzò nel 1975 una grande manifestazione popolare e pacifica che aveva come scopo finale il recupero delle “province del Sud”, sotto dominio spagnolo. Il consenso sul Sahara si rivelò estesissimo e rappresentò la formula vincente per la tenuta del regime di Hassan II negli anni successivi e poi ancora sino a oggi. Una violenta repressione si abbatté contro chi internamente al paese si oppose alla guerra sahariana, tanto che il sovrano arrivò a dichiarare a un giornalista francese: “Io ho sempre detto che, in questo paese, i diritti dell’uomo si fermano davanti alla questione del Sahara. Chiunque dica che il Sahara non è marocchino, non può beneficiare dei diritti dell’uomo”. La Marcia verde portò alla firma degli accordi di Madrid (1975), che, stipulati tra Spagna, Marocco e Mauritania, stabilirono la divisione del Sahara occidentale tra il Marocco (che ricevette il Seguiet el Hamra, ricco dei fosfati della zona di Boukraa) e la Mauritania (che ottenne la regione del Rio de Oro). Il patto vide l’esclusione, da un lato, dell’Algeria, che fino ad allora si era opposta, insieme alla Mauritania, ai disegni espansionistici marocchini e che conseguentemente si sentì da questa tradita, e, dall’altro lato, del Polisario, che da quel momento fu appoggiato nella sua lotta per l’indipendenza del Sahara occidentale dagli algerini.
Con l’occupazione militare da parte delle forze armate reali della regione del Sahara occidentale assegnata al Marocco e l’inizio dei conseguenti attacchi del Polisario, sostenuto dall’Algeria, iniziò tra i due paesi un’altra guerra (dopo quella brevissima dell’ottobre 1963, sempre per questioni di confine) con la conseguente rottura delle relazioni, che riprenderanno solo nel 1988, per poi interrompersi nuovamente dal 1994. Il Polisario, che non era ancora riconosciuto dalla corona marocchina come attore nel conflitto, proclamò nel 1976 la nascita della Repubblica araba sahrawi democratica (Rasd), che si richiamava nel nome, nell’ideologia e nella strategia (un governo in esilio) al governo provvisorio algerino che aveva trattato con la Francia l’indipendenza a suo tempo: da quel momento in avanti, oltre al sostegno militare algerino, l’offensiva politica del Polisario beneficiò anche del potente apparato diplomatico dell’Algeria terzomondista, che si adoperò per il riconoscimento internazionale della Rasd. Gli attacchi del Polisario continuarono incessantemente negli anni successivi, giungendo fin all’interno del Marocco e provocando problemi militari ed economici per il Regno. L’obiettivo dei nazionalisti sahrawi era anche quello di recuperare il Rio de Oro assegnato alla Mauritania, la quale cedette ben presto quando nel 1979, alle prese con un colpo di stato militare, firmò un accordo di pace separato con l’Algeria che prevedeva l’abbandono della parte del Sahara assegnatale in precedenza. Il territorio però venne tempestivamente anch’esso occupato dal Marocco.
A partire da quello stesso anno, gli Stati Uniti decisero di aiutare politicamente e militarmente Hassan II nel conflitto in corso, temendo un aggravarsi della già precaria situazione regionale dopo che lo scià di Iran era stato spodestato dalla rivoluzione islamica. La stabilità politica del regno era ora necessaria al fianco Sud della Nato, di cui il Marocco, insieme alla Spagna, costituiva un baluardo fondamentale. Nonostante il coinvolgimento d’oltreoceano, il conflitto legato al Sahara occidentale, più che una questione internazionale, rimase negli anni successivi un affare regionale, un conflitto armato “fratricida” tra due popolazioni arabe, che avvelenerà le relazioni maghrebine secondo diversi gradi di intensità fino ai giorni nostri.
Tra il 1981 e il 1982 il Marocco costruì un muro di terra e sabbia, protetto da campi di mine e da fossati, che circondava la zona economicamente più importante del territorio conteso, dove vi erano i giacimenti di fosfato e le città, recinzione che fu poi estesa negli anni successivi divenendo una barriera vera e propria lunga 2mila chilometri che separa ancora oggi la zona del Sahara occidentale controllata dal Marocco (l’80%) da quella sotto controllo della Rasd (il 20%). Nel 1984 il governo in esilio sahrawi fu clamorosamente ammesso all’Organizzazione dell’unità africana (oggi Unione africana, UA) e ciò determinò una crisi diplomatica nel continente con il ritiro del Marocco dall’organizzazione. Hassan II comprese allora che per vincere veramente la battaglia del Sahara sarebbe stato necessario uscire dall’isolamento internazionale. I colloqui ufficiali tra il presidente algerino Chadli Benjedid e Hassan II del 1987 sfociarono nel ristabilimento delle relazioni diplomatiche l’anno successivo. Il 1988 vide inoltre, per la prima volta, il raggiungimento di un accordo di principio tra Marocco e Polisario che prevedeva l’organizzazione di un referendum che avrebbe permesso alla popolazione sahrawi di decidere tra l’indipendenza e l’integrazione al Marocco. Il cessate il fuoco tra le due parti fu firmato nel 1991, con la mediazione dell’Onu, che istituì la Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara occidentale (Minurso).
Da allora la situazione fondamentalmente si è bloccata, dato che tutti i tentativi avanzati per organizzare il referendum sono falliti a causa delle difficoltà di accordarsi sull’ammontare della popolazione con diritto di voto, visto l’elevato numero di profughi sahrawi e il gran numero di coloni marocchini insediatisi nel territorio conteso. Sin dall’inizio del conflitto l’emigrazione delle migliaia di sahrawi dal Sahara occidentale all’Algeria ha portato alla costituzione di un vasto campo profughi attorno a Tindouf che ne ospita oggi al proprio interno un numero imprecisato (100-200mila a seconda delle fonti). Bambini nati qui, che oggi hanno 40 anni e non hanno mai vissuto altra vita se non quella da rifugiati. La monarchia marocchina nel frattempo è riuscita a consolidare la colonizzazione del territorio, sfruttandone le risorse ittiche e fosfatiche senza alcuna opposizione internazionale (il Marocco infatti possiede il 70% delle risorse mondiali del minerale indispensabile per i fertilizzanti – compreso quello di Boukraa – di cui è il primo esportatore al mondo), ma anche a promuovere per le tre “province del Sud” ingenti investimenti per lo sviluppo e per la costruzione di grandi infrastrutture (porti, strade ferrate, impianti per la produzione delle energie rinnovabili). La Minurso è stata prorogata più volte ed è ormai presente nel territorio conteso da quasi trent’anni anni senza aver ancora raggiunto risultati soddisfacenti in questo senso. Dopo due piani risolutivi dell’Onu rifiutati prima da una parte e poi dall’altra, nel 2007 il Marocco ha presentato una sua proposta: la concessione di una vasta “autonomia” ai sahrawi all’interno del Regno. L’idea, che è ancora oggi la sola via d’uscita dal conflitto promossa dal Marocco, ha trovato l’appoggio della Francia, degli Stati Uniti e fino a un certo punto anche della Spagna, ma ovviamente l’opposizione del Polisario e dei suoi sostenitori, Algeria in primis.
Negli ultimi anni, tra il 2017 e il 2019, nonostante il rinnovo divenuto ormai semestrale della missione Onu, di referendum non si parla più, mentre è stata avviata a fatica dall’inviato delle Nazioni Unite una tavola rotonda a Ginevra tra le parti in causa: Marocco, Fronte Polisario, Mauritania e per la prima volta anche l’Algeria, riconosciuta al pari degli altri due paesi come parte principale nel processo politico. Il dialogo era di per sé un passo avanti per superare l’annosa problematica che è ormai di quadruplice natura: diplomatica (per le relazioni Marocco-Algeria), economica (in quanto ostacolo all’Unione del Maghreb arabo), sicuritaria (per la presenza nella regione di gruppi di narcotrafficanti e jihadisti che approfittano della debolezza delle istituzioni) e umanitaria (per le popolazioni sahrawi coinvolte). Tuttavia, la situazione è precipitata nel corso del 2019-2020. Il Marocco ha saputo approfittare della debolezza del regime algerino – in preda a un tenace movimento popolare di contestazione interno che ha portato alla fine del ventennio di presidenza di Abdelaziz Bouteflika e all’elezione di un nuovo capo di stato, Abdelmadjid Tebboune, che ha un bassissimo consenso popolare – per promuovere la propria soluzione come l’unica realistica e realizzabile. Negli ultimi vent’anni il grande attivismo diplomatico di Mohammed VI verso l’Africa si è basato su relazioni strette con i paesi africani che mai avevano riconosciuto il governo sahrawi in esilio, riuscendo nel 2017 a rientrare trionfalmente nell’Unione africana. Nel corso del 2020 sono state quindi inaugurate nelle “province del Sud” ben dodici rappresentanze diplomatiche di altrettanti paesi africani. Le manifestazioni e i sit-in del Polisario a Guerguarate che dal settembre di quest’anno hanno portato al blocco della strada di collegamento tra Marocco e Mauritania, arteria nevralgica per l’economia dei due paesi, sono state la risposta dei sahrawi a tale attivismo con lo scopo di riportare l’attenzione internazionale sull’irresolutezza dello status di questo territorio, che ufficialmente per l’Onu è ancora classificato come “non autonomo”, ovvero che non ha ancora terminato il proprio processo di decolonizzazione. L’intervento armato dell’esercito marocchino, che senza alcuno spargimento di sangue ha riaperto la via di comunicazione, è stato considerato una rottura del cessate-il-fuoco (che peraltro per i marocchini – e non solo – è stato invece violato dalla precedente azione dei sahrawi).
In tutti questi anni tuttavia, nessuno stato aveva mai riconosciuto ufficialmente “le province del Sud”, accontentandosi di mantenere lo stallo delle trattative sostanzialmente ferme a quel lontano 1991. L’annuncio del presidente Donald Trump ormai alla fine del suo mandato, l’11 dicembre scorso, è stato pertanto sconvolgente e al tempo stesso difficilmente rinnegabile dal successore in pectore Joe Biden. L’apogeo della tessitura diplomatica di Mohammed VI sono stati alcuni semplici tweet del presidente americano che affermava di aver firmato una proclamazione del riconoscimento della sovranità marocchina sul Sahara occidentale, seguito dall’annuncio della ripresa delle relazioni diplomatiche “tra due grandi amici degli Stati Uniti”: il Regno del Marocco e Israele. Anche se non dichiarato ufficialmente, l’interconnessione tra la risoluzione dei due dossier è risultata evidente dalla firma dell’accordo tripartito firmato pochi giorni dopo a Rabat durante la visita di un’importante delegazione israelo-americana. Il Marocco diviene così il quarto stato arabo a ufficializzare le relazioni con lo stato ebraico nel 2020, ottenendo però oltre a investimenti americani per 3 miliardi di dollari e un futuro di cooperazione tecnologica ed economica con Israele, ciò che attendeva da più di 40 anni: la conferma della “marocchinità” del Sahara occidentale. Sulla strada per una soluzione “alla marocchina” della questione del Sahara occidentale è stata posata così una pietra miliare.
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